La Mostra “Salvatore Ferragamo 1898-1960” a Firenze: un itinerario affascinante tra genialità e passione.

Acquistarne un paio per molti può rappresentare la necessità del momento, per altri può significare la ricerca di un semplice accessorio da abbinare ad un abito da cerimonia, per altri ancora un momento di puro shopping.

Ma non per lui.

 Per Salvatore Ferragamo la scarpa è stato l’inizio del tutto, della sua passione della sua sperimentazione, della sua vita.

Alcune delle centinaia di scarpe esposte alla Mostra (Foto per gentile concessione del Museo Ferragamo)

Nato il 5 giugno 1898 a Bonito, un piccolo centro dell’Irpinia, la sua è una famiglia numerosa, di agricoltori.

Il lavoro e la fatica sono tanti, ma le entrate sempre troppo poche, talmente poche da non consentire al piccolo Salvatore di proseguire oltre la terza elementare e così, a nove anni, è costretto a trovarsi un mestiere: inizia quello di calzolaio e si incanta a guardare la maestria del suo primo datore di lavoro.

I “ferri del mestiere” di Salvatore Ferragamo (Foto per gentile concessione del Museo Ferragamo)

Quando arriva il giorno della Prima Comunione delle sue sorelline, non ci sono soldi per acquistare due paia di scarpe bianche: le realizzerà Salvatore e saranno le sue prime scarpe.

Alla bottega di Mastro Luigi fa di tutto, ma dopo la morte improvvisa del padre è costretto a lasciare il suo paese d’origine per recarsi a Napoli, città nella quale, nonostante le prime difficoltà, impara tutto sulla scarpa artigianale perché, come Salvatore amerà spesso dire di sé stesso: “In una vita precedente ero un calzolaio”.

Tornato poi a Bonito, apre un negozio tutto suo e ha successo, ma il 24 marzo 1915 è sul piroscafo Stampalia diretto da Napoli a New York: la cabina a sei posti dove viaggerà è sporca e maleodorante e il 7 aprile, dopo i necessari controlli a Ellis Island per entrare negli Stati Uniti, sbarca a New York.

Si traferisce a Boston, impara subito l’inglese, poi va a Santa Barbara, in California, dove aprirà un suo negozio che si affollerà di personaggi famosi.

Comincia a studiare l’anatomia umana e tre-quattro volte la settimana percorre 60 chilometri per assistere alle lezioni.

Nel 1926 torna in Italia e dal 1927 è a Firenze.

E proprio di questa città comincia ad apprezzare l’antica tradizione della lavorazione della paglia, sviluppatasi già nel 1700. E così alle famose “paglie” di Firenze, i cappelli che i turisti portano a casa come souvenir, ora si affiancano anche le tomaie per le scarpe estive create da Salvatore Ferragamo.

L’acquisto di Palazzo Spini Feroni a Firenze, poi la Seconda Guerra Mondiale, i brevetti depositati e l’estate del 1947, quando Salvatore è chiamato a Dallas per ricevere l’Oscar della Moda.

 Fin dai suoi esordi la passione di Ferragamo per le scarpe incontra il mondo del cinema.

Ferragamo e la sua passione per il cinema (Foto per gentile concessione del Museo Ferragamo)

E moltissime saranno le dive che si rivolgeranno a lui per le sue creazioni,  e neanche  la  malattia   riesce a  spegnere il suo ottimismo, tanto da fargli scrivere :” E se non sarà con questo corpo vuol dire che compirò la mia missione con un altro. Tutti viaggiamo nel flusso di un’eterna marea. Un eterno scorrere che non avrà mai fine”.

Ferragamo amò il cinema che lo riamò (Foto per gentile concessione del Museo Ferragamo)

Questa, in pochissime righe, la vita di Salvatore Ferragamo al quale è dedicata una retrospettiva, inaugurata il 26 ottobre 2023 e prorogata due volte e visitabile fino al 6 aprile 2026. Una mostra sul genio di Ferragamo, un percorso museale durante il quale si è proiettati nelle sue origini, nel suo cuore, nella sua maestria, nell’intuizione di un artista che, partendo dall’osservazione della natura, creava le proprie opere d’arte, usando, oltre ai classici pellami, anche materiali naturali come il sughero, la canapa, il fustagno, la paglia.

Sandalo in canapa e cordoncini intrecciati di cotone (Foto per gentile concessione del Museo Ferragamo)

In una Sezione della Mostra, dal titolo Equilibrio e Anatomia, è esposto l’archivio delle forme dei piedi delle clienti più famose e realizzate dallo stesso Ferragamo che, nel corso degli anni, depositò i suoi brevetti presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma.

Scarpe e relativi brevetti (Foto per gentile concessione del Museo Salvatore Ferragamo)

La Sezione Nuovo Rinascimento rappresenta un felice e riuscito parallelismo tra l’arte di Ferragamo e il suo intuito che ricorda la creatività degli artisti rinascimentali e, a dar forza a tale parallelismo, una creazione unica, alla quale è dedicata un’intera Sezione della Mostra: custodito sotto una teca, il sandalo in oro 18 carati nato dal genio di Ferragamo in collaborazione con gli orafi del Palazzo dell’Oro, vicino Ponte Vecchio a Firenze.

La retrospettiva termina con il tuffo più glamour: quello dedicato alle dive, alle principesse, alle donne impegnate nei vari settori, accomunate dal desiderio di vedere ai propri piedi le creazioni di Ferragamo.

Alcune delle celebri forme di legno realizzate da Ferragamo (foto per gentile concessione del Museo Ferragamo)

Si va dalle dive internazionali come Marlene Dietrich, all’esuberanza della cantante e attrice Carmen Miranda, dalla sensuale Ava Gardner all’eterea Audrey Hepburn, ma non mancano le principesse come Grace Kelly e le nostrane Anna Magnani e Sophia Loren.

Salvatore Ferragamo, Sophia Loren e una delle tante creazioni realizzate per la nostra Diva (Foto per gentile concessione del Museo Ferragamo)

E poi, ecco arrivare lei: Marilyn Monroe.

Marylin Monroe e le sue iconiche decolleté realizzate per lei da Ferragamo (Foto per gentile concessione del Museo Ferragamo)

Le sue décolleté, realizzate da Ferragamo, hanno fatto storia e sono diventate il simbolo della sua sensualità senza tempo. Anche grandi artiste come Georgia O’Keeffe e Palma Bucarelli sono state illustri clienti di Ferragamo il quale, da un piccolo paese,  ha saputo esportare, in tutto il mondo, il suo genio e la sua maestria, condensate nella Mostra a Firenze “Salvatore Ferragamo 1898-1960”: un inno alla creatività italiana, alla passione che non conosce né limiti né confini, ai sogni che possono realizzarsi, se ci si crede fermamente, proprio come ci ha creduto Salvatore Ferragamo.

                             Alessandra Fiorilli

Giacomo Puccini e quel legame fortissimo con la sua Casa natale di Lucca.

Quando si ama una casa, essa diventa qualcosa di più che un insieme di stanze e di suppellettili.

Quando si ama una casa, essa diventa parte integrante della famiglia che lì vi risiede: si trasforma magicamente, nei giorni, nei mesi, negli anni, in una persona a noi cara e diventa, così, di volta in volta, la nonna piena di premure, la zia che ci vizia, i genitori che ci amano sopra ogni cosa, i fratelli e le sorelle che sono compagni di gioco e confidenti.

Quando si ama una casa si pensa a lei nell’ultimo respiro e si spera che, chi verrà dopo di noi, possa amarla con la stessa nostra intensità.

Quando si ama una casa, chiunque vi entri, riesce a percepire questo legame profondo che neanche la morte può spezzare.

È quello che si avverte quando si varca la soglia della Casa Museo di Giacomo Puccini a Lucca e si ha la conferma di questo profondo legame scoprendone la storia.

Ad accogliere i visitatori sono proprio i suoi spartiti a stampa, custoditi in un armadio della Sala di ingresso.

Alcuni spartiti di Giacomo Puccini (Foto di Andrea Pistolesi, per gentile concessione dell’Archivio Puccini)

È in questo appartamento che il 22 dicembre 1858 il grande Maestro autore de “La bohème”, nasce e viene subito battezzato, perché considerato in pericolo di vita.

Tra queste stanze trascorre la sua infanzia, la cui felicità è interrotta dalla morte del padre.

La madre Albina, nonostante le difficoltà economiche, consente ai figli il proseguo degli studi, in particolare Giacomo può trasferirsi nell’autunno 1880 a Milano per continuare, dopo il diploma all’Istituto musicale di Lucca, la frequenza al Conservatorio della città meneghina.

Quando la madre Albina muore, la casa viene data in affitto e nel settembre 1889 i fratelli Giacomo e Michele, gli eredi delle casa dopo la rinuncia delle sorelle che nel frattempo si erano sposate, la vendono a un cognato, inserendo, però, nel contratto una clausola che avrebbe garantito ai due fratelli la possibilità di acquistarla di nuovo: dopo il successo di “Manon Lescaut”, Giacomo nel 1893 si avvale di questa clausola, ma ritorna proprietario dell’appartamento natale solo nel 1894 dopo aver scritto:  “Amo dove nacquero i miei e per tutto l’oro del mondo non recederei dal disfarmi del tetto paterno”.

Puccini però e spesso via e la casa, ormai di sua proprietà, viene affittata.

Ma è la sua, è di nuovo sua l’amata casa: nonostante non vi abiterà mai più, per i numerosi impegni che lo porteranno in giro per il mondo, la percepisce nel cuore, nell’animo, insieme ai volti delle persone a lui più care che lì vi hanno abitato.

Alla morte del Maestro, la proprietà passa al figlio e, dopo la scomparsa di quest’ultimo, la moglie Rita Dell’Anna, nuora di Puccini, dà impulso alla creazione della Fondazione Giacomo Puccini, dona la casa nel 1973, affinché venga trasformata in un Museo inaugurato il 28 ottobre 1979.

Dopo un accurato restauro conservativo, il 13 settembre 2011 il Museo riapre al pubblico che può immergersi, così, nella vita, nel cuore, nell’animo del grande Maestro.

Il percorso espositivo accoglie i visitatori nella Sala della Musica, dove il protagonista è il pianoforte Steinway & Sons acquistato da Giacomo Puccini nel 1901 e, proprio dietro i tasti di questo prezioso oggetto, Puccini compose la “Turandot”.

La Sala delle Musica con il prezioso pianoforte del Maestro Puccini (Foto di Andrea Pistolesi, per gentile concessione dell’Archivio Puccini)

In un’altra camera, forse quella delle sue sorelle, troviamo le lettere, i libretti e gli spartiti e qui il cuore sobbalza, perché vedere la scrittura del Maestro è un’emozione indescrivibile.

Uno tra gli ambienti più affascinanti e rappresentativi del Puccini musicista e compositore è indubbiamente il ripostiglio a cui si accede, salendo degli scalini dal locale cucina: proprio qui è stata ricreata la soffitta de” La bohème”.

In quello che è lo Spogliatoio è, invece, esposto il cappotto di cachemire foderato di pelliccia e una sciarpa di seta che Puccini amava indossare, ma non manca il bastone da passeggio che usava il Maestro.

E nella camera dei genitori è forte l’emozione nel pensare che proprio lì, Puccini abbia emesso il primo vagito.

La camera da letto dei genitori, dove Puccini nacque (Foto di Andrea Pistolesi, per gentile concessione dell’Archivio Puccini)

La Sala dei Trionfi accoglie tutti i riconoscimenti ottenuto da Puccini, mentre nello Studio trova posto un grammofono dei primi del Novecento e nella Sala significativamente chiamata Turandot, si può ammirare proprio il costume di scena di Turandot usato nel primo allestimento dell’opera al Metropolitan Opera House di New York nel 1926.

La Sala Turandot con l’omonimo vestito di scena (Foto di Andrea Pistolesi, per gentile concessione dell’Archivio Puccini)

 La Casa Museo è arricchita, nel suo percorso espositivo, di arredi, dipinti e cimeli vari, ma quello che maggiormente colpisce è quel legame tra Puccini e la sua casa natale, legame che si respira, si sente, palpita in ogni camera e queste emozioni fluiscono, rapiscono, commuovono, fanno battere il cuore e le si avvertono sulla pelle e non andranno più via.

                                         Alessandra Fiorilli

Luciano Pavarotti: la sua casa, il suo mondo, le sue passioni

Lui è ancora lì.

Lo si percepisce.

Chiunque abbia o abbia avuto il privilegio di visitare la Casa Museo di Luciano Pavarotti, appena varcato l’ingresso, si renderà immediatamente conto di riuscire a guardarla con gli occhi del Maestro.

Particolare del Salone della Casa Museo(Foto di Gianluca Naphtalina Camporesi, per gentile concessione della Fondazione Luciano Pavarotti)

E quando la visita sarà terminata, si amerà quella casa con la stessa intensità con la quale l’ha amata e fortemente voluta Big Luciano, il quale ne ha curato personalmente l’ideazione e coloro che sono stati coinvolti nella realizzazione, dai fabbri ai falegnami, dagli intagliatori ai decoratori, hanno saputo perfettamente rendere concreti i suoi desideri.

La sua gioia di vivere, la sua semplicità, nonostante la grandezza universalmente riconosciutagli, sta anche in quelle camicie a fiori, ora esposte, e che sono diventate il suo simbolo, tanto quanto il frac che fa bella mostra di sé in una teca all’interno del Salone.

Una delle sua amate camicie a fiori (Foto di Gianluca Naphtalina Camporesi, per gentile concessione della Fondazione Luciano Pavarotti)

E proprio in questa stanza, dalla quale inizia l’emozionante visita, il Maestro era solito trascorrere gran parte del suo tempo e quello che maggiormente colpisce sono gli oggetti di vita quotidiana e custoditi sotto una teca…una vita che amava trascorrere non solo con la sua famiglia ma anche con gli amici: e così troviamo le carte italiane, il suo basco scozzese, i suoi occhiali.

Il Salone, la stanza preferita, e il suo frac (Foto di Gianluca Naphtalina Camporesi, per gentile concessione della Fondazione Luciano Pavarotti)

Il Maestro amava la luce, e non è un caso che il grande lucernaio, posto al piano superiore, è stato fortemente voluto da Pavarotti, cosicché l’alba avrebbe potuto inondare la sua amatissima casa fuori Modena.  Proprio in questa stanza sono custodite i riconoscimenti avuti nel corso della sua lunghissima carriera: se ne contano più di 500.

Il lucernaio, dove sono esposti i riconoscimenti (Foto di Gianluca Naphtalina Camporesi, per gentile concessione della Fondazione Luciano Pavarotti)
Uno tra i 500 riconoscimenti ottenuti dal Maestro (Foto di Gianluca Naphtalina Camporesi, per gentile concessione della Fondazione Luciano Pavarotti)

Poi ecco arrivare la stanza più intima, quella nella quale custodiva le foto delle persone a lui più care: la camera da letto che lo ha visto esalare l’ultimo respiro il 6 settembre 2007.

C’è poi una parte della casa dedicata al Pavarotti grande ed insuperabile artista, dove sono esposti alcuni dei suoi abiti di scena: e qui tutto il suo carisma, la sua timbrica forte e pulita, sembra abbracciare il visitatore.

Uno dei suoi abiti si scena (Foto di Gianluca Naphtalina Camporesi, per gentile concessione della Fondazione Luciano Pavarotti)

Il secondo piano è dedicato interamente alle testimonianze fotografiche e documentali della sua carriera: oltre che nei teatri del mondo più famosi, si è esibito, per portare la lirica fuori dagli schemi tradizionali, anche al Central Park di New York o sotto la Torre Eiffel di Parigi.

Un altro abito di scena diBig Luciano (Foto di Gianluca Naphtalina Camporesi, per gentile concessione della Fondazione Luciano Pavarotti)

E come dimenticare l’esibizione de “I Tre Tenori” che lo videro protagonista insieme ai suoi amici e colleghi Placido Domingo e Jose Carreras: il loro modo di stare sul palco, di guardarsi con complicità rimarrà nella storia della musica.

Una stanza del percorso espositivo è poi interamente dedicata ai ringraziamenti, giunti da ogni angolo della terra, per tutto quello che di grande e bello Pavarotti ha realizzato, sempre con grande professionalità, passione e con il suo contagioso sorriso.

Il mondo intero lo ha amato e dal Maestro è stato riamato, anche grazie al “Pavarotti and friends”, che ha visto coinvolti, a partire dalla prima edizione tenutasi nella sua Modena, decine e decine di artisti internazionali, che appartenevano ai generi più diversi: dalla lirica al pop, al rock alla musica leggera e tutti uniti nel nome di iniziative benefiche.

Il cuore sobbalza ed il respiro sembra spezzarsi quando, terminata la visita, ci si avvia verso la Casa dei Giochi di Alice, pensata per la figlioletta e che ancora custodisce i suoi pupazzi e i giochi.

Il Murales sulla Casa Museo Luciano Pavarotti (Foto di Gianluca naphtalina Camporesi, per gentile concessione della Fondazione Luciano Pavarotti)

E quando ci si allontana da quel luogo, denso di amore per la famiglia e per la musica, ci si volta un’ultima volta e così, si ha la conferma di quello che si era avvertito all’inizio della visita: Luciano Pavarotti è ancora lì.

                                                       Alessandra Fiorilli