Firenze: una passeggiata lungo la storia

Firenze…Firenze…Firenze… parte dell’immancabile e classica triade, insieme a Roma e Venezia, che i turisti stranieri non si lasciano sfuggire quando visitano l’Italia, meta di gite scolastiche organizzate per ammirare da vicino i capolavori dei grandi artisti rinascimentali, luogo dove i cinque sensi vengono rapiti da cotanta maestosa bellezza e perfezione.

Quando arrivi a Piazza Duomo, non puoi trattenerti dal rimanere immobile, ammaliato dalla grandiosità della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, del Campanile di Giotto e del Battistero.

Il Duomo, uno scorcio del Campanile e il Battistero (da sinistra nella foto di Lorenza Fiorilli)

E tu sai che per costruire quella cupola, simbolo di Firenze e che domina l’intera città, Filippo Brunelleschi impiegò 16 anni, usando una tecnica costruttiva che oggi, a quasi 7 secoli di distanza, e con tutti i mezzi e le innovazioni di cui si dispone, sembrerebbe un’opera impossibile.

Il capolavoro di Filippo Brunelleschi: la cupola, simbolo di Firenze (foto di Lorenza Fiorilli)

Quel trionfo di marmi bianchi di Carrara, verdi di Pisa e rossi di siena,  che ricoprono l’intera facciata sia della Cattedrale che del Campanile, regalano un’atmosfera, al tempo stesso, dolce ed austera, imponente e magica.

Il Duomo che accoglie i turisti con la sua maestosa bellezza (foto di Lorenza Fiorilli)
Gioco di luci tra il Battistero, il Duomo e il Campanile (da sinistra nella foto di Lorenza Fiorilli)

Nell’istante in cui riesci, seppur a fatica, a staccare lo sguardo da tanta magnificenza nata dall’estro e dalla capacità sovraumane di artisti immortali, ti incammini verso Piazza della Signoria e lì la storia ti viene incontro, ti prende sotto braccio, ti parla dei grandi eventi vissuti dalla città di Firenze e che hanno avuto proprio in questa piazza il loro centro nevralgico.

Palazzo Vecchio in Piazza della Signoria (foto di Lorenza Fiorilli)

Guarda…sembra quasi di vedere il rogo che, proprio in Piazza della Signoria,  Girolamo Savonarola impose, nel 1497, ai libri e dipinti non graditi alla  sua ortodossia, rogo sul quale lui stesso brucerà, l’anno successivo e che sancirà la fine del suo governo.

Pochi decine di metri oltre, ecco gli Uffizi, che possono essere considerati un doppio capolavoro: capolavoro come edificio e capolavoro per le opere ivi ospitate.

Lasciati gli Uffizi alle spalle ci si incammina di nuovo e si sa che lui è lì ad attenderci: lui , il ponte più antico di Firenze, lui, che è stato risparmiato dalla furia distruttrice dei nazisti e che si è salvato dalla piena disastrosa dell’Arno nel   novembre 1966.

Ecco, dunque, Ponte Vecchio le cui botteghe degli orafi che costeggiano le due ali del ponte, sono sormontate dal corridoio vasariano progettato appunto da Giorgio Vasari per consentire il passaggio da Palazzo Vecchio, in Piazza della Signoria, centro nevralgico politico-amministrativo della città, a Palazzo Pitti, dimora della famiglia dei Medici.

Particolare di Ponte Vecchio (foto di Lorenza Fiorilli)

Su Ponte vecchio le botteghe degli orafi presero il posto, dietro ordine di Ferdinando I dei Medici, delle macellerie che furono spostate altrove, in quanto il lezzo che da queste si diffondeva, era ritenuto poco consono alle attività politico-amministrative che si svolgevano nei dintorni.

Firenze da Piazzale Michelangelo (foto di Lorenza Fiorilli)

Non puoi andare via da Firenze senza aver visitato  Palazzo Pitti e il suo Giradino dei Boboli,  anche se  un degno saluto alla città lo puoi fare solo dall’alto, solo da Piazzale Michelangelo e lì…lì ti commuovi, ti commuovi per tanta bellezza, e ti immagini che per quelle stesse vie e piazze dove hai camminato, sono nati, vissuti, e hanno patito le alterne vicende politiche della città, grandi artisti come Benvenuto Cellini, Filippo Brunelleschi, Cimabue, Sandro Botticelli, Dante, Guido Cavalcanti.

Arrivederci Firenze… e grazie per questo tuffo nella storia italiana che ci hai regalato.

Alessandra Fiorilli

 

“Gusti di Frontiera”: a Gorizia, dal 26 al 29 settembre, 413 espositori da tutto il mondo per gustare cibo e tradizioni dei Cinque Continenti.

 

Anche quest’anno Gorizia, nell’ultimo fine settimana di settembre, grazie a “Gusti di Frontiera”, si trasformerà in una vetrina internazionale, dove il cibo e le tradizioni gastronomiche di tutto il mondo accoglieranno i visitatori di una manifestazione che sta crescendo di anno in anno. Non una semplice “fiera”, ma un vero e proprio grande evento di respiro internazionale che taglia il traguardo, proprio quest’anno, della sua 16° edizione.

Uno scorcio del caratteristico borgo medievale di Gorizia e, sulla sinistra, il Castello su cui sventola la bandiera italiana(Foto di Lorenza Fiorilli)

413 gli stands che quest’anno attenderanno i visitatori da giovedì 26 settembre a domenica 29. Una festa di colori, un tripudio di odori, sapori, un’ occasione imperdibile per gustare specialità gastronomiche e per passare, senza aerei né  e treni, da una  nazione all’altra.

Uno stand dell’Europa Orientale, con le tipiche focacce lievitate cotte su piastra (foto di Lorenza Fiorilli)

La manifestazione “Gusti di Frontiera”,  nata 15 anni fa,  è maturata nella consapevolezza che, dopo la caduta della cortina di ferro,  Gorizia non era più solo l’estremo avamposto del blocco dell’Ovest contro quello dell’Est, ma una città nuova, come ci conferma Arianna Bellan, Assessore dei Grandi Eventi, Lavoro e Urbanistica del capoluogo friulano: “Da un punto di vista geografico, Gorizia è ancora una città di confine, ma se per decenni questo ha rappresentato un momento di divisione, oggi si sta cercando di trasformarlo in un’occasione di crescita e di modello di cooperazione europea. Anche una manifestazione come questa, che mette al centro le cucine di tutto il mondo, valorizzando contestualmente quella locale, va in questa direzione”.  

Uno scorcio del Borgo dedicato ai Paesi anglosassoni: in foto uno storico bus rosso inglese (foto di Lorenza Fiorilli)

Nei primi anni “Gusti di Frontiera”, una kermesse il cui motto è “Il Mondo in Tavola”, riuniva nelle vie centrali soltanto: “Espositori provenienti dall’ Italia, dalla Slovenia, dall’ Austria, dall’Ungheria. Poi l’interesse è cresciuto moltissimo e sono pervenute richieste anche da altri Paesi, ciascuno dei quali ha portato a Gorizia proprie specialità gastronomiche che fanno parte integrante della cultura delle singoli nazioni”.

Il Borgo dell’America Latina e il tipico cibo messicano (foto di Lorenza Fiorilli)

Il 2018 è stato un anno importante, una pietra miliare per “Gusti di Frontiera”, in quanto davvero erano presenti, con i propri stands, tutti i Cinque Continenti . Ogni anno, quest’evento così importante per Gorizia, regala ai suoi visitatori una novità, come ci svela l’Assessore Bellan: “Nel  2018 è stata l’Australia, quest’anno sarà l’Africa”.

Lo stand dove gustare l’originale yogurt greco (foto di Lorenza Fiorilli)

L’interesse crescente verso questa manifestazione di respiro internazionale, non si è avuta solo tra “gli addetti ai lavori”, ma anche e soprattutto tra i visitatori che, di anno in anno, affollano sempre più numerosi le vie centrali e le piazze di Gorizia, come ci conferma, numeri alla mano, l’Assessore Bellan:” Lo scorso anno si stima ci siano stati 800000 partecipanti da giovedì, giorno di apertura degli stand, sino alla domenica. Una crescita importante, considerando che, ad esempio, nel 2012 sono accorse a Gorizia 200000 persone”.

Un evento come  “Gusti di Frontiera”, significa non solo una scrupolosa analisi preventiva degli spazi da assegnare alle centinaia e centinaia di espositori, ma anche una valutazione successiva, quando gli stand vengono smontati: “ I sopralluoghi iniziano dal mattino successivo, insieme a tutti gli addetti e al personale coinvolto nella manifestazione. Sono del parere che si lavora meglio quando lo si fa a mente fresca”, dice l’Assessore Bellan.

Un pò di Olanda… (foto di Lorenza Fiorilli)

Un grande sforzo organizzativo che inizia già dal mese di gennaio: “E’ proprio dalle prime settimane del nuovo anno che si comincia a pensare all’edizione successiva”.

Accurata e scrupolosa l’organizzazione della sicurezza: “Che coinvolge non solo le Forze dell’Ordine, ma anche l’Associazione Carabinieri in congedo, la Protezione Civile. Vogliamo offrire la massima serenità alle centinaia di migliaia di persone che accorrono in città nei quattro giorni di Gusti di Frontiera”.

Focacce dell’Europa Orientale da riempire con i tipici grandi hamburger e salse tipiche (foto di Lorenza Fiorilli)

E così Gorizia, durante questa manifestazione, diventa davvero la capitale mondiale del gusto, non solo perché ci sono stands dai cinque continenti, ma  perché arrivano :” Corriere su corriere da tutta Italia e moltissimi da ogni angolo della terra, grazie alla possibilità di raggiungere Gorizia da Trieste, dove c’è l’Aeroporto Ronchi dei Legionari”. Chi preferisce il treno, invece, ci sono collegamenti con i treni Alta Velocità  che raggiungono le vicine città di Udine e Trieste.

il Kurtoskalacs, tipico dolce ungherese dalla tipica forma a cono, cotto su uno spiedo cilindrico  che viene fatto girare sul fuoco. (Foto di Lorenza Fiorilli)

La città di Gorizia, dominata dall’alto dal suo bellissimo castello, (la cui visita, così come quella ai Musei della città, è gratuita durante Gusti di Frontiera) in occasione del grande evento internazionale, è divisa in tanti “Borghi”, ciascuno dei quali ospita gli stands relativi ai Paesi: avremo così il Borgo Francia “Con tante luci sugli alberi”, il Borgo dei Paesi  latini, con la loro paella e la sangria, il Borgo Orientale fino a coprire, così, l’intero globo terrestre.

Non mancherà, anche quest’anno, durante i quattro giorni dell’evento, il “Salotto del Gusto”, con ospiti e talk show sulle mille sfaccettature del cibo.

Alessandra Fiorilli

 

 

Come prevenire e fronteggiare il diabete: ce ne parla il Professor Riccardo Vigneri, uno dei massimi esperti del campo e Professore Emerito di Endocrinologia all’Università di Catania

Siamo pronti a fronteggiare la pandemia- diabete? E’ una domanda che dovremmo porci tutti perché, nonostante quello di tipo 2 si stia diffondendo in maniera preoccupante tra la popolazione italiana, mezzi per evitare il rischio di ammalarsi ce ne sono e ne parliamo con uno dei massimi esperti del campo: il Professor Riccardo Vigneri, Endocrinologo e Diabetologo, attualmente Professore Emerito di Endocrinologia dell’Università di Catania.

Il Professor Riccardo Vigneri (foto per gentile concessione del Professor Riccardo Vigneri)

Distinguiamo innanzitutto i due tipi principali di diabete: il tipo 1, che è quello più grave, perché trattasi di una malattia autoimmune che distrugge le cellule del pancreas e che riguarda solo il 10% dei pazienti, e quello di tipo 2, che riguarda la maggioranza dei casi. Il tipo 1 è insulino-dipendente, il tipo 2 è insulino-resistente: non manca l’insulina ma i tessuti sono “resistenti” cioè non ne sentono gli effetti. Per il diabete mellito tipo 1, poco possiamo fare perché c’è alla base anche una predisposizione genetica: anche diagnosticando col dosaggio degli anticorpi la fase di predisposizione l’intervento è poco o nulla efficace. Invece, per quello di tipo 2 molto dipende dallo stile di vita del paziente e quindi è possibile intervenire per evitarlo o ritardarlo.

Stile di vita che, purtroppo, negli ultimi anni , è cambiato molto: Mangiamo di più e male e ci muoviamo di meno. Quindi, se potessimo tornare alla dieta mediterranea e  fare i tanto decantati 10000 passi al giorno, che corrispondono a circa 40 minuti di camminata  a passo sostenuto per 5 giorni la settimana, potremmo dire che già stiamo facendo molto ed evitare molti casi di dibaete tipo 2”.

L’obesità, legata allo scorretto stile di vita, è una causa principale del disordine metabolico che può portare all’aumento della quantità di zucchero nel sangue:  Le cellule grasse predispongono all’insulinoresistenza. Ma anche sull’obesità c’è da fare un distinguo: esiste quella androide, tipica del sesso maschile che interessa il tronco e l’addome con forma “a mela”, che è caratterizzata dal grasso viscerale il quale favorisce l’insorgere della sindrome metabolica, e del diabete e l’obesità  ginoide, tipica del sesso femminile che interessa l’area gluteo-femorale con forma “a pera” caratterizzata dall’aumento del grasso sottocutaneo e che è meno dannosa. Infatti solo il grasso viscerale produce sostanze che riducono l’attività dell’insulina, e che ne impediscono l’azione sugli zuccheri ma anche sul metabolismo dei grassi come il colesterolo e i trigliceridi”.

C’è da evidenziare un aspetto molto importante: Il diabete non è una malattia, ma una sindrome con tante forme diverse e diverse fasi. Una fase importante è quando compaiono le complicanze croniche: quando tutti gli organi sono esposti ad una glicemia alta ed all’alterato livello di grassi, le pareti dei vasi si ispessiscono e si irrigidiscono e si hanno le gravi complicanze di difficoltà circolatorie a livello sia micro- che macro-vascolare, con  conseguente insorgenza di patologie gravi come l’infarto e l’ictus cerebrale e, per i piccoli vasi, del rene (il diabete è la prima causa di insufficienza renale) e retina  e il piede diabetico. Nella retina dell’occhio dei diabetici le migliaia di vasi che la irrorano si possono rompere, provocando emorragie, micro-cicatrici e quindi cecità: non a caso il diabete ne è la prima causa nell’adulto. Un’altra complicanza importante è quella del “piede diabetico”. L’insufficienza vascolare degli arti inferiore fa sì che una piccola ferita non si rimargina, si infetta, si ha l’ulcera diabetica che può attaccare l’osso e si può arrivare all’amputazione del piede o anche  dell’arto”

Negli ultimi 10-15 anni sono stati, inoltre,  effettuati degli  studi sulla stretta correlazione tra diabete e cancro: “ Nei diabetici  è aumentato il numero dei tumori per molti motivi, ancora non tutti chiari. Alcuni sono motivi locali, legati all’organo. Per esempio i diabetici hanno più frequentemente  epatiti virali e fegato grasso e ciò aumenta la predisposizione  al tumore al fegato due volte di più rispetto ai non diabetici. Molti altri tumori sono aumentati nel diabete: in generale vi è un aumento del 20-25% del rischio di tumore. Solo un tumore, quello alla prostata, è diminuito nel diabete, probabilmente perché nei diabetici sono spesso ridotti i livelli di testosterone”.  

C’è inoltre un meccanismo che spiega il nesso tumore-diabete: “Le cellule tumorali si sviluppano più rapidamente di quelle normali,  crescono  in maniera sregolata,  ma per crescere hanno bisogno di energia anche sotto forma di zucchero, la cui quantità è ovviamente, più elevata nei diabetici. Così pure alla crescita dei tumori contribuiscono l’insulino-resistenza e la terapia insulinica perché l’insulina è anche un fattore di crescita”

Quali, dunque, i mezzi per prevenire tale sindrome, oltre, ovviamente ad uno stile di vita più salutare? “Gli zuccheri semplici sono da diminuire drasticamente, (qualsiasi tipo, anche quello di canna). E questo vale anche per la frutta che contiene fruttosio. Non bisogna esagerare: la regola è mangiarne 3/4 porzioni equivalenti come volume ad un pugno chiuso evitando quella più zuccherina come fichi ed uva. La farina bianca (e quindi pane bianco e dolci) è da evitare perché produce un picco di assorbimento rapido, facendo aumentare, di colpo, l’insulina. Bene invece la pasta e il pane integrale e ottima la frutta secca: 4/5 noci e 6/7 mandorle al giorno vanno benissimo perché contengono grassi vegetali che aiutano a pulire i vasi, ma bisogna attenersi alle quantità indicate perché la frutta secca è molto calorica”.

Occhio anche allo  stress: “ Fa aumentare ormoni che antagonizzano l’ insulina come cortisolo ed adrenalina: quindi una vita stressata può essere deleteria per chi è predisposto al diabete”.

Ringrazio il Professor Riccardo Vigneri  per il tempo che mi ha dedicato e per il su stile asciutto e facilmente comprensibile.

Alessandra Fiorilli

Rispetto,per favore…

Questa volta parlerò del rispetto, sempre meno conosciuto e praticato dagli esseri umani.

Il vocabolario cita, sotto questa voce: “Sentimento di attenzione nei confronti degli altri, della loro dignità e dei loro diritti, che dispone ad astenersi da atti offensivi o lesivi”.

Il perché mi è venuto in mente di parlare di questo argomento ve lo spiego subito:

l’altra mattina sono scesa in spiaggia portando con me anche un pacchetto di cracker, nel caso mi venisse un “languorino” prima di pranzo; c’erano pochissime persone ma diversi gabbiani che cercavano tra la sabbia dei residui di cibo lasciato dai bagnanti o un pezzetto di pizza caduta dalle mani di un bambino. Allora ho preso i miei cracker, li ho spezzati con le mani e li ho dati a loro, che certamente avevano più fame di me.

Gabbiani in spiaggia (Foto di Lorenza Fiorilli)

E mentre mangiavano voracemente, un bambino, correndo, li ha spaventati e li ha fatti volare via; io gli ho fatto notare che se fosse rimasto lì, loro non sarebbero tornati, ma non mi ha ascoltato; certo, era solo un bambino, ma neanche il padre, presente alla scena ha proferito parola.

L’altro pomeriggio, sempre in spiaggia, due bambine hanno detto l’una all’altra : ”Tiriamo la sabbia ai gabbiani così vanno via!”, senza che quei volatili stessero dando fastidio a nessuno.

I placidi gabbiani (foto di Lorenza Fiorilli)

Ecco, queste due scene mi hanno dato molto fastidio per la mancanza di rispetto verso degli esseri viventi che non stavano disturbando nessuno. Il rispetto si deve imparare da bambini, ma se nessuno glielo insegna, non è una cosa così facile.. Il rispetto verso chi è diverso da noi, verso chi ha preferenze e gusti che non sono i nostri, verso chi è di un’altra cultura, il rispetto, semplicemente, verso un altro essere vivente distinto da noi.

Un primo piano di un dolce gabbiano (Foto di Lorenza Fiorilli)

Se non si attua ciò, ci sarà sempre qualcuno che si crederà superiore e si sentirà in diritto di mettere in atto soprusi verso gli altri.

Stavolta il mio articolo sarà più breve perché, al mio posto lascio parlare una metafora, che ho letto per la prima volta in uno dei libri sul quale preparai il mio ultimo esame universitario e che tratta dell’importanza del rispetto verso le differenze di ognuno e della capacità di potersi arricchire proprio di queste differenze. No, non è una favola per bambini, anche se, quando comincerete a leggerla, vi sembrerà così; vi invito a non fermarvi alle prime righe.

Buona lettura.

Dottoressa Lorenza Fiorilli, Psicologa

L’aquila e il gabbiano

 C’era una volta un’aquila che viveva in una grande isola e amava volare sulle alte cime dei monti. Amava volare con le proprie ali seguendo e facendo sua la forza del vento.

Un giorno l’aquila vede un bellissimo gabbiano che si era allontanato dal porto e si era spinto quasi a raggiungere le alte vette. I due subito si innamorano a da allora amano trascorrere tanto tempo volando insieme. Il gabbiano mostra all’aquila la bellezza dei porti con le sue navi e i suoi anfratti, e l’aquila gli fa provare l’ebbrezza del volare in lato sino a raggiungere le più alte cime dei monti dell’isola. All’inizio tutto è bellissimo e ognuno scopre il fascino del mondo dell’altro.

Dopo un po’ di tempo però, l’aquila si accorge che il gabbiano tende a voler trascorrere sempre più tempo vicino al suo porto e al suo mare e meno ad avventurarsi per le alte montagne. Ogni volta che l’aquila gli fa la proposta di andare a volare nell’alto dei cieli il gabbiano trova una scusa. L’aquila per qualche tempo rinuncia ai suoi voli, ma dopo un po’ sente che le sue ali hanno voglia di sgranchirsi e va a fare un giro da sola. Ma quando torna il gabbiano fa il broncio, è offeso. E dice all’aquila che il fatto che voglia volare così in alto vuol dire che non gli vuole più bene. L’aquila cerca di fargli capire che non è così, che lo ama profondamente. La natura le ha dato grandi ali per volare in alto e lei non fa altro che seguire la sua natura, così come il gabbiano segue la sua. Il gabbiano non si fa convincere dal discorso dell’aquila e pensa che se il problema sta nelle grandi ali dell’aquila, la soluzione sta nel tarpargliele. E così, di notte, mentre l’aquila dorme tranquillamente al suo fianco il gabbiano prende delle forbici e, notte dopo notte, spunta un po’ le ali dell’aquila, senza che questa se ne accorga.

Un giorno, mentre sta cercando di volare verso la sua montagna preferita, l’aquila sente di non farcela, si sente stanca, sente il suo corpo pesante e nonostante i suoi sforzi, non ce la fa a salire in cima. Sta per desistere quando incontra una maestosa vecchia aquila che vola lentamente con le sue grandi ali spiegate. La vecchia aquila vede quest’aquila che fa fatica a volare e nota subito le ali tarpate a forma di gabbiano: capisce che qualcuno deve averle giocato un brutto scherzo. La vecchia aquila le si avvicina e le chiede se vuole fare un giro sulle sue ali, visto che sembra così stanca. L’aquila ringrazia e accetta. Allora l’aquila saggia la prende su di sé e volando la porta in cima al monte. Quando arriva in cima al monte l’aquila si sente rinascere. Ma dopo un po’ diventa triste al pensiero che il suo amato gabbiano le farà il broncio quando tornerà. L’aquila saggia vede il cambiamento di umore e le chiede cosa stia pensando. L’aquila si confida e le racconta che il suo amato gabbiano preferisce stare vicino al porto dove sono ancorate tante navi e non vuole volare in alto, sfidare la forza del vento e misurare la potenza delle sue ali.

Dopo aver ascoltato, la vecchia aquila saggia le dice che anche i gabbiani possono volare in alto. A una condizione, però, che lo vogliano veramente e che non si facciano prendere dal caldo torpore marino e non si facciano sedurre da tutte quelle navi ancorate ai porti. E comincia a raccontare le avventure di un gabbiano che aveva conosciuto tempo prima, un gabbiano chiamato Jonathan Livingston che amava sfidare la sua natura e che era riuscito a raggiungere cime e vette altissime.

L’aquila sta alcuni giorni in compagnia della vecchia aquila saggia ascoltando i racconti sul gabbiano Jonathan Livingston, così capisce che anche il suo gabbiano può volare in alto: deve però essere lui a volerlo.

E stando lì sue ali ricrescono e si rinforzano.

Un giorno si accorge di essere nuovamente in forza e si sente pronta per ritornare dal suo gabbiano. Ringrazia, saluta la vecchia aquila saggia e va. Appena arriva dal gabbiano lo abbraccia felice e gli racconta del suo incontro con la vecchia aquila saggia e le storie sul gabbiano Jonathan Livingston che ha sentito. Ma il gabbiano non ha voglia di ascoltarla. E’ offeso e convinto che ormai l’aquila non lo ami più.

Allora l’aquila con calma gli dice di ascoltarla molto bene perché ha una cosa importante da dirgli. E così gli dice: “Ogni creatura umana ha delle differenze e ognuno può amare, apprezzare e rispettare le differenze di ciascuno. La mia natura mi ha dotato di grandi ali scure con le quali volare nell’alto nei cieli. La tua natura ti ha dotato di bellissime ali bianche con le quali sorvolare mari e monti. Entrambi abbiamo le ali, entrambi possiamo volare in alto e possiamo volare da soli o in compagnia. A me piace volare con te ma non posso più trascorrere tutto il mio tempo a stare nel porto ad apprezzare le navi ancorate. Ho bisogno di volare in alto come mi spingono le mie ali. Mi piacerebbe volare con te, averti al mio fianco, però posso anche capire che tu preferisca crogiolarti al caldo del sole. Ognuno ha una sua natura da riconoscere, rispettare e onorare. E ognuno ha anche la libertà e la volontà di impegnarsi in una sfida per superare la presunta limitatezza delle proprie ali”.

Questo discorso così chiaro colpisce il gabbiano e lo commuove. Sente che l’aquila ha ragione e allora le dice: “Raccontami ancora le avventure del gabbiano Jonathan Livingston in modo che io possa imparare a volare più in alto”.

(brano tratto dal libro “I porcospini di Schopenhauer” di Consuelo Casula, Franco Angeli Editore)

 

Il fascino discreto di Udine, perfettamente immersa tra  tradizioni friulane e architetture venete

Udine è il suo castello, che sorge su un colle dal quale si vedono i tetti della città e, in lontananza, le Alpi.

Udine  è Piazza Libertà, che sembra abbracciarti con la Loggia del Lionello, di spiccato gusto veneto.

Udine è la sua gente, dal cuore gentile.

Udine è anche “frico”, il piatto tradizionale friulano a base di patate e formaggio, accompagnato spesso da un’ottima polenta.

Udine è lo stupore che ti fa suo, quando cammini per le vie centrali e ti fermi ad ammirarne i palazzi.

Udine è sorpresa.

Udine è la città che non ti aspetti, perché se capiti in Friuli Venezia Giulia, la prima cosa che pensi di andare a visitare è la pure straordinaria e mitteleuropea Trieste, con le sue piazze e il Castello Miramare.

Invece Udine è lì, non ti dice “Vienimi a trovare” perché è pudica ed orgogliosa allo stesso tempo, eppure se la vai a visitare lei ti prende subito e la ricorderai per sempre.

Piazza Libertà ne è il cuore, non solo sotto il profilo toponomastico, ma anche per le ricchezze che lì si affacciano, primo tra tutte l’Arco Bollani, sul quale spicca il Leone di San Marco. Il legame che Udine ha con il confinante Veneto è molto forte da un punto di vista architettonico, non è un caso che lo stesso Arco sia frutto del grande estro creativo di Andrea Palladio, il quale ha realizzato le famose ville attorno  Vicenza.

L’Arco Bollani, dal quale si accede alla salita verso il Castello (Foto di Lorenza Fiorilli)

Superato l’Arco Bollani ci si incammina per la salita che, costeggiata dalla loggia del Lippomano,  conduce al Castello, posto sul punto più alto della città. Ma prima di arrivare allo spiazzale e di passare sotto un altro arco, l’Arco Grimani, si può ammirare la chiesa di Santa Maria di Castello, la più antica di Udine,  e il suo campanile alto 43 metri,  sul quale spicca l’Arcangelo Gabriele, in rame dorato, il quale non solo ha il compito di proteggere la città, ma anche di indicare  la direzione dei venti. 

Il Campanile della chiesa di Santa Maria di Castello, con l’Arcangelo Gabriele che svetta dall’alto dei 43 metri (foto di Lorenza Fiorilli)
La Loggia del Lippomano che costeggia la salita verso il Castello (Foto di Lorenza Fiorilli)
Un altro particolare della salita che conduce al castello (foto di Lorenza Fiorilli)

Tra i Musei Civici  ospitati proprio all’interno del Castello, spicca l’interessantissimo Museo del Risorgimento ma, nel corso dell’anno, sono allestite anche mostre temporanee.

Il castello che si intravede lungo la salita (foto di Lorenza Fiorilli)

Nonostante il nome ufficiale sia, appunto,  “Castello di Udine”,  l’edificio ha più le fattezze di un palazzo che quelle di una costruzione di difesa ed anche qui risiede il suo fascino particolare, che lo si assapora e lo si gusta durante la visita, terminata la quale, si  viene ammaliati dal panorama che si gode da lassù, dove sono ben visibili le Alpi.

La Casa della Contadinanza e, sullo sfondo, le Alpi (foto di Lorenza Fiorilli)

Sul prato posteriore al Castello, spicca la Casa della Contadinanza, che prende il nome proprio dal fatto che fu sede dell’assemblea dei contadini friulani i quali volevano tutelare, nel XVI secolo, i loro interessi di classe lavoratrice.

Una volta percorsa la strada in senso contrario, si può ammirare, alla sinistra dell’Arco Bollani, la Loggia di San Giovanni con la torre dell’Orologio e i due Mori, anche questi di spiccato gusto veneziano.

La Loggia San Giovanni e, in lontananza, il campanile del Duomo di Udine ( foto di Lorenza Fiorilli)
La torre del’Orologio con i due mori (foto di Lorenza Fiorilli)

Volgendo le spalle alla Loggia, eccone un’altra, la più famosa, quella vista tante volte quando sui libri di geografia delle elementari quando  si studiava Udine: la Loggia del Lionello.

La Loggia del Lionello (foto di Lorenza Fiorilli)

 

La sua facciata, in marmo rosa e bianco, il suo porticato, con il suo gioco di luci ed ombre ti avvolge, così come la bellezza della pavimentazione a scacchiera.

E quando ti addentri per le vie e le piazze di Udine capisci che il suo fascino discreto ti ha conquistato…ormai per sempre.

Uno scorcio del centro storico di Udine (foto di Lorenza Fiorilli)
Un altro scorcio (foto di Lorenza Fiorilli)

Alessandra Fiorilli

 

I racconti di Mila e Pila- 2 Gennaio: è l’ora dei saluti- 7° ed ultima parte

Rimangono così per dei minuti, io non oso dire niente mi limito a guardarmi intorno per salutare, nell’anima, uno per uno, tutti gli oggetti che mi hanno fatto compagnia in queste due settimane.

Arrivederci vecchio macinacaffè dalla manovella rotta, caro paiolo di rame, carissimo camino, compagno di tante serate.

Non sono triste perché sono certa che non è un addio ma è solo un arrivederci.

Abbraccio anch’io la nonna ed esco da casa con mio padre che non si gira neanche una volta lungo il viale che ci conduce alla strada dove ci sta aspettando il taxi.

Io invece mi giro verso il casolare e posso scorgere la nonna che, intanto, alitando sul vetro della finestra, ha scritto queste parole: “E’ giusto che sia così”.

Non è passato neanche un anno da quando, invece, aveva scritto sul vetro:

“Non è giusto”.

Oggi, dopo che papà è riuscito dopo tanti anni a esprimere alla nonna tutto il suo profondo amore, ha capito che le cose stanno andando com’è giusto che vadano.

E così noi tre a Chicago, e la nonna in questo casolare, in attesa, però, che lei riesca a vincere la paura del volo e ci venga a trovare nella città del vento.

Salgo sul taxi e senza farmi vedere da papà, alito sul vetro, poi, però, non scrivo più nulla, allora penso di essere cresciuta, finalmente.

Basta messaggi sul vetro, sono grande ormai, e quando sentirò la necessità di dire qualcosa la dirò e non lo affiderò a un vetro appannato.

Il taxi parte e dietro di noi il casolare della nonna diventa sempre più piccolo, sino a scomparire del tutto.

 

I racconti di Mila e Pila- 2 Gennaio: è l’ora dei saluti- 6° Parte

“Non puoi rimanere neanche un giorno, figliolo?” gli chiede la nonna al papà.

“No, mamma. Lo so quello che stai pensando, che è da pazzi arrivare da Chicago e ripartire tra qualche ora ma il lavoro che stiamo portando avanti è importante ma non è importante solo per mia equipe ma per l’umanità intera. I sacrifici che ci sta imponendo questa ricerca possiamo sopportarli solo nella piena consapevolezza che il nostro impegno ci condurrà verso mete inimmaginate sino a qualche anno fa”, dice queste parole mio padre mentre scosta una sedia dal tavolo e si mette seduto.

“Vedi, mamma, io non ho preso caratterialmente né da te né da papà. Voi due, sempre così aperti e schietti, pronti sempre a dire: TI VOGLIO BENE. Di carattere sono stato sempre chiuso e adesso che siamo stati lontani per tutti questi mesi, ho sentito forte la tua assenza e tante sere sono stato assalito dalla nostalgia di te e di questi luoghi nei quali sono nato e cresciuto. Il Natale appena trascorso è stato il primo senza di te e non sai cosa avrei dato per sedermi vicino a te e per assaporare la tua polenta. Ma la vita ci impone dei sacrifici e credo che riusciamo ad accettarli solo perché ci sentiamo forti grazie all’amore di chi tiene a noi. Sei sempre stata con me, mamma, sei sempre con me, in metropolitana, mentre cammino per i viali alberati, quando pattino sul Lago Michigan ghiacciato, quando sono chiuso in laboratorio per le mie ricerche. Non credo torneremo più in Italia, ma l’idea di poterti vedere solo per alcuni giorni l’anno mi fa star male terribilmente. Perché non trascorri qualche mese da noi? In primavera, sì, mamma, in primavera, quando le brezze soffiano sull’acqua del lago oppure…vieni quando vuoi basta che ci vediamo…”.

Accidenti, mio padre che fa una dichiarazione d’amore alla nonna così palese! La lontananza da noi due credo, gli abbia fatto bene.

La nonna prende il fazzolettino a quadri dalla tasca del grembiule e dopo essersi soffiata il naso, abbraccia mio padre.

Osteoporosi: ne parliamo con l’eminente Professor Luigi Sinigaglia, Direttore dell’UOC e del Dipartimento di Reumatologia e Scienze Mediche del Centro Specialistico Ortopedico Traumatologico presso l’Istituto “Gaetano Pini” di Milano.

 

Ci sono malattie attorno alle quali si scivola spesso in luoghi comuni capaci, però, di trasformare una patologia in qualcosa di irreversibile, davanti alla quale si può solo abbassare il capo ed accettarla senza far nulla. E’ il destino al quale è andata incontro, per anni, anche l’Osteoporosi, da sempre legata, nell’immaginario comune, alla fine dell’età fertile della donna.

Per far luce su questa malattia, mi sono avvalsa della grande esperienza del Professor Luigi Sinigaglia, Medico Specialista in Reumatologia e Medicina Interna, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Reumatologia presso l’Istituto Ortopedico Gaetano Pini (Milano), presso la quale struttura riveste anche l’incarico di Direttore del Dipartimento di Reumatologia e Scienze Mediche del Centro Specialistico Ortopedico Traumatologico. Il Professor Sinigaglia è stato anche  Presidente della Società Italiana dell’Osteoporosi e delle malattie metaboliche dello scheletro, attualmente è Presidente della Società Italiana di Reumatologia, autore di oltre 200 articoli su riviste Nazionali e Internazionali e Relatore a oltre 300 Congressi Nazionali ed Internazionali di argomento reumatologico.

Il Professor Luigi Sinigaglia (foto per gentile concessione del Professor Luigi Sinigaglia)

Iniziamo dalla definizione scientifica di Osteoporosi: “L’Osteoporosi è la più frequente delle malattie dello scheletro, che determina una fragilità scheletrica per alterazioni quantitative e qualitative della massa ossea, le quali conducono alla possibilità di fratture sia per traumi minimi o anche in assenza di traumi. Le fratture osteoporotiche più frequenti interessano il radio distale, l’omero prossimale, i corpi vertebrali e, nei pazienti più anziani, il collo del femore”.

Il Professor Sinigaglia ci aiuta anche a comprendere come, benché la menopausa sia il principale fattore di rischio, esista in medicina un’Osteoporosi primaria :”Chiamata  Osteoporosi primitiva, cioè non condizionata da alcuna malattia di base ed altre dette secondarie perché legate :” A malattie che sono di natura reumatica, metabolica, endocrina, gastro-enterologica, ematologica”. 

La differenziazione di questa malattia non si esaurisce tra primaria e secondaria, infatti come sottolinea il Professor Sinigaglia:”Esiste anche un gruppo di Osteoporosi geneticamente determinate. Queste forme sono solitamente precoci e il loro trattamento dipende dalla identificazione della malattia di base e dalla sua terapia. Ci sono poi Osteoporosi correlate all’impiego protratto di molti farmaci che possono danneggiare lo scheletro”.

Tra i fattori di rischio, nella donna, spicca  la menopausa :” Questa rappresenta un momento rilevante, in quanto coincide con la deprivazione in estrogeni. I suddetti ormoni hanno infatti un potente effetto protettivo sullo scheletro e quando cessa la produzione di estrogeni si attivano meccanismi cellulari che  incrementano il riassorbimento osseo con sottrazione di minerali dallo scheletro. Lo stesso meccanismo, anche se con minore evidenza, si verifica nel maschio, quando anche gli androgeni vanno incontro ad una diminuzione con l’avanzare dell’età.”.

In conseguenza di ciò, chi va in menopausa precoce o anticipata, ha un rischio maggiore, come ci illustra il Professor Sinigaglia: La menopausa anticipata o precoce è un potente fattore di rischio per Osteoporosi, specialmente se la menopausa è indotta da terapie mediche o dalla asportazione chirurgica delle ovaie. Queste pazienti devono essere controllate e trattate precocemente per evitare la fatale comparsa di fratture. Un’altra categoria di donne a rischio elevato è rappresentata da pazienti che sono in terapia con i cosiddetti inibitori dell’ aromatasi per un pregresso tumore al seno. Queste terapie hanno come fine quello di azzerare la produzione di estrogeni nell’organismo e queste donne, se non trattate convenientemente, sono esposte ad un elevatissimo rischio di frattura”

Eppure la fine dell’età fertile non è l’unico fattore di rischio, ma ne esistono altri, come ci dice il Professor Sinigaglia:” Lo scarso introito di Calcio con la dieta, la scarsa attività fisica, la magrezza, la familiarità, il fumo, il consumo eccessivo di alcolici, l’uso prolungato di farmaci cosiddetti “osteopenizzanti”, primi fra tutti i cortisonici”. E se la menopausa è un fattore di rischio non eliminabile, sugli altri è  possibile intervenire:” La correzione di questi fattori di rischio è parte integrante di un programma di prevenzione e trattamento”, tanto che possiamo parlare, anche per questa malattia, di prevenzione:” La prevenzione dell’Osteoporosi si basa sulla correzione dei principali fattori di rischio e deve iniziare già in giovane età: dieta ricca in Calcio e  attività fisica sono i capisaldi della prevenzione della fragilità scheletrica”.

L’Osteoporosi, inoltre, : “ E’ per un lungo periodo asintomatica, tanto che è stata definita  una malattia dalla “epidemiologia silenziosa”. I sintomi compaiono quando intervengono le fratture e sono rappresentati da dolori, limitazione funzionale, possibili conseguenze da invalidità permanente oltre che da riduzione della aspettativa di vita”.

Proprio per questo suo essere asintomatica, è necessario arrivare ad una diagnosi prima che la paziente si trovi a dover fronteggiare le fratture, la cui incidenza aumenta in concomitanza con l’Osteoporosi: :” I pazienti affetti da tale malattia hanno un elevato rischio di frattura che a volte può intervenire anche senza un vero e proprio trauma. L’obiettivo della terapia è quello di prevenire la prima frattura o di ridurre significativamente il rischio di una frattura successiva. Tutte le fratture osteoporotiche comportano dolore, possibile invalidità e correlano con una riduzione della sopravvivenza”.

A tal proposito, il Professor Sinigaglia ci dice come si giunge ad una diagnosi di Osteoporosi:”Ci si basa su una serie di accertamenti. Intanto è necessario  eseguire alcuni esami del sangue generali e relativi al metabolismo fosfo-calcico per escludere ogni altra causa di fragilità scheletrica. Nell’Osteoporosi questi esami sono solitamente negativi. L’esame che poi conferma la diagnosi è la Densitometria Ossea. L’organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito che esiste un valore soglia densitometrico al di sotto del quale è possibile porre diagnosi di Osteoporosi. Il valore è rappresentato da un indice ( il T-score) che deve essere inferiore a – 2.5 deviazioni standard ed esprime la differenza del valore che si riscontra nel nostro paziente rispetto al valore atteso nella popolazione adulta giovane dello stesso sesso. Attenzione però al fatto che un valore basso di T-score non sempre significa Osteoporosi ma può essere espressione di altre malattie  in grado di determinare una fragilità dello scheletro. In altre parole la diagnosi di  Osteoporosi primitiva è sempre una diagnosi di esclusione che non può essere posta senza opportuni accertamenti”.

La Densiometria Ossea, esame che conferma  la diagnosi di Osteoporosi, è conosciuta con il suo acronimo MOC, Mineralometria Ossea Computerizzata :  Il metodo migliore e più accettato è la MOC a raggi X ( nota anche come DXA). Le misurazioni possono essere attuate alla colonna lombare, Al femore prossimale o al radio distale. Nei soggetti più giovani l’esame di scelta è la MOC della colonna Lombare”.

Chiedo al Professor Sinigaglia se, una volta accertata la diagnosi di Osteoporosi, esistano delle cure:” Sì, e sono cure anche molto efficaci che possono essere iniziate anche in soggetti con Osteoporosi ma che non hanno ancora avuto fratture, a giudizio del medico. La cura è invece  mandatoria in tutti i casi in cui si siano già verificate fratture da fragilità perché questi pazienti sono particolarmente a rischio di nuove fratture. Le terapie che abbiamo a disposizione sono straordinariamente efficaci. I dati dei trials registrativi dei diversi farmaci ci dicono che con queste terapie è possibile ridurre il rischio di fratture vertebrali del 70 % e di frattura del collo del femore del 40 %. Questi dati impongono una scelta terapeutica molto oculata da parte del clinico perché una terapia corretta può davvero cambiare la vita dei nostri pazienti”.

Quando si parla di Vitamina D, talvolta la si associa anche ad una cura, ma è sufficiente, se si scopre in tempo l’Osteoporosi, curarla solo con aumentato apporto della suddetta vitamina? :” La Vitamina D è un ormone prodotto dal nostro organismo( in particolare dalla cute quando viene esposta al sole) ed ha come funzione principale quella di consentire l’assorbimento intestinale del Calcio e del Fosforo. Tra i pazienti con Osteoporosi, soprattutto i più anziani, esiste una elevata prevalenza di pazienti con bassi valori circolanti di Vitamina D e questa condizione deve essere corretta, quando presente, con una suppplementazione. La terapia con Vitamina D tuttavia non cura l’Osteoporosi, ma una condizione di normovitaminosi D è essenziale perché i farmaci per l’Osteoporosi possano lavorare al meglio. Una volta che  si è iniziata una cura i tempi della terapia sono necessariamente lunghi ma con alcuni farmaci , quando il paziente è del tutto uscito da una fase di rischio elevato di frattura, è possibile, con cautela,  ipotizzare una “ vacanza terapeutica” tenendo però il paziente sotto stretto controllo clinico e densitometrico”.

Anche per l’Osteoporosi una dieta adeguata riveste la sua importanza: :”I consigli dietetici principali sono quelli di consumare quotidianamente alimenti che contengano adeguate quantità di calcio. In primo luogo bere latte e consumare latticini ( yogurth, formaggi freschi o parmigiano), bere acqua minerale  con elevato contenuto in Calcio ( almeno 250 mg per litro) e consumare anche alimenti come broccoli e cavolfiori, pesce azzurro e frutta secca che sono ricchi in calcio”.

E mai tralasciare il movimento:” Va privilegiato l’esercizio fisico in aria ( non in acqua perchè l’assenza di gravità riduce lo stimolo sullo scheletro). Ginnastica dolce in palestra, cammino a passo spedito per almeno mezz’ora al giorno. In caso di pazienti che hanno avuto fratture il programma deve essere personalizzato e graduale, spesso è necessaria l’assistenza di un fisioterapista”.

 

Come per tutte le altre malattie, la diagnosi e la cura sono importanti anche per l’Osteoporosi: ” Diagnosticare e curare adeguatamente l’Osteoporosi significa quindi in ultima analisi anche contribuire ad un allungamento della vita dei nostri pazienti”.

Ringrazio il Professor Sinigaglia per la disponibilità e la grande capacità di illustrare in maniera così eccelsa, efficace ed esauriente tutto quello che riguarda l’Osteoporosi.

 

Alessandra Fiorilli

 

 

I racconti di Mila e Pila- 2 Gennaio: è l’ora dei saluti- 5° Parte

“Verrò presto da te a Chicago, Ludovica, te lo prometto!”

“Non è la stessa cosa che vederti tutti i giorni, nonna. Fammi rimanere qui con te!” la supplico tra le lacrime.

“Devi stare con i tuoi genitori, come tutti gli altri bambini”

“No, non è giusto….”

Piangiamo fino a singhiozzare ma il ticchettio delle nocche di mio padre al portone mi avverte che è giunto il momento di andare via.

Ci asciughiamo le lacrime e la nonna apre.

Il papà entra, mi abbraccia forte come non aveva mai fatto e mi sussurra in un orecchio:

“Quanto ci sei mancata e quanta è stata lunga e triste la notte di Natale senza di te. Sono felice che torni con noi”.

Bastano queste parole a farmi capire che avrei dovuto ributtare indietro la richiesta che avevo pensato di fargli: rimanere al casolare con la nonna.

Non avrei mai potuto privare papà e mamma della mia presenza, e poi, forse, se fossi riuscita a convincerli di lasciarmi al casolare, la sera, quando mi sarei affacciata alla finestra della mia camera, avrei pensato a tutte quelle centinaia di luci che provengono dalla selva dei grattacieli e mi sarebbero mancati i miei genitori.

Devo partire: questa è l’unica certezza che ho nel momento stesso in cui il papà abbraccia la nonna e mi prende la valigia.

I racconti di Mila e Pila- 2 Gennaio: è l’ora dei saluti- 4° Parte

Non c’è verso di prender sonno, tanto vale alzarsi.

Mi dirigo verso lo scrittoio e, aprendo il cassetto, vedo che c’è ancora un quaderno a quadretti di scuola mai usato.

Piego più volte una pagina fino a ricavarne un quadratino piccolo sul quale scrivo:

“Spero tanto di vederla presto, signora Mila”.

Lo ripiego in due: quando tra qualche ora la nonna andrà giù in cucina e indosserà il suo grembiule, io lo metterò nella sua tasca, senza farmene accorgere: sarà il nostro arrivederci.

Mi corico nuovamente, sento di essere stanca ma la tristezza di dover lasciare di nuovo la nonna è più forte della stanchezza.

Attendo che l’alba del nuovo giorno inondi di luce la mia stanza.

Arriva così mattina, arriva così il momento dei saluti.

Sento la nonna scendere in cucina, ha il passo pesante, sembra essere diventata all’improvviso più stanca.

Mi alzo dal letto e mi vesto: tra meno di un’ora mio padre verrà a prendermi con il taxi per andare in aeroporto.

Piego il pigiama di flanella, metto in ordine il letto, prendo la valigia e vado dalla nonna.

Lei non parla mentre sta riscaldando il latte della colazione.

“Una fetta di ciambellone, Ludovica?” mi chiede la nonna.

“No, grazie ho lo stomaco chiuso”, rispondo.

Poi la nonna si mette a sedere vicino a me e mi accarezza i capelli all’indietro, come faceva anche il nonno.

“Sei stanca, non hai dormito?” mi chiede.

Io non vorrei dirglielo ma poi lo faccio, mi butto tra le sue braccia e grido tutto il mio dolore per la nostra separazione.