La Nave Scuola Amerigo Vespucci: Ambasciatrice Italiana nel Mondo

Talvolta accade…accade che quando le emozioni sono molto forti, risulta difficile circoscriverle con umane parole…

A bordo della Nave Scuola Amerigo Vespucci (Foto di Lorenza Fiorilli)

E accade anche ora quando, davanti alla tastiera del computer, mi ritrovo a scrivere della Nave più bella del mondo, come è da tutti universalmente conosciuta, della nave più longeva in servizio  della Marina Italiana, della Nave che ha rappresentato l’Italia durante il Tour Mondiale partito il 1° luglio 2023 da Genova.

E così quasi due anni fa, dal porto del capoluogo ligure, la Nave Vespucci ha lasciato l’Italia alla volta di Dakar, per attraversare poi l’Oceano Atlantico, puntare verso sud,  da La Plata giungere a Capo Horn, circondato ad est dall’Oceano Atlantico e ad ovest dal Pacifico, per poi attraccare  a Los Angeles, dove è stato allestito il primo Villaggio Italia, una vetrina per far conoscere, nei cinque continenti,  l’eccellenza della nostra penisola.

La Nave Vespucci durante il Tour del Mediterraneo (Foto di Lorenza Fiorilli)

La traversata dell’oceano Pacifico ha poi condotto la Vespucci a Tokio, a Karachi per  puntare verso la penisola arabica, che ha rappresentato l’  ultima tappa del Tour Mondiale prima di tornare in Italia il 18 febbraio scorso, quando, nel porto di Trieste, la Vespucci ha attraccato, salutata dalle Frecce Tricolori, da un’ edizione speciale della Barcolana e dall’abbraccio del paese intero. Lacrime di commozione per l’intero equipaggio che, a distanza di quasi due anni, ha potuto riabbracciare i propri cari, dopo aver navigato per 20 mesi e aver toccato 30 Paesi sparsi per i cinque continenti.

La Vespucci attraccata (Foto di Lorenza Fiorilli)

E proprio dal capoluogo del Friuli-Venezia Giulia è iniziato, per la Nave più bella del mondo,  il Tour del Mediterraneo, durante il quale ha attraccato in sedici porti italiani, ai quali si sono aggiunti due all’ estero, Durazzo e La Valletta.

Il Tour Mediterraneo Vespucci, nato da un’idea del Ministro della Difesa Guido Crosetto, sostenuta dal Ministero della Difesa e da altri 12 dicasteri, ha permesso di condividere con gli italiani l’esperienza all’estero del Vespucci che, dovunque ha attraccato, ha saputo rappresentare la cultura, la storia la ricerca,  la tecnologia dell’Italia, diventando, secondo le parole del Comandante del Vespucci, Giuseppe Lai :  “Un’ambasciata galleggiante riuscendo, altresì,  “A rappresentare l’Italia a 360° gradi”.

Il Capitano di Vascello Giuseppe Lai è il 125° Comandante della Nave più bella del mondo: “ Sin da bambino il mio sogno era quello di arruolarmi nella Marina Militare Italiana e di diventarne un Ufficiale. Sempre in tenera età, ero anche un appassionato dei romanzi di avventura di  Emilio Salgari: posso dire che il ruolo attuale di Comandante della Nave Vespucci è riuscito a condensare le mie due più grandi passioni ed il Tour Mondiale è quanto di più simile a quelle avventure del Salgari che leggevo con così grande interesse”

Il Comandante della Nave Scuola Vespucci, Capitano di Vascello Giuseppe Lai (Foto di Lorenza Fiorilli)

I 400000 visitatori che, nei porti dei cinque continenti dove ha attraccato, hanno visitato il Villaggio Italia, sono rimasti affascinati dalla  maestosità ed eleganza della Nave Vespucci, la quale ha rappresentato: Un pezzo della nostra Nazione che ha inorgoglito e commosso gli italiani di seconda e terza generazione , i quali sono saliti a bordo con le foto dei loro nonni e bisnonni arrivati in Sud America, dove più forte è stato l’impatto emotivo degli italiani all’estero alla vista della Nave Vespucci” come ha dichiarato il Comandante Lai.

Un orgoglio italiano, quindi, il Vespucci che suscita anche: “ Una grande ammirazione  da parte degli stranieri, molti dei quali sono rimasti stupefatti di come, nonostante i suoi 94 anni di attività, la Nave Vespucci sia ancora così efficiente ed operativa e non sia stata trasformata in un Museo”.

Il varo della Nave Scuola, costruita presso il Regio Cantiere Navale di Castellamare di Stabia (Napoli) , è avvenuto, infatti, nel lontano  22 febbraio 1931 e questa data ha un grande valore simbolico perché è il giorno della scomparsa del navigatore fiorentino Amerigo Vespucci da cui prende il nome la Nave più bella del mondo, la cui carta d’identità è la seguente: lunghezza  82 metri che diventano 101 tra poppa estrema e estremità del bompresso; peso  a pieno carico 4100 tonnellate;  24 vele in tela olona per  una superficie di circa 3000 metri;  i cavi che permettono di manovrare le vele hanno una lunghezza complessiva di oltre 30 chilometri; i legni usati per la sua realizzazione sono il teak , il mogano, il  frassino ed il rovere;  quattro gli alberi del Vespucci (quello di maestra, che è il più alto con i suoi 54 metri sulla linea di galleggiamento, di mezzana, il trinchetto e il bompresso) tutti composti da tre parti ciascuno.

Particolare degli alberi della Nave Vespucci (Foto di Lorenza Fiorilli)

Nasce già con un preciso scopo: quello di essere la Nave Scuola della Marina Italiana, difatti  dal 22 giugno 1931 e per ogni anno, ad esclusione della parentesi bellica e di alcuni periodi in cui era in manutenzione, ha svolto attività addestrativa, dando così la possibilità ai Cadetti dell’ Accademia Navale di Livorno di poter testare sul campo gli insegnamenti teorici appresi.

Un altro particolare degli alberi (Foto di Lorenza Fiorilli)

E così, nel periodo estivo, per una durata di tre mesi, la Nave Scuola offre le campagne di istruzione durante le quali gli allievi imparano, come dichiara il Comandante Lai  :”La vita di bordo, il sacrificio, lo stare insieme, l’essere un equipaggio. Inoltre sul Vespucci nessuno può far nulla da solo, occorrono sempre due persone e questo è un grande insegnamento”.

Il Comandante Giuseppe Lai (Foto di Lorenza Fiorilli)

Imbarcarsi sulla Nave  Vespucci significa, dunque, avere la possibilità di mettere in pratica ciò che si è imparato sui libri, anche se al termine della campagna di istruzione sono previste delle verifiche scritte ed orali per attestare il livello di apprendimento delle tecniche di bordo.

Un particolare delel cime della Nave Vespucci (Foto di Lorenza Fiorilli)

Il  motto iniziale della Nave più bella del mondo era “Per la Patria e per il Re” sostituito, dopo il passaggio alla forma di governo repubblicana, con “Saldi nella furia dei venti e degli eventi”, mentre  quello attuale, assegnato nel 1978,  è “Non chi comincia ma quel che persevera”.

Il Motto della Nave Vespucci (Foto di Lorenza Fiorilli)

Il suddetto motto  è una frase di Leonardi da Vinci e si sposa anche con lo spirito che ha sempre ispirato anche Amerigo Vespucci, il quale:  “Non ha mai smesso di studiare e possiamo dire che l’attualità del motto risiede proprio nella consapevolezza che con lo studio e con la perseveranza si possono raggiungere gli obiettivi prefissi”, dichiara il Comandante Lai.

Un particolare della timoneria della Nave Vespucci (Foto di Lorenza Fiorilli)

Nave Vespucci ha attraversato  la storia per giungere fino a noi, intatta nella sua maestosa bellezza, con i suoi quattro alberi e le sue vele, che con una superficie totale di oltre 3000 metri, sono il suo simbolo e, quando svettano, sono capaci di riempire gli occhi di pura bellezza ogni volta che le si scorge, anche solo da lontano.

La campana di bordo (Foto di Lorenza Fiorilli)

L’inizio del nuovo millennio, il 4 maggio 2002, l’ha vista salpare per il suo primo Giro del Mondo dal porto di assegnazione, quello di  La Spezia, per attraversare l’Atlantico, il Canale di Panama, e il Pacifico.

Nel 2020, anno dello scoppio della pandemia, cullava un sogno: partire di nuovo per il mondo e doppiare, per la prima volta nella sua storia, Capo Horn punta meridionale dell’America del Sud ma, anche lei, come tutti noi, è rimasta a casa.

La realizzazione del suo sogno è  però, stato  solo rimandato, perché la storica impresa l’ha compiuta in questi 20 mesi di navigazione, durante i quali  è riuscita a tener testa alle correnti dell’Oceano Pacifico e dell’Atlantico che  si incontrano proprio a Capo Horn, dove le  temperature sono vicino alle zero.

Cartina del Tour Mondiale (Foto di Lorenza Fiorilli)

E ora, a conclusione anche del Tour Mediterraneo, lascerà Genova per La Spezia, nei cui cantieri navali sarà sottoposta ad una manutenzione  che le premetterà di solcare nuovamente i mari, con eleganza, autorevolezza e stile: caratteristiche che l’hanno sempre contraddistinta.

                       Alessandra Fiorilli

Gorizia: da città di frontiera a Capitale della Cultura 2025 con la slovena Nova Gorica

Gorizia e la Storia: quella imposta dalle contrapposizioni ideologiche che hanno stravolto la geografia non solo di una città ma di un’intera comunità la quale, nonostante le differenze culturali e linguistiche, viveva in armonia.

Gorizia e la Storia: quella scritta dai vincitori e subita da chi quelle decisioni doveva solo accettarle.

Gorizia e la Storia: una ferita durata decenni, ed iniziata dal 1947, anno del Trattato di Parigi in seguito al quale il territorio della città fu letteralmente diviso in due, difatti il centro storico rimase all’interno del confine italiano e l’entroterra, invece, fu assegnato alla Jugoslavia.

Le due città transfrontaliere di Gorizia (Italia) e di Nova Gorica (Slovenia) (Foto GECTGO, per gentile concessione dell’Ufficio Comunicazione del Comune di Gorizia)

Una cortina di ferro che Gorizia dovette accettare…proprio lei, proprio quella città dove prima della guerra: Convivevano comunità che parlavano 4 lingue: l’italiano, il ladino, il tedesco e lo slavo…e questo poteva accadere all’interno di una stessa famiglia”,  come dichiara il Dottor Rodolfo Ziberna, Sindaco di Gorizia il quale, proprio in merito a quello che successe nel 1947 parla di :  “Quel filo spinato, di quei soldati che a terra si misero a dipingere, con calce e colori, il segno di una separazione tra Gorizia e quella che sarebbe diventata Nova Gorica”.

Il Sindaco di Gorizia, Dottor Rodolfo Ziberna (Foto per gentile concessione dell’Ufficio Comunicazione del Comune di Gorizia)

Gorizia conosceva bene le sofferenze belliche ancora prima dell’ultimo conflitto mondiale: “La Grande Guerra fece pagare un alto tributo alla città che per l’80% fu rasa al suolo”.

La Prima Guerra Mondiale può essere condensata in un solo nome: il Carso, che ancora custodisce le ferite di un conflitto atroce, impresse con il fuoco dell’inchiostro del poeta Giuseppe Ungaretti.

 “Sul Monte Sabotino, ad esempio, sono ancora visibili i 50 camminamenti e i bunker”, evidenzia il Sindaco Ziberna e proprio quelle zone ferite rappresentano per Gorizia: “Una testimonianza di permanenza”

Eppure, fino al Trattato di Parigi del 1947, Gorizia era un: “Simbolo di integrazione, salvo poi diventare: “La soglia d’Italia”.

Quello che accadde dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e la separazione netta del mondo in due blocchi è costantemente nota e quella divisione cui fu costretta Gorizia fu: Sia linguistica che militare”.

Le guerre lasciano dietro di loro sempre ferite, divisioni imposte, ma poche zone, come quelle dell’area di Gorizia, sono state così pesantemente colpite nella sua geografia e nella vita delle comunità che ivi risiedevano,  una tragedia causata  anche dai nazionalismi  i quali:  “Hanno partorito stati che hanno omogeneizzato popoli”.

E come dimenticare come: “A Gorizia il 20% della popolazione erano esuli istriani fuggiti da Tito”

Le sofferenze atroci sofferte dai civili, specie dalle comunità di frontiera che la guerra ha diviso nettamente in due, non sono mai state dimenticate, nulla ha potuto cancellarle nonostante: La memoria non la si possa condividere ma solo narrare”,

Poi ecco gli anni ’90, il crollo del muro di Berlino, la Slovenia che nel 1991 dichiara la propria indipendenza dopo la disgregazione delle ex Jugoslavia e il riconoscimento, da parte della comunità internazionale come Stato autonomo nel 2004 e poi l’entrata nel 2007 nello Spazio Schengen.

Non più divisa dalla cortina di ferro, Gorizia riprende in mano la sua storia, vuole curare le ferite, nonostante esse rimarranno per sempre visibili, e rinasce.

E arriva la rivincita di una città che ha vissuto la tragedia dei conflitti e delle divisioni ideologiche: una rivincita che si concretizza in una manifestazione come “Gusti di Frontiera”, nata 18 anni fa: “ “Come vetrina del cibo transfrontaliero di Italia e Slovenia e che oggi vanta numeri straordinari: basti pensare che lo scorso anno 600000 persone sono arrivate in città attirate dagli stand provenienti da  50 paesi dei cinque continenti”.

Uno dei momenti di GO!2025 (Foto di Giacomo Brescacin, per gentile concessione dell’Ufficio Comunicazione del Comune di Gorizia)

Ma la pietra miliare di questa rinascita si chiama “Go! 2025” e celebra, per la prima volta, due capitali europee transfrontaliere, appartenenti a due Stati: Gorizia, Italia,  e Nova Gorica, Slovenia, che celebrano la loro storia, una storia che le ha viste divise per più di mezzo secolo dalla cortina di ferro ma che, anche nel periodo della  separazione fisica, non si sono mai dimenticate.

Gorizia: Piazza Vittoria, gremita di 8000 persone all’inaugurazione di GO!2025 (Foto per gentile concessione dell’Ufficio Comunicazione del Comune di Gorizia)

L’inaugurazione di “Go! 2025” è avvenuto contemporaneamente sia a Gorizia e che a Nova Gorica e mi sono sentito travolto dall’emozione nel vedere a Piazza Vittoria 8000 persone unite, senza nazionalità. Da Gorizia è arrivato un esempio concreto contro la natura della separazione, dichiara il Sindaco Ziberna.

Essere stata scelta come Capitale della Cultura 2025 ha permesso a Gorizia di : Narrare il confine e l’emozione della narrazione, perché l’emozione continua a bruciare e dobbiamo fornire carburante allo spirito”.

Uno degli eventi di GO!2025 (Foto di Fabrice Gallina, per gentile concessione dell’Ufficio Comunicazione del Comune di Gorizia)

Durante quest’anno che le vede protagoniste della cultura, sono moltissimi gli eventi previsti dal programma, eppure, l’evento più bello e significativo,  non solo per Gorizia ma per tutti, è l’esempio che questa città è riuscita ad offrire: oltre la vecchia cortina di ferro, oltre il confine imposto dalla storia, oltre le divisioni fisiche geografiche e comunitarie, Gorizia continuava a rivolgere  il cuore alla speranza di una rinascita e di una rivincita contro la guerre che la ferirono  e la storia  che la divise.

                                                        Alessandra Fiorilli

Bevagna è pronta per la 36° edizione de “Il Mercato delle Gaite”

Bevagna, comune umbro in provincia di Perugia, nel Medioevo era divisa in quartieri chiamate “Gaite”: “Nome, questo, che deriva molto probabilmente dalla parola longobarda “Gaita” o “Guaita” e che significa “guardia”. Si tratta, quindi, dei quartieri cittadini cui faceva capo l’organizzazione politico-civile medievale”, come ci dice la Sindaca di Bevagna, Professoressa Annarita Falsacappa, la quale gentilmente ci ha concesso quest’intervista sulla manifestazione del “Il Mercato delle Gaite”, che si tiene l’ultima settimana di giugno, da ormai 36 anni.

A sinistra della foto la Sindaca di Bevagna, Professoressa Annarita Falsacappa, in abiti storici, durante un’edizione de “Il Mercato delle Gaite” (Foto per gentile concessione della Sindaca di Bevagna, Professoressa Annarita Falsacappa)

Dietro la volontà di far rivivere l’atmosfera medievale c’è stata la profonda esigenza di dare alla manifestazione la maggiore aderenza possibile all’antica storia di Bevagna: Il 26 aprile 1989 nasce l’Associazione Mercato delle Gaite che prevede un Comitato centrale e otto rappresentanti di ciascuna Gaita. Il 1989 è anche l’anno della prima edizione, che si svolge dal 21 al 25 giugno e, sempre dal 1989 e fino al 1992, il primo Podestà sarà Angelo Falsacappa. Nell’ ottobre del 1989viene istituito un comitato scientifico (di cui fece parte anche la Sindaca Falsacappa ndr) per supportare la manifestazione con documenti e fonti storiche, reperite nell’archivio comunale. Tale comitato ha lavorato fino al 1991, partendo dalla lettura dello Statuto della terra di Bevagna”.

Il primo Podestà della manifestazione storica, Angelo Falsacappa (Foto per gentile concessione della Sindaca di Bevagna, Professoressa Annarita Falsacappa)

Statuto che ha rappresentato una fonte rilevante per avere: “Notizie sulle magistrature, sull’economia cittadina, sulle tecniche di lavorazione, sulla vendita delle merci, sui pesi, le misure e quindi sulle botteghe”.

L’inizio della manifestazione è solenne e permette uno straordinario tuffo nel passato medievale: “Si procede con la cerimonia di insediamento del Podestà, con la consegna delle chiavi ai Consoli, con la lettura del bando di fiera con cui si sancisce l’apertura delle porte del paese per l’arrivo dei mercanti e degli artigiani. Il borgo si popola di gente che vende i propri prodotti, quali ortaggi manufatti artigianali, stoffe, oggetti pregiati portati dai mercanti e, così, si dà inizio alla festa”.

Un momento della Manifestazione storica (Foto per gentile concessione della Sindaca di Bevagna, Professoressa Annarita Falsacappa)

Una festa che permette di rivivere l’autentica atmosfera medievale di Bevagna “: Si realizzano forni, botteghe di fabbri, del cuoio, ci sono cordai, tessitori, orafi, vetrai, armaioli, speziali, pittori ,liutai, amanuensi, vasai, cartai” e dal 1991 si è deciso di aggiungere anche una nota gastronomica, difatti, dall’edizione di quell’anno: “Si è inserito il banchetto medievale come cena di rappresentanza”.

Il Banchetto medievale (Foto per gentile concessione della Sindaca di Bevagna, Professoressa Annarita Falsacappa)

Sin dalla prima edizione si è capita l’importanza di consolidare tale manifestazione, infatti, nei quattro anni successivi:” Sono stati realizzati il laboratorio teatrale, di danza e musica medievale ed acquistati strumenti musicali, nonché realizzati i costumi per il Comitato Centrale, le bandiere e gli stendardi””.

Tale manifestazione supera i confini regionali, così come alcuni loro partecipanti:” “Oggi il gruppo degli Arcatores de Mevania ottiene premi a livello nazionale ed internazionale e i gruppi di musica medievale sono apprezzati anche fuori dalla nazione, per la presenza di maestri di strumenti antichi”.

E sono in molti che accorrono, a fine giugno a Bevagna, per assistere ad una manifestazione che permette di apprezzare il senso profondo della storia passata: “ Il Mercato delle Gaite, anno dopo anno, ha registrato un interesse crescente: arrivano visitatori da tutte le regioni italiane e abbiamo avuto anche molti stranieri, tanto che le nostre pubblicazioni hanno anche una parte in lingua inglese. Sono numeri importanti quelli che vengono registrati nel periodo della manifestazione”.

Manifestazione che vede molti Enti coinvolti: “Il Comune di Bevagna, la Regione dell’Umbria, la Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno, il Ministero per il bando sulle rievocazioni storiche, la Camera di Commercio, SviluppUmbria, Gal Valle Umbra e Sibillini, Vus Com e altri”

La Sindaca Falsacappa non nasconde la sua soddisfazione per ciò che la manifestazione rappresenta per Bevagna che: “Da sempre è stato un paese agricolo, fuori dalle vie di comunicazione della Regione Umbria, pertanto isolata rispetto alle altre città”.

Un suggestivo scorcio di Piazza Filippo Silvestri a Bevagna durante “Il Mercato delle Gaite” (Foto per gentile concessione della Sindaca di Bevagna, Professoressa Annarita Falsacappa)

 Ecco perché, dietro l’idea di questa manifestazione, c’era qualcosa di grandioso:” Avevamo un sogno: quello di far conoscere Bevagna e la sua importante storia in età romana e nel medioevo, di far apprezzare le bellezze artistiche e architettoniche, di far arrivare i visitatori a Bevagna, affinché conoscessero anche la nostra tradizione, la nostra cultura, i cibi genuini e i piatti realizzati con prodotti di qualità delle nostre aziende agricole. Oggi proponiamo una Bevagna che sa raccontare il suo passato e le attività che vi si svolgevano: ha saputo fare di tutto ciò un’attività che rimane visitabile tutto l’anno, grazie all’allestimento del circuito dei mestieri medievali”.

In 36 anni di edizioni Bevagna ha avuto un indiscutibile ritorno: “La città ha ricavato un grande sviluppo culturale, certamente anche economico, considerando che da nessuna attività ricettiva, oggi siamo arrivati ad oltre mille e duecento posti letto, oltre a molteplici bar, ristoranti e luoghi di accoglienza”.

Il Mercato delle Gaite ha permesso di far apprezzate la cittadina umbra anche ben oltre il periodo della manifestazione:” Bevagna oggi è un centro turistico che ha visitatori durante tutti i mesi dell’anno e, grazie al circuito dei mestieri, siamo riusciti ad avere anche un turismo didattico. Per i bevanati, per i giovani e non solo, “Il Mercato delle Gaite” è un appuntamento immancabile ed insostituibile e ha un valore sociale unico che mette insieme persone di ogni generazione, dai bambini agli anziani, in un rapporto di amicizia e di apprendimento reciproco che ha un valore assoluto”

E così anche quest’anno Bevagna si prepara ad accogliere turisti e visitatori “Grazie al lavoro di tanti volontari, i quali prima programmano quello che decidono di realizzare per poi operare concretamente, realizzando strutture, mestieri, scene, banchi, botteghe ad opera d’arte, tanto che i medievisti chiamati a giudicare tale lavoro rimangono solitamente sempre sorpresi dallo scrupolo e dall’attinenza con cui viene svolto il lavoro”

Un momento della manifestazione (Foto per gentile concessione della Sindaca di Bevagna, Professoressa Annarita Falsacappa)

Dietro a tanto lavoro si cela un impegno che: “Tranne pochi mesi d’estate, è richiesto tutto l’anno”, in vista della successiva edizione.

Gli abitanti amano particolarmente questa manifestazione:” La nostra è una bella festa, perché l’intera popolazione partecipa a partire dai giovanissimi, ancora bambini, fino agli anziani”.

 E così in un mondo dove il passato sembra essere solo un libro impolverato che nessuna sfoglia più, Bevagna lo custodisce e lo divulga: “E’ fondamentale, in quanto solo conoscendo il passato si conosce la propria storia e quindi si può lavorare per farla conoscere agli altri, mettendo in luce la bellezza del tempo, i segni che ha lasciato, ricongiungendo quel filo che arriva fino ad oggi. Fare questa operazione con i giovani è straordinario, vederli illustrare le tecniche antiche, utilizzare i propri studi per ricreare e allestire il medioevo compresi gli strumenti di quel periodo… davvero non ha valore. Vederli leggere i documenti antichi e riproporre le indicazioni degli uomini che ci hanno preceduto da molti secoli conferisce un effetto unico, come lo è la capacità di ogni volontario di sentirsi a proprio agio nel medioevo, perché se ne è riappropriato e quindi è pronto a trasmetterlo nelle sue più diverse sfaccettature alle persone di oggi, calandosi in una dimensione in cui l’uomo era padrone del tempo

Ringrazio la Sindaca di Bevagna, Professoressa Annarita Falsacappa, la quale ci ha permesso, attraverso il suo entusiasmo, di ripercorrere l’antica storia del centro umbro, una storia che sarà fruibile a tutti coloro che, durante l’ultima settimana di giugno, arriveranno a Bevagna per assistere alla 36° edizione de “Il Mercato delle Gaite”.

                        Alessandra Fiorilli

Cibi congelati e surgelati: ne parliamo con il Professor Rolando Alessio Bolognino, Biologo Nutrizionista

Congelare e surgelare, nell’accezione comune, vengono talvolta erroneamente usati come sinonimi: è necessario fare chiarezza su queste due modalità di conservazione del cibo e sulle loro caratteristiche. Ne parliamo con il Professor Rolando Alessio Bolognino, Ricercatore e Biologo nutrizionista in campo oncologico e di prevenzione, esperto in alimentazione sportiva, Docente Universitario a contratto presso l’Università Unitelma La Sapienza di Roma, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma,  Istruttore Protocolli Mindfulness, nonché  autore di libri e pubblicazioni scientifiche, Divulgatore scientifico in radio e televisione: :” Procediamo con un primo distinguo: tra cibo congelato e cibo surgelato ci sono delle differenze e le più rilevanti riguardano le temperature e il tempo necessario per raggiungerle”.

Il Professor Rolando Alessio Bolognino (Foto per gentile concessione del Professor Rolando Alessio Bolognino)

Vediamole in dettaglio :”  Un alimento congelato raggiunge in media i -5/-15°C con tempi lunghi, i cristalli di acqua che si formano sono grandi e al momento dello scongelamento fanno perdere parte dei valori nutrizionali. Gli alimenti surgelati raggiungono, invece,  i -18°C rapidamente e i cristalli che si formano preservano l’alimento”.

Inoltre :” Il congelamento è tipicamente domestico, la surgelazione avviene solo a livello industriale”.

Il discorso sulla temperatura è di rilevante importanza: “ E’ sicuramente il parametro principale quando si parla di sicurezza alimentare. La formazione di cristalli di ghiaccio rende inaccessibile l’acqua ai microrganismi, impedendone la proliferazione. Bisogna sapere però che le basse temperature non uccidono i batteri ma li inattivano; questi, infatti,  rimarranno “ibernati” fino allo scongelamento”.

C’è una tendenza diffusa a congelare un alimento acquistato fresco e a congelarlo, ma in molti si chiedono se questa procedura possa in qualche modo alterare le qualità organolettiche e le proprietà nutritive: Il cibo nel congelatore indubbiamente  conserva vitamine e minerali meglio e più a lungo rispetto a quello che viene lasciato per giorni nel frigorifero, con il rischio, poi di doverlo gettarlo via.  C’è da aggiungere, però, come le tempistiche lunghe che consentono la formazione di cristalli di acqua di grandi dimensioni, possono rompere le cellule e modificare la struttura dell’alimento, alterandone le proprietà nutritive e organolettiche”.

C’è chi, per motivi di tempo, cuoce le verdure per congelarle e tirarle via dal freezer al momento del bisogno: Alcune tipologie di verdure come spinaci, bieta, fagiolini, broccoli, carote, asparagi, verza si prestano ad essere congelate dopo essere state sbollentate un paio di minuti e raffreddate”.

 In molti, però,  si chiedono se ad essere congelate possono esserlo anche le verdure fresche e persino la frutta: E’ necessario prestare attenzione  alla frutta e alla verdura che si sceglie: alimenti ricchi di acqua come lattuga, cetrioli, cipolla, ananas, cocomero, durante il congelamento andranno incontro a rottura delle pareti cellulari, perdendo, una volta scongelati, sapore e proprietà nutritive”.

Congelare in modo corretto significa anche controllare bene la data di scadenza del prodotto che si vuole mettere in freezer :” Secondo le Direttive europee, nonché del Ministero della Salute, carni in prossimità della scadenza non dovrebbero essere congelate  perché c’è il rischio che si sia verificata già la proliferazione batterica: quindi si congela un alimento già contaminato. Il modo migliore potrebbe essere cuocere gli alimenti e successivamente congelarli per ridurre al minimo la possibile contaminazione batterica.”

Importante anche porre attenzione alle dimensioni del cibo da congelare:” Preferire quelle piccole mentre il pesce :”Va sempre prima eviscerato”.

Importante anche la temperatura del cibo che si intende congelare: Gli alimenti possono essere congelati se freddi o a temperatura ambiente. Non si possono congelare alimenti ancora caldi, questo è deleterio sia per l’alimento che per il freezer. Un cibo introdotto caldo abbassa la temperatura del freezer e rischia di compromettere la conservabilità di tutto ciò che è congelato”.

Da osservare scrupolosamente il tempo massimo nel quale poter consumare i prodotti congelati in casa:” E’ buona norma  farlo entro 3 mesi dalla loro preparazione, anche se per alcuni si può arrivare fino a 1 anno”.

Pure il modo di confezionamento deve essere corretto: Se l’alimento non è confezionato ermeticamente, l’aria penetra al suo interno e ne favorisce la disidratazione. La superficie che è entrata in contatto con l’aria assume un colore grigiastro”.

Diverso il discorso per i cibi surgelati che acquistiamo al supermercato: “I prodotti surgelati, come specificato anche dal Ministero della Salute, sono “teoricamente” non deperibili, a patto che venga mantenuta la catena del freddo, quindi il prodotto può essere consumato anche oltre la data riportata sulla confezione (non supererei un paio di mesi), anche se possono esserci delle alterazioni a livello di sapore e/o consistenza”.

Di vitale importanza  rispettare la catena del freddo : Come sostiene anche il Ministero della Salute, è assolutamente sconsigliato ricongelare il cibo scongelato. E tale pratica è ammessa solo nel caso in cui il cibo, prima di essere ricongelato, sia stato cotto. Il motivo è che ricongelare il cibo scongelato farebbe proliferare i batteri, e la cottura, invece, ne bloccherebbe la crescita arrivando ad ucciderli.

Una curiosità sulle uova: Le uova intere con il guscio non possono essere congelate, perché il freddo lo farebbe esplodere, con un rischio   di contaminazione  molto elevato. È, pertanto,   necessario separare albume e tuorlo. L’albume può essere conservato tal quale e durare 3-5 mesi. I tuorli andranno sbattuti e si dovrà aggiungere 1-2g di zucchero per tuorlo se saranno utilizzate per un dolce, oppure di sale se serviranno per una preparazione  salata. Questo eviterà che il tuorlo diventi granuloso”.

                                             Alessandra Fiorilli

Sindrome dell’ovaio policistico: ne parliamo con la Dottoressa Francesca Sagnella, Ginecologa

La sindrome dell’ovaio policistico, con un’incidenza tra il 10 e il 15%, è di tipo:  Endocrino- metabolica e presenta i seguenti elementi: caratteristiche ecografiche di ovaio micropolicistico, irregolarità mestruali ed eccesso di ormoni androgeni, ovvero maschili,  (proprio per questo motivo le donne che soffrono di tale sindrome possono soffrire di alopecia, quindi perdita di capelli nella parte centrale del capo),  acne,  irsutismo (ossia presenza di peluria in zone tipicamente maschili quali il volto, il collo, l’addome, la schiena). Tra questi, il sintomo che maggiormente preoccupa le donne, in quanto influisce sulla sfera della fertilità, è rappresentato dalle irregolarità mestruali causate da un difetto ovulatorio che può comportare cicli mestruali sporadici (oligoamenorrea) o assenti (amenorrea)”.

 A parlare è la Dottoressa Francesca Sagnella, Specialista in Ginecologia e Ostetricia, Dottore di Ricerca in Fisiopatologia della Riproduzione Umana, la quale ci tiene a sottolineare una differenza di fondamentale importanza: ”Si parla spesso di ovaio policistico, termine questo con il quale si indica un ovaio che, all’esame ecografico, appare con un numero aumentato di follicoli rispetto alla norma (oltre 12 per ovaio). Tali follicoli, con un diametro che va dai 2 agli 8 millimetri, sono tipicamente disposti a corona di rosario, quindi verso la superficie esterna delle ovaie, mentre la superficie interna dell’ovaio (stroma) rimane compatta. L’ovaio con tali caratteristiche non sempre si associa alla vera e propria “sindrome dell’ovaio policistico” (PCOS), condizione ben più complessa dal punto di vista clinico”.

La Dottoressa Francesca Sagnella, Ginecologa (Foto per gentile concessione della Dottoressa Sagnella)

La definizione di “sindrome dell’ovaio policistico”: “ Fu introdotta nel 1935 dai dottori Stein e Leventhal ed è stata oggetto di studi per decenni; trattandosi, infatti, di una sindrome con caratteristiche eterogenee e non sempre coesistenti, è stato difficile trovare un accordo in ambito scientifico  per delinearne i criteri diagnostici. Oggi la definizione viene posta in base ai criteri proposti nel 2003 a Rotterdam, in base ai quali si parla di PCOS se coesistono almeno due dei tre elementi che la caratterizzano, ovvero: ovaie con aspetto policistico, iperandrogenismo clinico o biochimico, irregolarità mestruali). Proprio perché si tende a parlare di sindrome anche quando la donna presenta soltanto le caratteristiche ecografiche dell’ovaio policistico, la percentuale di chi ne è veramente affetta è sovrastimata. Un aspetto non meno importante della sindrome è rappresentato dall’ obesità centrale, anche se quest’ultimo non rientra, a rigor scientifico, negli elementi diagnostici. L’obesità centrale si associa ad un’alterazione del metabolismo glucidico ( insulinoresistenza/ iperinsulinemia) presente nel 70% circa delle pazienti con PCOS”.

Tale sindrome, come abbiamo già detto, si accompagna spesso a segni quali acne, alopecia, irsutismo e sovrappeso pertanto: “Può creare un disagio psicologico particolarmente forte nelle adolescenti”.

L’inquadramento corretto della donna affetta da tale sindrome: “Richiede l’esecuzione di esami sia metabolici che ormonali. Tra quelli metabolici è fondamentale la curva glicemica e insulinemica dopo carico glucidico, ovvero il test che va a misurare la concentrazione della glicemia e dell’insulina nel sangue, a seguito di un carico standard (75g) di glucosio. Il pancreas, infatti, in presenza di insulinoresistenza,  produce quantità eccessive di insulina che favorisce l’accumulo di grasso, responsabile di sovrappeso e obesità centrale, tipica degli uomini. La presenza di grasso viscerale, inoltre, rappresenta un fattore di rischio cardiovascolare e si associa a livelli elevati di colesterolo e trigliceridi e, talvolta ad alterazioni del fegato (steatoepatite)”.

Alla luce di ciò: “La perdita di peso dell’8/10%,  coadiuvata da una regolare attività fisica unita alla dieta, può alleviare la sintomatologia, inducendo un miglioramento non soltanto metabolico, ma anche della funzionalità ovarica e pertanto della fertilità”.

Per tale sindrome: Non esiste una terapia unica e definitiva ma molteplici strategie terapeutiche per gestire i sintomi e le esigenze della paziente.  Mi spiego meglio. La ragazza che ha il ciclo irregolare e problemi di acne e/o irsutismo, ad esempio, può beneficiare di una terapia estroprogestinica specifica (pillola) per qualche anno; va però sottolineato che, una volta sospesa l’assunzione della pillola, nel giro di qualche mese i sintomi tendono a ripresentarsi. Talvolta, invece, invece, va gestito farmacologicamente il disordine metabolico, anche attraverso la prescrizione di farmaci per controllare l’insulinoresistenza. Nella donna desiderosa di prole, invece, possono essere di aiuto farmaci che inducano l’ovulazione, per superare il problema dell’infertilità. Ribadisco però che lo stile di vita sano, quindi una corretta alimentazione e un’adeguata attività fisica, rappresentano la terapia di prima linea per queste donne”.

Per chi soffre di tale sindrome la menopausa non significa la cessazione delle problematiche ad esse connesse:  Le donne con PCOS hanno un aumentato rischio di sviluppare un diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari ed endometriali (ispessimento della mucosa che riveste la cavità uterina  e rischio di tumori più elevato a causa proprio dell’iperplasia)”.

La sindrome dell’ovaio policistico è:  “Una malattia multifattoriale, esiste quindi una predisposizione a svilupparla ma intervengono, su questa, molteplici fattori ambientali”.

Ringrazio la Dottoressa Francesca Sagnella per la grande chiarezza che mostra nel parlare di temi comunque complessi.

E sempre la Dottoressa ci tiene a sottolineare come: Oltre all’ovaio policistico, esiste un quadro ecografico simile, ma clinicamente differente e meno complesso, che è  l’ovaio multifollicolare. Dal punto di vista funzionale rappresenta un ovaio per certi aspetti “immaturo”, che spesso si associa a irregolarità mestruali ma, a differenza del policistico, si caratterizza per un numero inferiore di follicoli che non hanno la tipica disposizione “a coroncina”. L’ovaio con aspetto multifollicolare è molto comune nelle adolescenti, ma lo si può  riscontrare anche in  donne adulte che praticano un’eccessiva attività fisica, che soffrono di anoressia nervosa o in periodi di forte stress”.

                                                 Alessandra Fiorilli

“Arezzo Città Del Natale” è pronta ad accogliere i turisti dal 18 Novembre. Parliamo di quest’evento con l’Assessore Simone Chierici.

8 anni fa la decisione di voler donare una rinascita ad Arezzo, la città toscana con gli affreschi di Pier della Francesca, il Crocifisso di Cimabue, la casa del Vasari.

 8 anni fa la prima edizione di quella che sarebbe diventato uno degli appuntamenti natalizi tra i più apprezzati nel panorama italiano durante le Festività, con il Mercatino Tirolese in Piazza Grande, il gioco di luci sui palazzi che si affacciano sulla stessa, il Parco cittadino “Prato” addobbato a festa.

Un particolare del gioco di luci sui palazzi di Piazza Grande (Foto di Lorenza Fiorilli)

8 anni di un appuntamento che ha rilanciato la città natale del Vasari, l’artefice del Palazzo degli Uffizi a Firenze, e l’ha resa simbolo del periodo più magico dell’anno.

8 anni fa la nascita di “Arezzo Città del Natale”.

La ruota panoramica installata nel parco comunale “Il Prato” (Foto di Lorenza Fiorilli)

Un appuntamento, questo, che ha subito il forzato stop solo nel dicembre 2020, l’anno della pandemia: “Siamo ripartiti subito l’anno successivo, con un po’ di timore a causa di tutto quello che avevamo vissuto. Invece l’edizione 2021, anche se più breve del solito, ha registrato un successo inaspettato. Mentre lo scorso anno, sino ad ora, è stato quello della consacrazione della rassegna” ci dice Simone Chierici, Assessore al Turismo nonché Presidente della Fondazione “Arezzo Intour”, ovvero “Il Braccio Operativo della città per quanto attiene al turismo, alla promozione della destinazione e agli appuntamenti che la città offre nel corso dell’anno, non solo a Natale”.

L’Assessore al Turismo del Comune di Arezzo, Simone Chierici (foto per gentile concessione dell’Assessore Simone Chierici)

Uno dei simboli di Arezzo, durante le festività più attese dell’anno, è il Mercatino Tirolese : “Un’iniziativa che fu proposta dall’Associazione Commercianti di Arezzo, che organizza e gestisce Piazza Grande in quel periodo, con il patrocinio del Comune. La prima edizione fu prodromica a ciò che poi è diventata “Arezzo città del Natale”; dal mercatino in Piazza Grande, con le tipiche casette in legno dove si potevano degustare specialità tirolesi o acquistare  prodotti tipici  del Tirolo si è passati poi alla rassegna odierna. Ancora oggi, il mercatino nella piazza principale e più pittoresca della città, è organizzato da Confcommercio”.

Dalla Fondazione Arezzo InTour sono invece gestite le attrazioni che animano “Il Prato”, ovvero il più grande parco cittadino che, dall’alto, domina la città: “Qui si trovano gli stand che offrono prodotti  enogastronomici e dell’artigianato prevalentemente locali”.

Sempre sul Prato si trovano installazioni a led che, dal tramonto, si sposano in un tripudio di luci, con la ruota panoramica:”Non solo una delle attrazioni più apprezzate, ma il simbolo della rassegna stessa. Il Prato, infatti è il punto più alto della città, quindi immaginiamo lo spettacolo che regala la ruota dai suoi circa 30 metri d’altezza, specie dall’imbrunire, quando si assiste al gioco di luci da quel punto di vista privilegiato”.

Un’organizzazione, quella di “Arezzo Città del Natale” che inizia appena si archivia l’edizione dell’anno in corso :” Si inizia a pianificare il tutto già nel mese di febbraio e in quello  di settembre ci si attiva per l’affitto delle casette al Prato, dove è sempre nostra intenzione offrire la qualità e la sapienza artigianale del nostro territorio.”

Oltre all’allestimento che si trova al Prato, un altro simbolo della città nel periodo natalizio è il mapping sui palazzi che si affacciano su Piazza Grande: “Quest’anno ci sarà una novità: il gioco di luci avverrà anche sul bosco della Fortezza che si affaccia proprio sul Prato”.  

Particolare del mapping sui palazzi che si affacciano su Piazza Grande (Foto di Lorenza Fiorilli)

Un programma vastissimo, quello dell’edizione 2023 che: Inizierà sabato 18 Novembre e terminerà il 7 Gennaio”.

Le attrazioni che animeranno le vie e le piazze della città del Vasari sono, come sempre: “In itinere, perché molto dipende anche dalle condizioni atmosferiche che nel tempo ci hanno costretto a modificare i programmi”

Con un pizzico di sano orgoglio aretino, l’Assessore Chierici ci tiene a sottolineare la presenza degli Sbandieratori della Città di Arezzo:” Le loro esibizioni lasciano sempre tutti a bocca aperta: non è un caso che siano considerati i più bravi di tutta Italia” e del Gruppo Musici della Giostra “Anch’essi particolarmente apprezzati nelle loro uscite in centro, sia dai turisti che dagli stessi aretini che si riconoscono nel suono delle loro chiarine”.

“Arezzo Città del Natale” si conferma essere un appuntamento al quale decine e decine di migliaia di persone non vogliono mancare:” Nell’edizione scorsa le strutture ricettive del Comune di Arezzo hanno registrato, nel periodo natalizio, circa 70000 presenze, alle quali si vanno ad aggiungere coloro i quali hanno trascorso nella nostra città solo una giornata e coloro che hanno soggiornato in camper. Quindi possiamo affermare, con approssimazione forse in difetto, che ad Arezzo nel periodo tra fine Novembre, Dicembre ed inizi di Gennaio siano arrivati circa 100000 persone.  L’edizione scorsa, quella del 2022, è andata ben oltre le più rosee aspettative. E’ una grande soddisfazione per tutta la città, per le istituzioni locali e per la Fondazione che presiedo.  Ma il successo di un’edizione ci fa alzare ancora di più l’asticella per quella dell’anno successivo”.

La soddisfazione più grande: ”E’ comunque quella di essere riusciti a far conoscere e a far apprezzare Arezzo  anche quando Natale è archiviato, con tutte le sue luci. Possiamo affermare che “Arezzo Città del Natale” è solo la ciliegina sulla torta se consideriamo un dato: nel 2022 le presenze complessive nelle strutture ricettive sono state circa 503000. Se a  questo lusinghiero dato andiamo a sottrarre le 70000 presenze del periodo natalizio, ebbene, più di 430000 persone hanno visitato la città durante i restanti mesi dell’anno. La gente sta tornando ad apprezzarla, con nostra grande gioia e soddisfazione”.

Un’immagine dell’edizione del 2022 che ha consacrato Arezzo “Città del Natale” (Foto di Lorenza Fiorilli)

Ad Arezzo, inoltre, si svolge, ogni prima domenica del mese e il sabato precedente, la “Fiera dell’Antiquariato” che solitamente si tiene in Piazza Grande ma che, nel periodo natalizio, si sposta in un’altra location:  “Anche quest’appuntamento, lo scorso anno, ha registrato il “tutto esaurito”   tra novembre ed i primi di gennaio”.

E così, dal 18 Novembre, Arezzo è pronta a cullare  i turisti con le sue luci, i suoi sapori, i suoi palazzi, le sue chiese, le sue piazze e  la sua storia tutta da scoprire.

                              Alessandra Fiorilli

Il Dottor Lino Cavedon, Psicologo e Psicoterapeuta, ci parla degli IAA, Interventi Assistiti con gli Animali , delle Linee Guida e del Centro di Referenza Nazionale

Intervistare il Dottor Lino Cavedon è un viaggio nella psicologia umana, in quelle ferite invisibili dell’animo che pochi riescono a scorgere, ma è anche un cammino che, attraverso un’intuizione, la passione per il proprio lavoro e conoscenze scientifiche, ha condotto agli IAA, gli Interventi Assistiti con gli Animali.

Laureato in Psicologia clinica presso l’Università degli Studi di Padova, specializzato in Psicoterapia, il Dottor Lino Cavedon, dopo esperienze lavorative che lo hanno visto ricoprire ruoli di Responsabile in Consultori familiari, nonché di consulente nel campo della procreazione medico-assistita, ha contribuito alla stesura delle Linee Guida Nazionali per gli Interventi Assistiti con gli Animali.

Il Dottor Lino Cavedon con Shana (Foto per gentile concessione del Dottor Lino Cavedon)

La storia professionale del Dottor Lino Cavedon, Psicologo affascinato dal ruolo dell’animale in campo terapeutico, è un viaggio emozionante ed emozionale che inizia da lontano :” La moderna pet-therapy è nata nel 1953 da una grande intuizione del neuropsichiatra infantile Boris Levinson che aveva in cura un ragazzino di 9 anni affetto da autismo con il quale non riusciva a stabilire nessun tipo di rapporto. Casualmente, un giorno il bambino incontrò Jingles, il cane che il Dottor Levinson aveva adottato un po’ di tempo prima e fu così che potette constatare come, per la prima volta, il piccolo paziente  fosse riuscito a stabilire uno scambio affettivo intenso e coinvolgente”.

Percorriamo ora, grazie al Dottor Cavedon il cammino che lo ha condotto alla stesura delle Linee Guida IAA: “ Ho svolto, per molti anni, attività di Psicologo in Consultori Familiari e nel Servizio Tutela Minori, nel quale ci si occupa di bambini o adolescenti che hanno subito maltrattamenti o abusi. Un giorno ebbi a che fare proprio con il trauma di una bambina abusata dal proprio padre.   quindi dalla figura protettiva che avrebbe dovuto, invece, proteggerla. Ebbene, in questa situazione ho pensato di ricorrere all’aiuto del cane: ho immaginato che una bambina con un tale trauma  si potesse abbandonare all’abbraccio del cane, creando il ponte con la propria affettività ferita.”

Dopo questa intuizione:” Decisi di intraprendere, insieme ad un gruppo di professionisti dell’Unità socio-sanitaria dell’Alto Vicentino, nel 2006, una sperimentazione nel campo della pet-therapy, creando un’equipe da me diretta con il sostegno del Direttore, il quale mi chiese di portargli in visione, dopo 6 mesi, i risultati che avremmo ottenuto”.

I risultati non solo arrivarono, ma nel 2009 :” Grazie all’allora  Sottosegretario di Stato al Ministero della Salute, fu istituito il Centro di Referenza Nazionale per gli Interventi Assistiti con gli Animali, il primo in Europa”.

Il Dottor Lino Cavedon, in qualità di membro del Centro di Referenza Nazionale per gli Interventi Assistiti con gli Animali , ricoprendone il ruolo di Direttore, non si è fermato, ma ha deciso di proseguire lungo la strada già lastricata di successi, decidendo, così, di stendere le Linee Guida Nazionali degli IAA :” Tali Linee Guida rappresentano la legittimazione e il riconoscimento delle aspirazioni di quanti credono nel valore pregnante della relazione con l’animale domestico. Nel campo degli IAA devono operare professionisti validi, adeguatamente formati che credono nel lavoro d’equipe”.

Approvate nel marzo 2015 in Conferenza Stato Regioni: “Sono state recepite da tutte le Regioni e dalle Province Autonome Italiane”.

Gli animali scelti: “Devono garantire requisiti di idoneità, occorre, pertanto che anche essi siano adeguatamente preparati, monitorati, rispettati nei loro vissuti e nelle loro predisposizioni relazionali. Accanto a un animale valido ci deve essere un coadiutore che sappia muoversi in seduta con delicatezza ed incisività, perché negli IAA l’animale è risorsa innovativa, che offre pertanto un plusvalore non presente in altre discipline”.

Sempre le Linee Guida nazionali contemplano gli ambiti di attuazione degli IAA: “Nella scuola il coniglio, il gatto e il cane sono i più idonei. Per quanto attiene invece alle strutture ospedaliere, alcuni regioni italiane hanno approvato norme che autorizzano la visita al paziente ricoverato da parte del suo animale, in modo particolare il cane . E’ una legge che riconosce il valore dell’attaccamento reciproco persona-animale e viceversa: infatti il distacco, specie se prolungato, produce l’effetto lutto. Anche i pazienti più piccoli, specie quelli ricoverati nei reparti oncologici, apprezzano la presenza dell’animale”.

Nella Residenze per Anziani, invece: “La proposta dell’incontro con l’animale domestico risulta essere particolarmente emozionante: anche sguardi persi nel vuoto vengono catturati non appena si entra con l’animale nello spazio abitativo dell’anziano. Risulta gesto frequente l’allungare il braccio per toccare il cane, per accarezzarlo e così il viso si riattiva, diventa vivo, luminoso”.

Nelle comunità di recupero per tossicodipendenti “E’ stato avviato l’allevamento dei cavalli da corsa e dei cani dei quali i giovani in fase di recupero apprendono la gestione e la cura”.

L’animale domestico: “  Diventa partner di confidenze e compensazioni anche nelle Case Famiglia per minori allontanati e nelle carceri”.

Il mondo della disabilità raccoglie esperienze significative: “L’animale si offre nella relazione al fine di realizzare un risveglio di pensieri, sensazioni ed emozioni utili ed efficaci. Il piccolo animale e il cane si prestano a un contatto quasi simbiotico con evocazioni forti riguardanti la sfera affettiva, mentre l’asino è dolce, cerca il contatto, incentiva la conoscenza, e il cavallo, specie di taglia media, offre l’opportunità di un contatto intenso con le proprie emozioni”.

Gli animali che vengono privilegiati negli IAA sono:  Il cane, il coniglio, l’asino, il cavallo, il gatto e mai in condizioni di cattività e in essi “Ciascuno trova qualcosa di sé, c’è una mediazione con il proprio mondo interiore”.

Il Dottor Lino Cavedon ha parlato degli Interventi Assistiti con l’Animale  nel libro omonimo, un manuale introduttivo pubblicato da Erickson nella Collana Editoriale dedicata agli IAA da lui diretta: Sino a 15 anni fa non esisteva una letteratura in questo settore, oggi contiamo circa 30 libri. La collana accoglierà esperienze rivolte alle persone con finalità educative formative, ricerche dedicate agli animali e alla loro formazione, nonché storie di pazienti che hanno beneficiato della relazione con gli animali”.

Vi ho  raccontato l’emozionate ed emozionale  viaggio “in itinere”  del Dottor  Lino Cavedon.

                                       Alessandra Fiorilli

Il pane…semplicemente. Parliamo di quest’elemento principe della dieta mediterranea con il Professor Rolando Alessio Bolognino.

Celebrato nelle poesie, protagonista di molti detti e proverbi popolari,  è sinonimo di lavoro, di fatica, ma anche di casa e di convivialità. E se alcune testimonianze fanno risalire la sua prima comparsa persino alla preistoria, quando gli uomini macinavano ghiande commestibili cuocendole su rocce roventi, sono stati  gli antichi Egizi,  intorno al 3500 a.C. , ad aver messo a punto  la lievitazione naturale. E sempre loro, consapevoli della grande importanza del pane, cominciarono a usarlo persino come mezzo di pagamento. I Greci lo preparavano usando anche spezie e miele, mentre i Romani riempirono la loro città di centinaia e centinaia di forni dove veniva impastato e cotto.

Il pane, a partire dagli anni ’80,  è stato più volte additato come il nemico uno della forma fisica, reo di far accumulare chili di troppo. Facciamo la necessaria chiarezza grazie al Professor Rolando Alessio Bolognino, Ricercatore e Biologo nutrizionista in campo oncologico e di prevenzione, esperto in alimentazione sportiva, Docente Universitario a contratto presso l’Università Unitelma La Sapienza di Roma, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma,  Istruttore Protocolli Mindfulness, nonché  autore di libri e pubblicazioni scientifiche, Divulgatore scientifico in radio e televisione: “ Il pane, grazie ai carboidrati che contiene, rappresenta una fonte di energia e, unitamente alle fibre, proteine, vitamine non riesce, da solo, ma soprattutto nelle giuste quantità , a far aumentare di peso”.

Il Professor Rolando Alessio Bolognino (foto per gentile concessione del Professor Rolando Alessio Bolognino)

Sfatiamo anche un altro mito: il pane fa ingrassare, contrariamente ai prodotti industriali come cracker, grissini e gallette: A parità di peso questi alimenti contengono molte più calorie del pane, ma grazie al più basso contenuto di acqua, hanno nutrienti più concentrati. Inoltre, per renderli gradevoli, vengono aggiunti zuccheri e grassi che, invece, non si trovano nel pane”.

Mentre le gallette :” Sempre a  parità di peso presentano un valore energetico molto vicino a quello del pane, ma avendo un indice glicemico più alto, non sono raccomandate per tutti. Se vogliamo, però, consumarle, dovremmo preferire quelle con meno sale e più fibra”.

Anche il pangrattato, un derivato del pane molto usato nella cucina italiana, è meglio artigianale piuttosto che industriale :” Il pangrattato è semplicemente il risultato della macinazione di pane raffermo che viene sottoposto anche a tostatura prima del confezionamento. Se invece leggiamo l’etichetta di quello industriale possiamo notare come ci siano, tra gli ingredienti, anche olii vegetali e sale. E ricordiamoci che possiamo prepararlo anche noi a casa, macinando il pane raffermo.  Anche in questo caso dobbiamo prestare attenzione alla quantità”.

Quando si parla di pane è necessario, però, fare un distinguo tra i vari tipi che troviamo in commercio: ”Se associamo la parola pane a quella di benessere e salute, dobbiamo porre l’accento sulla necessità che si parli sempre e comunque di un prodotto di buona qualità: infatti possiamo affermare che se è preparato con farine di tipo integrale o ai multicereali, diventa persino un valido alleato per perdere peso e per contrastare diverse patologie”.

Differenti tipi di pane e differenti quantità di calorie :”Il pane bianco per 100 grammi apporta circa 265 calorie e fornisce 3,2 g di grassi, 49 g di carboidrati, 9 g di proteine, 30g di acqua, 491 mg di sodio, 115 mg di potassio, 2,7 g di fibra alimentare, 260 mg di calcio e percentuali più o meno consistenti di vitamina A e B6. Nel pane integrale, che presenta maggiore quantità di fibra alimentare e sali minerali, troviamo una minore quantità di grassi e le calorie sono inferiori”.

La quantità ideale  di pane da consumare risente di molti parametri :”Partiamo dal dire che l’apporto calorico giornaliero dovrebbe provenire tra il 45 e il 60% dai carboidrati. Dobbiamo però considerare lo stile di vita, l’attività fisica giornaliera, le patologie pregresse. I LARN raccomandano una porzione media di 50 grammi di pane, tenendo però presente che un soggetto in salute che pratica esercizio fisico quotidiano potrà consumarne di più, mentre un soggetto sedentario avrà bisogno di un quantitativo minore. E’ comunque buona regola evitare nello stesso pasto di consumare il pane con altri carboidrati per evitare i picchi glicemici”.

Mentre per i soggetti diabetici :” Sarebbe consigliabile il consumo di prodotti integrali, perché la fibra contenuta in tali alimenti rallenta l’assorbimento del glucosio, quindi i livelli di glicemia si alzano meno rapidamente. Ma se proprio non si vuole rinunciare al pane bianco, è necessario limitarne la quantità”.

Una curiosità sul pane raffermo :” E’ caratterizzato dalla presenza di una particolare forma di amido resistente, l’amido retrogrado, che si forma in quegli alimenti i quali,  una volta cotti, sono lasciati raffreddare. L’amido retrogrado non è facilmente attaccabile dagli enzimi digestivi, quindi non si avrà assorbimento di glucosio, e non si osserverà, di conseguenza, un aumento elevato della glicemia”.

 Coloro che soffrono invece di colon irritabile “: Dovrebbero evitare di consumare il pane integrale perché, contenendo più fibre, queste, dopo essere state fermentate dal microbiota intestinale, causano    gonfiore addominale e alterazioni nella consistenza e frequenza dell’alvo”.

Nonostante negli ultimi anni ci sia  stato un maggiore interesse verso altre tipologie di pane, che non sia il classico bianco od integrale, sono molte le farine, con proprie caratteristiche, a darci un prodotto che, da solo, è in grado di soddisfare stomaco e palato: “ A fare la differenza è la tipologia di grano usato. Tra i più noti spiccano il grano tenero, il cui nome scientifico è Triticum Aestivum  e il grano duro, Triticum durum. Il più usato nel campo della panificazione è il primo che, raffinato, dà vita alle farine di tipo 00, la 0, la 1, la 2 e l’integrale, in base alla quantità di fibra che rimane. Il grano duro serve per l’ottenimento della semola che, oltre ad essere ampiamente usata per la produzione della pasta, è anche l’ingrediente principe del famoso pane di Altamura. La farina di segale, che dà vita all’omonimo pane, scuro e con crosta più doppia, presenta  un contenuto di glutine leggermente inferiore rispetto alla farina di frumento, con una maggiore quantità  di sostanze minerali e fibre. Molto aromatica e con sentori di nocciola è la farina di farro, con un alto contenuto di glutine e con una maggiore quantità di proteine e minerali rispetto a quella di frumento”.

Il grano saraceno, invece :”Oltre a rientrare nella categoria dei grani pregiati, ha anche una bassissima concentrazione di glutine che ne aumenta la digeribilità, mentre il basso indice glicemico permette di tenere sotto controllo i livelli di insulina”.

Mentre i grani antichi :” Contengono percentuali di glutine inferiori a quelle dei grani moderni, risultano più digeribili ma l’impasto è meno elastico”.

Negli ultimi tempi si trovano altri tipi di pane, quali quelli di mais o di riso: “ Questi cereali  sono privi di glutine,  quindi  consigliati a chi non può consumarlo, come i celiaci. Ma proprio perché non  contengono glutine, queste farine  non sono particolarmente adatte alla lievitazione, per la bassa forza che hanno, quindi si otterranno dei prodotti che avranno delle caratteristiche organolettiche differenti rispetto al pane tradizionale, oltre anche a delle differenze nutrizionali”.

Sempre di recente e sempre più frequentemente si sente parlare di pane con lievito madre :” Il lievito madre presenta un numero maggiore di microrganismi che digeriscono un numero superiore di varietà di componenti della farina. Si chiama anche pasta acida perché crea un ambiente che favorisce la fermentazione lattica con produzione di acido lattico, conferendo un sapore caratteristico ai panificati che risultano anche  più facilmente digeribili

Mentre il tradizionale lievito di birra :” E’ caratterizzato da colonie di un fungo microscopico (Saccaromyves Cerevisiae), che vengono allevate e pressate allo stato fresco nei tipici panetti morbidi, ricchi fino al 70 per cento di umidità. Questi lieviti attivano la fermentazione alcolica una volta inseriti nell’impasto”

I lieviti chimici invece: “ Sono composti da una miscela di bicarbonato di sodio e acido tartarico, che rende i dolci soffici e porosi in un tempo brevissimo”. 

C’è un aspetto della farina del quale non sempre ne se parla, ma che è utile sapere perché ci aiuta a scegliere quella migliore per l’uso a cui è destinata :” La capacità di assorbire acqua e trattenere l’anidride carbonica che viene a formarsi durante le varie fasi della lavorazione, prende il nome di “forza della farina”. E tale caratteristica fa sì che più una farina è forte, più riesce a tenere bene la lievitazione. Pertanto le farine forti, ovvero quelle che hanno un indicatore di forza tra 320 e 260 W sono indicate per pane e pizza, quelle tra 250-190 W per la pasticceria mentre con un indicatore 180-190 sono le migliori per la preparazione di pasta frolla e biscotti”.

Di qualsiasi tipo esso sia, il pane rimane il principe della tavola, specie di quella mediterranea e recarsi dal fornaio tutti i giorni è anche un piacere, ma se non si ha questa possibilità e lo si acquista per tutta la settimana, ecco come conservarlo al meglio :” E’ necessario riporlo in un sacchetto di carta al fine di conservare meglio l’umidità, ancora meglio sarebbe riporlo in un’ulteriore sacchetto per alimenti di plastica, cosi da limitare l’evaporazione”

C’è chi, invece, acquistandolo in grandi quantità, preferisce congelarlo: “ Con il congelamento sicuramente aumenta il tempo di conservazione, ma andiamo ad alterare le caratteristiche organolettiche del pane, una volta scongelato la sua gradevolezza al gusto potrebbe essere modificata”.

Se, nonostante tutte le accortezze per conservarlo nel migliore de modi, dovessimo accorgersi della presenza di muffa :“ E’ buona norma non eliminare soltanto la parte ammuffita, ma gettare l’intero alimento, questo perché, anche se non visibile, la muffa potrebbe essere penetrata anche all’interno”.

                                       Alessandra Fiorilli

Merano si prepara a celebrare le sue tradizioni e il suo territorio con la “Traubenfest”, la “Festa dell’Uva”

Adagiata all’incrocio fra Val Passiria e Val Venosta, abbracciata dalle cime del Sud Tirolo, coccolata da un clima mite, Merano è stata, sin dal 1800, meta di una villeggiatura che apprezzava questo perfetto connubio tra l’ambiente montano e le temperature mediterranee.

Molti gli illustri ospiti della città che, vantando un’aria pulita e cristallina, sorge a 325 metri di altitudine: dall’imperatrice Sissi, la quale strinse con la città un legame d’amore profondo, allo scrittore Franz Kafka.

Gli ospiti che nel 1800 arrivavano dal Nord Europa trovavano a Merano un clima gradevole, anche durante la stagione invernale, il dolce fragore del fiume Passirio e le sue Terme, che ancora oggi sono l’emblema di una città a forte vocazione turistica.

Proprio sul finire del XIX secolo, precisamente nel 1886, il meranese Carl Wolf, Scrittore Autore e Regista Teatrale, ideò la “Festa dell’Uva”: “Non si conosce il motivo preciso di questa scelta. Possiamo presumere, però, che la decisione di Wolf fu dettata dal fatto che la stagione prettamente turistica finisse proprio nella seconda metà del mese di ottobre. Pertanto, per concludere degnamente tale periodo, pensò di organizzare una festa per celebrarlo e per onorare i frutti autunnali del territorio, quali le mele e l’uva”, ci dice Evi Kobald, responsabile di quest’appuntamento annuale così carico di valori simbolici per la città.

Particolare del Carro della Corona di Mele. (Per gentile concessione dell’Azienza di Soggiorno di Merano/ Karhleinz Sollbauer)

“Sin dal secolo XIX, le città a vocazione turistica come Merano, accoglievano i propri villeggianti dal periodo pasquale fino alla prima decade di ottobre che era, per questo motivo, considerato dai meranesi il culmine di quel periodo dell’anno chiamato “l’autunno d’oro”, per la ricchezza dei frutti che la terra donava”.

Un momento della sfilata (Per gentile concessione dell’Azienda di Soggiorno di Merano/Karhleinz Sollbauer)

Nonostante ormai Merano offra ai suoi turisti appuntamenti anche durante l’autunno inoltrato e l’inverno come: “Il WineFestival a Novembre e i mercatini di Natale che si snodano lungo il Passirio”, la Festa dell’Uva rimane un momento importante, non solo per la città di Merano, ma anche per le centinaia di migliaia di turisti che ogni anno rimangono incantati dalla sfilata.

Anche quest’anno, sabato 14 e domenica 15 ottobre, la città prediletta dalla Principessa Sissi, è pronta ad onorare, con questa festa, le sue più antiche tradizioni e quei prodotti che l’hanno resa famosa.

Quest’anno la due giorni di cultura, gastronomia e artigianato locale, si arricchirà di una novità: “Ospiteremo il 75° Anniversario dell’Associazione delle Bande musicali dell’Alto Adige che hanno già festeggiato queste “nozze di brillante” a Bolzano, lo scorso mese di maggio. A Merano si esibiranno le bande giovanili, nella mattina di domenica 15 ottobre, nelle tre piazze: Terrazza Kurhaus, Piazza Terme e Via Cassa di Risparmio. La città è lieta di accogliere questi giovani e ci piace pensare che, essendo loro il nostro futuro, saranno proprio loro i continuatori, negli anni a venire, delle tradizioni locali e dei valori”.

Le bande musicali che sfilano lungo il corteo: “Arrivano principalmente dall’Alto Adige e ricevono, ad inizio anno, la comunicazione e l’invito, mentre per la altre bande dal resto d’Italia, che chiedono di prendere parte all’evento, è prevista una valutazione della commissione incaricata la quale valuterà i costumi e il numero dei componenti: il gruppo deve essere di almeno 35-40 persone”.

Un particolare degli abiti di alcuni partecipanti (Per gentiile concessione dell’Azienda di Soggiorno di Merano/ Karhleinz Sollbauer)

La Festa dell’Uva, che riempirà anche quest’anno le vie e le piazze di Merano con le sue musiche, gli abiti tradizionali, i cavalli, l’uva, le mele, richiede un grande impegno: Ad inizio anno si comincia a predisporre un calendario di massima, ma è dal mese di luglio che i lavori entrano nel vivo, grazie alla collaborazione tra le varie istituzioni e l’Azienda di Soggiorno della città”.

La passione e l’orgoglio della propria terra è tangibile durante tutta la sfilata del corteo che, lo scorso anno, ha richiamato: Circa 30000 turisti”.

Il momento culminante della festa è la sfilata dei due carri maggiormente rappresentativi: “Il carro della Corona di Mele fu realizzato per la prima volta nel 1949 ed è il più antico della Festa dell’Uva. E’conosciuto anche come il carro di Marlengo perché è proprio da questo paese situato su un pendio ad ovest di Merano, che arrivano le mele protagoniste assolute di questo carro dalle grandi dimensioni: lungo 5 metri e largo 2,20 metri, ha un peso di 2,3 tonnellate delle quali 500 chili sono dovuti proprio alle mele. A trainare il carro ci sono 4 cavalli guidati da persone esperte le quali devono aver conseguito un apposito patentino”.

Il secondo carro, presente alla sfilata dal 1951, è quello: “Dell’uva gigante, il Kundschafter, che arriva da Lagundo, paese ricco di vigneti e che si trova alle porte di Merano. E’ alto 4,5 metri, largo 1.60 e pesa circa mezza tonnellata. Il solo grappolo misura un metro e mezzo di altezza”.

Particolare del Carro dell’Uva (Per gentile concessione dell’Azienda di Soggiorno di Merano/ Karhleinz Sollbauer)

E se lo scorso anno: “Sono stati 45 gli elementi del corteo, quest’anno saranno ben 75”.  

La storica sfilata che, partendo da Porta Venosta, sfilerà per via delle Corse, corso Libertà Superiore, Passeggiata Lungo Passirio, Ponte Teatro, Piazza Terme e via Garibaldi, sarà solo il momento conclusivo di una due giorni di festa che avrà inizio sabato 14 ottobre, quando Merano accoglierà i turisti con mostre fotografiche e mercatini meranesi con prodotti alimentari regionali e artigianato locale.

Le tradizioni sono quel legame che uniscono, in unico nodo d’amore per il proprio territorio, il passato al futuro, passando per un presente che vuole celebrare le radici e gli antichi valori: è quello che accadrà a Merano sabato 14 e domenica 15 ottobre.

                                              Alessandra Fiorilli

Ode all’uva: come e quando consumarla per sfruttarne le sue proprietà. Ne parliamo con il Professor Rolando Alessio Bolognino

I Fenici la portarono, dalle loro terre, in Grecia e, a loro volta, gli Ellenici, dopo aver colonizzato l’Italia meridionale, fecero conoscere agli abitanti della nostra penisola la sua coltivazione che venne poi continuata dagli Etruschi, prima, e dai Romani poi.

Stiamo parlando della vite, pianta, questa, che è legata a doppio filo con la storia dell’umanità, dato che le prime testimonianze parlano della presenza della vitis vinifera in Cina circa 7000 anni fa.

Alcuni retrodatano la sua prima apparizione nel lontano Neolitico, quando gli uomini scoprirono che dalla fermentazione del frutto della vite si poteva produrre una bevanda.

Molteplici i significati simbolici dell’uva: abbondanza, ricchezza, fertilità.

I grappoli sono stati immortalati anche in molti dipinti: il grande Caravaggio li scelse, più volte, come protagonisti delle sue opere, come nel “Canestra di frutta”,  mentre Monet  li dipinse nella “Natura morta con mele e uva” all’interno del quale il cesto è strabordante di grappoli rotondi, perfetti, dorati ed invitanti.

Ma l’uva, simbolo dell’autunno, è anche un frutto dalle mille proprietà, come afferma il Professor Rolando Alessio Bolognino, Ricercatore e Biologo nutrizionista in campo oncologico e di prevenzione, esperto in alimentazione sportiva, Docente Universitario a contratto presso l’Università Unitelma La Sapienza di Roma, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma,  Istruttore Protocolli Mindfulness, nonché  autore di libri e pubblicazioni scientifiche, Divulgatore scientifico in radio e televisione.  

Il Professor Rolando Alessio Bolognino (foto per gentile concessione del Professor Rolando Alessio Bolognino)

    
Conosciamola più da vicino attraverso la sua “carta d’identità”, grazie alla quale la apprezzeremo non solo come un frutto dolce e gustoso: “Contiene acqua, zuccheri, fibre, sali minerali quali potassio, ferro, fosforo, calcio, manganese, magnesio, iodio, silicio, cloro, vitamine A, B, C, K e polifenoli. 100 g di uva apportano 61 kcal (una mela o un kiwi ne hanno circa 50 kcal), gli zuccheri, con 15,6 su 100 grammi, sono la voce più consistente, seguita da proteine, 0,5 g/100, e grassi, 0,1g/100. Una porzione da portata equivale a circa 150 grammi e dato che, come abbiamo visto, contiene molti zuccheri, chi è diabetico dovrebbe consumarla con moderazione, soprattutto dovrebbe prediligerne il consumo a colazione o come spuntino. Per tutti gli altri, il consiglio è di mangiarla di giorno e lontano dai pasti. Per chi invece non riesce a rinunciare al “dolcetto” dopo cena, diciamo che l’uva è una scelta molto più salutare”.

Dagli acini  arriva un grande aiuto contro: Astenia, fragilità del sistema nervoso e di quello osseo, stipsi, malattie della pelle”.

Non sono pochi coloro i quali, complice la bontà di tale frutto, decidono di seguire la cosiddetta “dieta dell’uva”  che, in gergo tecnico, prende il nome di Ampeloterapia, la quale permette di purificare intestino e fegato grazie alla presenza di acqua, fibre, sali minerali e vitamine”.

 Tale dieta, però, come tante altre, non contempla il “fai da te”, non essendo “Una dieta sana e bilanciata. Richiede infatti, l’intervento di un professionista che indicherà al paziente le modalità da seguire, ovvero 200 grammi di uva preferibilmente nera, per 5 volte al giorno, per un massimo di 2 giorni consecutivi a settimana”.

Sempre il professionista potrà sconsigliarla in presenza di patologie quali :” Ulcera, colon irritabile, ipertensione, diabete e disfunzioni renali”.

 A rendere l’uva una preziosa alleata per la nostra salute sono molte sostanze, tra queste: “Il resveratrolo, una molecola ad azione antiossidante e  la quercetina,  un flavonoide che rappresenta una straordinaria fonte di energia, e proprio questa sua caratteristica la rende ottimale per fornire sostegno durante lo svolgimento dell’attività sportiva o anche  in caso di spossatezza fisica”.

Recenti studi hanno persino evidenziato come: ”L’uva possa avere un importante ruolo nella regolazione sonno- veglia grazie alla  la presenza di melatonina, ormone che  la nostra ghiandola pineale produce proprio durante il sonno”.

Non solo, ma questo delizioso frutto autunnale è prezioso anche per aumentare: “ Il senso di rilassamento e di piacere, grazie all’elevato contenuto di zuccheri semplici,  che consente di stimolare il sistema limbico del piacere, inducendo la produzione di betaendorfine”.

Ovviamente, nonostante le tante qualità dell’uva, può esserne sconsigliato il consumo: “E’ controindicata in persone affette da calcoli renali, gastroenterocoliti, ulcera gastro-duodenale, diverticoliti e diverticolosi”.

L’uva sembra avere benefici effetti anche sul cervello: “ In uno studio di 12 settimane su 111 anziani sani, 250 mg al giorno di un integratore a base di questo frutto hanno migliorato significativamente i punteggi in un test cognitivo che misurava attenzione, memoria e linguaggio rispetto ai valori di base”.

I deliziosi grappoli:” Contengono polifenoli i quali sono in grado di modulare positivamente la componente batterica aumentando il numero di Lactobacillus e Bifidobacterium e pertanto hanno un effetto anche sul microbiota intestinale.”.

Ode all’uva, dunque, della quale non si butta via niente, neanche i semi: “ Alla maggior parte delle persone, ovviamente, non piacciono per via del loro gusto amarognolo, eppure, a meno di condizioni particolari, non andrebbero eliminati, ma masticati con cura, ricchissimi, come sono, di acidi grassi a catena corta e di vitamina B6”.

                                            Alessandra Fiorilli