Spostammo tutti i mobili che potevano dare ingombro al passaggio e così scomparvero, all’improvviso, il tavolino con l’alzata verde che ospitava il telefono, le due poltroncine di pelle marrone, quelle di velluto della camera da letto.
Era così arrivata, nonno, l’ora nella quale nel quale gli oggetti a te più cari, i mobili più belli, le sedie più confortevoli, i tuoi sandali, erano diventati superflui, inutili.
Mi lasciai andare sulla sedia della veranda, profondamente sconfortata e scossa da questa amara considerazione: tutto non serviva più a niente. Gli operatori del 118 uscirono per il balcone…quello che provammo nel vederti andare via, nonno, era condensato sui nostri volti profondamente rattristati ed increduli, in quelle lacrime, in quei baci che ti stava lanciando la nonna dal balcone, in quel mio non far niente di fronte alla tua persona che stava entrando nell’ambulanza.
Dopo di te salirono gli operatori sanitari e via, allora, a sirene spiegate. Io rimasi immobile e ti seguii con lo sguardo fin dove mi fu possibile vedere quella vettura bianca ed arancione con quella luce azzurrognola che vi girava sopra. Tutto quello che fu d’ingombro al passaggio della lettiga l’avevamo accatastato in cucina e quando vidi i tuoi sandali di cuoio, li presi e li portai in camera da letto, posizionandoli dove erano sempre stati, vicino al tuo comodino, seminascosti sotto il letto, come a credere che bastasse la ripetizione di un semplice gesto a far tornare le cose come invece, non sarebbero state più. La stanza più triste e desolata era proprio la stanza da letto, il tuo materasso infossato, le lenzuola gettate all’aria, la coperta scivolata sino a terra, quasi a voler scomparire, a non voler assistere a quella scena straziante che si era consumata in quella stanza poco prima. Non c’erano solo i tuoi sandali a testimoniare la tua assenza, ma anche il tuo orologio con il cinturino d’acciaio che non era al tuo polso, il tuo mazzo di chiavi dietro la porta, la tua penna sul comodino, la tua borsa di pelle nera su quel poggiapiedi rivestito in seta damascata che avevi da sempre usato per poggiarci i tuoi libri, le tue riviste. Io ero lì, nella tua camera, per la prima volta in 28 anni, senza di te al mio fianco, io ero lì in quella casa, senza sentire la tua voce risuonare in quelle stanze, io ero lì, a chiedermi se quella stessa casa, quelle foto sul comò, quelle lenzuola di lino ricamate a mano, quei sandali di cuoio li avresti rivisti o ne avresti portato con te solo l’immagine di un ricordo.