L’ infertilità: ne parliamo con la Dottoressa Francesca Sagnella

 

Per secoli si sono addensate, attorno al delicato ambito della fertilità e del suo aspetto opposto, l’infertilità, credenze popolari, superstizioni e pregiudizi specie verso la donna, la quale: “Non era riuscita a dare un figlio al marito”.

Fortunatamente, i progressi della medicina hanno interessato anche questo delicatissimo ambito che è legato a doppio filo con quello psicologico: è ben noto quanto una diagnosi di infertilità possa essere pesante da accettare e da gestire all’interno della coppia.

Di infertilità ne parliamo con un’esperta del settore: la Dottoressa Francesca Sagnella, una laurea in Medicina e Chirurgia conseguita presso lUniversità Cattolica del Sacro Cuore di Roma, dove si specializza in Ginecologia e Ostetricia con una tesi sperimentale sulla sindrome dell’ovaio policistico.

Dal 2009 al 2011 presta servizio, come Dirigente Medico di Primo Livello, presso lUnità Operativa di Ginecologia Disfunzionale e presso la sala parto del Dipartimento per la tutela della salute della donna e della vita nascente del policlinico Gemelli. In quegli anni coltiva il suo crescente interesse per la ricerca scientifica, conseguendo nel 2012 il titolo di Dottore di Ricerca in Fisiopatologia della Riproduzione Umana . Dal 2012 collabora con il Prof Claudio Manna, sia in ambito clinico che scientifico, presso il centro di riproduzione assisitita Biofertility e presso il centro studi Genesis in Roma.

La Dottoressa Francesca Sagnella

Ha partecipato a numerosi corsi e congressi nazionali e internazionali, anche in qualità di docente e relatore, e alla stesura di alcuni capitoli di libri inerenti la diagnosi e la cura dell’infertilità.

Linfertilità è lincapacità di concepire dopo un anno di rapporti sessuali liberi, ovvero senza nessun metodo contraccettivo. Trascorsi i 12 mesi, senza che abbia avuto inizio una gravidanza, si inizia una ricerca di coppia per scoprire le eventuali cause dellinfertilità”.

In un momento storico come l’attuale, dove la prima gravidanza si è spostata in avanti di molto, rispetto a quelle delle mamme di una volta, è necessario valutare anche l’età della donna perché potrebbe essere necessario ricorrere allo specialista anche prima che sia trascorso l’anno di rapporti liberi.

In effetti, attualmente, letà media della prima gravidanza si aggira intorno ai 31-32 anni, proprio quando comincia a calare il tasso di fertilità naturale. Una consistente percentuale di donne, tuttavia, per i motivi più disparati, comincia la ricerca della gravidanza intorno ai quaranta; in questi casi attendere un anno prima di intraprendere un percorso diagnostico potrebbe essere rischioso per un motivo molto semplice: la fisiologica e progressiva riduzione della riserva ovarica, ovvero dei follicoli contenenti gli ovociti. I follicoli si formano nellembrione e non si rigenerano nel corso della vita femminile, a differenza delluomo, nel quale il ciclo di spermiogenesi, ovvero il rinnovo dello sperma, avviene ogni 72 giorni. E molto importante, quindi, sottoporsi ad una visita accurata senza perdere tempo prezioso dichiara la Dottoressa Sagnella.

Cosa fare, dunque, se la tanto desiderata gravidanza non arriva? Si parte con gli accertamenti medici, se per il maschio è lo spermiogramma , che consiste nella consegna di un campione del proprio sperma ad un laboratorio competente , per la donna gli esami fondamentali cui deve sottoporsi sono: lecografia transvaginale con la conta dei follicoli antrali, gli esami ormonali, lesame delle tube . La percentuale dellinfertilità di coppia è aumentato negli ultimi anni, come conferma la Dottoressa Sagnella : “Lincremento di questa problematica sembra fortemente correlato allaumento delletà media della prima gravidanza e agli inquinanti ambientali che in medicina chiamiamo interferenti endocrini perché, appunto, causano effetti sul sistema ormonale. Siamo purtroppo circondati da pseudo-ormoni, quali il bisfenolo A (presente in molte plastiche) che sembra essere una delle possibili cause di insorgenza dell endometriosi , una patologia invalidante che costringe a letto, durante il ciclo, le donne che ne sono affette e che rappresenta una vera minaccia per la fertilità”.

Interferenze ormonali sono provocate , oltre che dagli inquinanti ambientali, anche da un altro fattore sconosciuto nel secolo scorso, quale lobesità : Che ha un forte impatto sia sulla donna che sulluomo, perché ladipe produce ormoni.

Avviati, dunque, gli esami pertinenti e giunta la diagnosi di infertilità, la coppia è destabilizzata sotto il profilo psicologico, tanto che: LOMS, lOrganizzazione Mondiale della Sanità, lha classificata come malattia . Un figlio è importante per entrambi, ma nella donna il desiderio di maternità è un qualcosa di istintivo. Spesso nella donna infertile può scatenarsi anche un vero e proprio senso di rabbia – dichiara la Dottoressa Sagnella, la quale continua- La diagnosi di infertilità va ad interferire con il benessere psico-fisico e, proprio per superare questo impatto, la coppia deve essere quanto mai unita. Coppia che spesso cambia le proprie abitudini, si isola, ad esempio scegliendo di non frequentare più gli amici che hanno figli.

Cambia la visuale attraverso la quale si guarda il mondo perché quel ventre ancora vuoto fa male:

Le donne notano i pancioni delle altre e nei supermercati evitano di passare per i corridoi con pannolini, pappine. Si apre una ferita profonda nellanimo, conclude la Dottoressa Sagnella, la quale, ci parlerà, nei prossimi giorni, di cosa possa fare la medicina nel campo dell’infertilità.

Alessandra Fiorilli

Quando i profumi erano formaggi….

 

Si lo so, è un titolo assai curioso questo.. ma lo capirete se leggerete fino in fondo il mio articolo…

Ormai basta andare in pizzeria e notiamo bambini piccoli, che ancora non sanno parlare e camminare, che guardano video sullo smartphone dei genitori; nelle case ci sono fratelli che discutono per chi ha la precedenza a gareggiare con l’ultimo gioco della playstation; adolescenti che fanno a gara per scaricare l’ultima app da internet…

Tutti questi passatempi e giochi sono passivi: danno ai bambini e ai ragazzi già delle istruzioni sul come si vince, su come accumulare punti, su come sconfigge l’avversario.. Non sono i bambini i veri protagonisti, non tirano fuori le loro emozioni e la loro fantasia, non hanno modo di stimolare la loro creatività perché non creano loro il gioco, ma lo subiscono.

L’uso sempre più massiccio della tecnologia ha tolto molte cose ai ragazzi, e prima tra tutte, proprio la loro fantasia e creatività. Esse, invece, sono essenziali per il corretto sviluppo psichico del bambino, per il suo sviluppo cognitivo ed emotivo. Attraverso il gioco i bambini esprimono loro stessi, i loro desideri e le loro paure; mettono in atto, sotto un’altra forma, gli episodi che hanno vissuto nell’arco della giornata. Non a caso, l’osservazione di quali giochi adopera il bambino e di come li usa, viene impiegata dagli psicologi per capire se egli sta attraversando un periodo problematico o se soffra di qualche disturbo in particolare.

Una simpatica ed altamente esemplificativa foto scattata da Lorenza Fiorilli

 

Ma questo può avvenire solo se i bambini si comportano come tali, e cioè se ritornano a colorare, scarabocchiare, modellare pupazzetti con il pongo, costruire case e macchinine con i mattoncini colorati, disegnare faccine sui sassolini e formare una famiglia di sassi…

E’ vero, non si può tornare indietro, ormai i giochi tecnologici hanno preso il sopravvento; i ragazzi sono abituati ad avere tutto e subito, ma se i genitori e le insegnanti della scuola d’infanzia riusciranno a far amare di nuovo ai bambini la semplicità e riusciranno a far capire loro la bellezza di costruire e improvvisare una situazione di gioco, forse non tutto sarà perduto…

Io e mia sorella abbiamo avuto la fortuna di vivere la nostra infanzia qualche decennio fa, quando ancora nello zainetto dell’asilo non avevamo l’ultimo modello di cellulare ma il nostro peluche preferito; quando all’ora di pranzo non stavamo ognuno con la testa china sui tablet ma si mangiava e si parlava tutti insieme; quando, nonostante i nostri genitori non ci hanno fatto mancare mai nulla, giocattoli compresi, noi due preferivamo giocare con la nostra fantasia..

Si, ne avevamo tanta io e mia sorella; anche se lei è più grande di me di quasi sette anni, non l’abbiamo mai sentita questa differenza. Noi, che trasformavamo con la nostra creatività oggetti comuni in altri impensabili.. Come quando, a turno la mia o la sua cameretta, si trasformava in un negozio di formaggi che erano per noi due le bottiglie vuote di profumo di mia madre o della mia nonna materna (ecco qui spiegato il titolo del mio articolo!!). Chiedevamo a loro di non buttare le bottiglie perché noi le avremmo usate in un altro modo; quelle con una forma triangolare li facevamo diventare pezzi di parmigiano, quelle un po più “bombate” delle mozzarelle, e così via.. E a turno una di noi impersonava la cliente e un’altra la commessa del negozio..

E questo è solo un esempio di come ci divertivamo a creare noi la situazione di gioco e di quanto abbiamo usato la nostra fantasia; ma su questo potrei scrivere un altro articolo!!

Spero di non avervi annoiato, ma, al contrario, di aver suscitato in voi il desiderio di insegnare ai vostri figli o nipoti quanto sia più divertente giocare con delle bottiglie vuote piuttosto che uccidere mostri con il cellulare…

Lorenza Fiorilli

 

 

I colori degli anni ’60

Carissimi lettori, oggi concludiamo la carrellata di abiti tipici degli anni ’60.

Due abiti tipici degli anni ’60

L’abito rosso raffigurato ha una linea svasata, la lunghezza arriva fin sotto il ginocchio, ha una cinta arancione che riprende anche il colore delle bretelle.  Sono presenti due tasconi con bottoni neri. La scollatura è a barchetta, sotto le maniche e sotto l’orlo è  presente una decorazione fatta di piccoli quadrati uniti tra loro. La coroncina in fiori e le scarpe a stivaletto sono gli accessori principali.
L’abito giallo, è invece composto da due pezzi:  un pantalone e una camicia. Il pantalone ha una linea dritta, mentre la camicia ha una linea morbida. La stampa della camicia ha quattro colori, ovvero quelli più usati negli anni 60′, così come caratteristica dell’epoca era la coroncina di fiori attorno alla testa, come si vede anche dal mio bozzetto.

Per concludere degnamente, non poteva mancare l’abito da sposa di quegli anni con una scollatura a “barchetta”, una linea svasata, dove si aprono due piegoni chiamati “bugie”. Le scarpe sono a punta e hanno un laccio sulla caviglia dove vengono allacciate. La semplicità di questo abito lo rendono unico ed elegante.

…e l’abito da sposa…

Giulia Di Giacomantonio

Pendolare…

Foto di Nicholas Massa

Nell’attesa di una goccia,
il vento ammanta le idee e il freddo le congela,
una mattina nell’attesa,
dei ritardi con la nomea,
del menefreghismo sporco e lento,
delle tasse sui biglietti,
dei timbri,
delle corse ai posti liberi,
del caldo affollato e maleodorante,
delle chiacchiere senza fine,
delle telefonate senz’arte,
dei panini argentati,
dei libri studiati,
degli sguardi assonnati…
Attendo il prossimo treno.

Nicholas Massa

Silvano, Otello, Gabriele: i ragazzi degli anni ’60 a Nettuno

La guerra stava per terminare, o sarebbe finita di lì a poco, quando nacquero i ragazzi che sarebbero stati i protagonisti del Boom Economico, un periodo memorabile, senza eguali.

Avrebbero sognato sulle note dei cantanti americani più in voga dell’epoca, avrebbero dondolato sulle gambe per seguire il ritmo del twist, avrebbero ballato, guancia a guancia, con la ragazza per la quale avevano preso una cotta, avrebbero atteso il sabato e la domenica per incontrarla di nuovo, nella casa di quell’amico che aveva messo a disposizione la propria casa.

Anni mitici, anni che rivivremo grazie ai racconti di tre ragazzi degli anni ’60… sì, ragazzi, hanno se hanno passato la settantina da un po’: perché il loro animo è giovane, e perché serbano nel cuore tutta la passione di quel periodo irripetibile.

Loro sono, in rigoroso ordine alfabetico,  Silvano Casaldi, Otello De Santis, Gabriele Petriconi.

E quando cominciamo a parlare, i ricordi si fanno reali.

“La musica era cambiata molto in quegli anni, la prima rivoluzione l’aveva fatta già nel 1958 Domenico Modugno con il suo “Nel blu dipinto di blu”.  Poi arrivò Bindi, Celentano con il suo “24000 baci” e il rock dagli Stati Uniti. Ricordo che comprai il mio primo giradischi a rate e che lo mettevano nel cortile di casa così che tutti potevano ascoltare la musica e ballare”, racconta Otello.

 

Otello De Santis

 

“I dischi, a Nettuno, li si potevano acquistare in via Romana e in via Gramsci,, ma soprattutto a Roma e, se si voleva risparmiare qualcosa, li si comprava ai baracconi che si spostavano di paese in paese, in occasione delle feste patronali. Si potevano trovarne di usati, un po’ rigati, ma si risparmiava molto”, gli fa eco Silvano.

Silvano Casaldi

Musica e ballo, dunque, negli anni ’60, e dove c’era da ballare non poteva mancare Gabriele, il più “modaiolo” di tutti e tre:” Avevo la fortuna di avere una sorella che sapeva cucire, così potevo sempre seguire la moda, specie quella d’oltreoceano: infatti indossavo calzoni stretti, pettinino, portacerini, polsini in similpelle sulla camicia e persino un mantello. E così vestito non perdevo un’occasione per sfoggiare la mia capacità nel ballo”.

D’estate le terrazze mattonate si trasformavano in luoghi magici, dove i primi palpiti del cuore si fondevano con il gusto della libertà, e con quello dei biscottini e del vermouth che veniva spesso offerto ai ragazzi, come racconta Silvano, il quale a proposito degli abiti indossati dai ragazzi, dice: “Delle volte, però, era d’obbligo il vestito, specie nei ricevimenti nuziali, ricevimenti ai quali capitava spesso di “imbucarci” perché un amico di un nostro amico era stato invitato”.

E se durante il sabato e la domenica si ballava, nelle case, durante l’inverno e sulle terrazze d’estate “Ma anche qualche volta nelle grotte”, come dice Gabriele.

Gabriele Petriconi

Il resto del settimana ci si incontrava nei bar: “Dove ci si sfidava a biliardino, a flipper, ma anche a carte. I premi in palio potevano essere un caffè o, semplicemente, un pacchetto di caramelle”, come dice Otello.

Immancabile nei bar era anche il juke-box, perché la musica era parte integrate dalle vita dei giovani: “I famosi film con Gianni Morandi, i cosiddetti “musicarelli” non erano altro che la fedele ricostruzione di quello che veramente facevano noi”, dice Gabriele.

Non solo i bar, ma anche ogni spiaggia aveva i juke-box,  come ricorda Gabriele, il quale svela: “ Ballare faceva rima con conquistare, specie d’estate, quando, molti di noi avevano la classica storiella con qualche ragazza romane…e come dimenticare la Marciaronda, dove ci scambiavamo baci, appoggiandoci a quelle pietre che al sole diventavano bollenti.”

E sempre Gabriele, da modaiolo qual era, ricorda un particolare: “Quando acquistavamo i jeans ci tuffavano a mare vestiti per restringerli e poi li  scolorivano con i sassi  della prima diga, perché li volevamo così, effetto usato”.

Musica, batticuori, balli, voglia di stare insieme, terrazze, biscotti, vermouth, baci rubati, juke box, flipper e biliardino: quanta nostalgia degli anni  ’60, anche e forse soprattutto per chi non li ha vissuti, come me…

Alessandra Fiorilli

Il nuovo collaboratore di EmozionAmici è Carlo Belleudi

 

La rivista “EmozionAmici” da oggi si avvale di un nuovo collaboratore : Carlo Belleudi, classe 1999, studente del Liceo Musicale “Chris Cappell College” e con la passione per le sette note sin da quando era piccolo, una passione che lo porta a dire: “La musica è tutta la mia vita perché penso che sia il miglior modo per esprimere quello che provo”.

Carlo Belleudi mentre suona la sua batteria (foto per gentile concessione di Carlo Belleudi)

La batteria è il suo primo amore, ma: “Suono anche la chitarra, il pianoforte e il sassofono”.

Le sensazioni che Carlo prova sono talmente profonde ed intense da farlo sentire, quando suona:  “La persona  più forte del mondo. Un insieme di emozioni che non mi abbandonano mai, neanche quando finisco di suonare il pezzo”.

Una passione, quale per le sette note che Carlo condivide, dal 2017 con altri ragazzi, insieme ai quali ha fondato il gruppo “God Slap”, nato, come ci racconta Carlo: “A scuola, quando un giorno ci diedero da svolgere un compito strutturato per rivisitare, in chiave moderna, i pezzi dei Beatles. Dopo ciò,  gli insegnanti ci chiesero di esibirci anche l’ultimo giorno di scuola. Fu un’esperienza, questa, che ci piacque talmente tanto da pensare di continuare a suonare insieme. Così decidemmo di fondare un gruppo tutto nostro, gruppo che è composto da cinque elementi : basso elettrico, batteria, percussioni, tastiere, chitarra. Insieme ci divertiamo molto, e la passione che ci unisce è quello di suonare ciò che ci più ci piace”.

Il gruppo sta raccogliendo già  le sue prime soddisfazioni:  “Ci hanno contattato per diverse serate in zona e abbiamo suonato anche in giro per il Lazio” dice Carlo che nel 2013 ha partecipato al Concorso Internazionale per Musica da Camera, risultando 1° nella Categoria di Musica d’Insieme e  per 3 anni consecutivi ha conseguito un Master in Batteria presso Monte San Biagio.

Il momento delle prove per Carlo e i suoi colleghi:” E’  crescereè divertirsi con amici che hanno la tua stessa passione,  e con i quali condividi  momenti importanti della vita”, conclude Carlo che per la rivista  EmozionAmici ci parlerà appunto dell’evoluzione della musica, nonché ci regalerà suoi inediti come sottofondo a servizi video giornalistici che tra breve arricchiranno il nostro giornale.

Alessandra Fiorilli

 

 

 

Vi racconto la mia vittoria nel “tempio” della gastronomia italiana: “Il Gambero Rosso”

 

Il giorno 7 maggio 2018 sarà per me una data indimenticabile: per la prima volta ho fatto visita ad un “tempio” della gastronomia italiana, “Il gambero rosso” e ho partecipato alla 5° Edizione del Concorso Nazionale organizzato, appunto, dal Gambero Rosso e dall’Associazione Pandolea.

Abbiamo gareggiato mettendo a frutto tutti gli insegnamenti e le tecniche acquisite  nell’arco della nostra vita , in questo caso esaltando gli ingredienti della nostra regione e, soprattutto, i nostri olii pregiati.

A questo concorso ci siamo sfidati in 3 regioni : una scuola della Calabria, precisamente Crotone,  una scuola di Salerno che gareggiava per la Campania,  e infine la mia scuola “Marco Gavio Apicio” di Anzio, per il Lazio.

Al vincitore andava semplicemente un riconoscimento cartaceo , una serie di forniture di olii

…eccomi, emozionato, insieme ad Igles Corelli, uno degli chef più “forti” d’Italia…

pregiati e, infine, l’accesso  gratuito ad una delle cene più belle e importanti del panorama culinario: la Cena delle Tre Forchette. Ma il miglior premio in palio non è niente di concreto: semplicemente l’emozione di conoscere chef con la C maiuscola e sentire i pareri sul tuo operato, indipendentemente  dal risultato.

Le emozioni sono state  tantissime…per la verità, all’inizio, avevo tanta paura di non essere all’altezza, poi… adrenalina,  euforia, gioia  e  soddisfazione alla fine per essere arrivato primo in classifica.

Fino all’ultimo non sapevo in che posizione mi ero classificato, ma quando ho visto i giudici capire il concetto che ho cercato di far trapelare dal mio piatto, ho capito che qualcosa di buono avevo fatto.

Dedico questa mia vittoria innanzitutto alla mia famiglia che mi ha sempre spronato, a tutte le persone che mi sono state vicine , alla mia Scuola e, in particolare, al mio Professore di Cucina e, infine la dedico a tutte le persone che in questi anni hanno cambiato il mio modo di pensare alla cucina, vista ora  come espressione artistica e concettuale e non come un lavoro.

Ma soprattutto la dedico a me, per la mia umiltà e per la passione che metto ogni giorno.
E’ stata l’esperienza più bella in assoluto: so anche che questa gara e vittoria non è un punto di arrivo ma di partenza!!!

Ringrazio la Dott.ssa  Alessandra Fiorilli per avermi dato la possibilità di raccontarmi, di parlare delle mie emozioni non solo attraverso le  ricette, ma semplicemente raccontando di me stesso.

Alessandro Vellucci

 

Bambino

 

Foto di Nicholas Massa

Tutti abbiamo bisogno di tornare bambini
ogni tanto,
sdraiandoci senza pensieri,
fra un film e l’altro,
mentre chiudi gli occhi,
su quelle sensazioni che forse…
non sai neanche più leggere.

Non ci credi,
sembra così distante
quel bambino che ora ti parla
urla il tuo nome
e non riesci a sentirlo,
con le orecchie piene di fango
e sassi,
nel parco,
continui a dondolare sull’altalena
continui a dondolare sulle responsabilità
scivolando da una pozzanghera all’altra.
Ha appena smesso di piovere  e sei uscito
senza ombrello,
guidato dal profumo dell’inverno,
un qualcosa che senti soltanto tu,
esci dal parco e non lo vedi più…

Nicholas Massa

 

 

Nella ragnatela della violenza psicologica

Oggi tratterò un tema così importante, vasto e delicato che, ovviamente, non si può esaurire in poche battute: la violenza psicologica.  Cercherò, comunque, di considerare i punti salienti: In cosa consiste realmente?  Quali conseguenze può portare?  E come riprendere in mano la propria vita?

Per violenza psicologica o violenza emotiva, si intende una serie di maltrattamenti, di abusi dell’anima che possono essere messi in atto da qualunque persona verso qualunque altra persona, ma nella maggior parte dei casi, si attuano da un uomo verso una donna, come ne sono testimoni gli ultimi casi di cronaca. Essa è una forma subdola di violenza perché non ci sono cicatrici evidenti, come nel caso della violenza fisica, e che può portare gravi conseguenze a chi ne è vittima.

Foto di Lorenza Fiorilli

 

Essa si manifesta con comportamenti di svalutazione e di denigrazione, con parole di umiliazioni e critiche continue che possono riguardare il proprio abbigliamento, il proprio modo di comportarsi, le persone che si frequentano; nel caso particolare di un rapporto di coppia queste critiche possono riguardare il modo di cucinare o di pulire casa, o la maniera in cui si educano i figli. Gli uomini che mettono in atto questo genere di violenza sono spesso anche molto gelosi e possessivi, e tendono ad isolare la donna che ne è vittima dalle proprie amicizie e familiari. Queste persone hanno anche la tendenza a sminuire i problemi della partner e ad ingigantire i propri, passando loro come vittime e, spesso, facendo sentire in colpa la propria compagna, che, secondo loro, non si occupa abbastanza, o in maniera “giusta”, di loro.

Ecco, il senso di colpa è uno delle tante conseguenze che può portare questo tipo di abuso: la donna si interroga su quali siano i suoi comportamenti “sbagliati” e crede, effettivamente, che siano state le proprie azioni o le proprie parole a far sì che il proprio compagno non sia soddisfatto di lei. I sensi di colpa generano un senso di inadeguatezza e portano ad un’altra conseguenza della violenza psicologica: la perdita di autostima. La vittima dei maltrattamenti perde, poco alla volta, stima e sicurezza in se stessa, fiducia nelle proprie capacità, e, nei casi più gravi, dubita dei suoi stessi pensieri. In questo caso la vittima dei maltrattamenti non è più sicura neanche della sua percezione e dei suoi ricordi: questa grave forma di manipolazione mentale viene detta gaslighting e porta la persona a sentirsi confusa e, spesso, a diventare dipendente dal manipolatore.

Se, fortunatamente, si riesce ad uscire da queste relazioni non sane, le conseguenze ci saranno comunque: chi è stata vittima di violenza psicologica porterà con sé le cicatrici invisibili, il senso di inadeguatezza, la bassa autostima, la consapevolezza di non essere stata in grado di far fronte alla cattiveria dell’altra persona e lo sconcerto che un uomo che diceva di amarla l’ha ridotta all’ombra di se stessa. Spesso ci sono anche conseguenze sul piano fisico come insonnia, attacchi di ansia, disturbi psicosomatici e depressione; ovviamente tutto ciò dipende dalla gravità della violenza e dalla sua durata.

Non è facile rialzarsi e continuare come se niente fosse successo: bisogna attingere a tutta la forza che non si crede più di avere, bisogna perdonare e perdonarsi, non rimuginare più sul come e perché è accaduto; è essenziale, inoltre, circondarsi di persone che ci vogliano bene e che sappiano ridare, poco alla volta, sicurezza e stima di sé. Ma la cosa più importante è che la persona che ha subito gli abusi, ricominci ad amare se stessa, e a credere di nuovo nei propri ideali e nei propri valori, che sono stati gettati nel fango dal manipolatore, in modo che la vittima non li ritrovasse più…

Lorenza Fiorilli

Spaghetto asparagi e lonza

Ciao a tutti cari lettori, sono tornato con un’ altra ricettina sempre per rimanere in tema di stagione: oggi, infatti,  vi illustrerò un primo piatto a base di asparagi.


Intanto vi elenco gli ingredienti:

-80g di spaghetti
-1 mazzo di asparagi
-2 fette spesse di lonza
-cipolla rossa
-vino bianco
-sale pepe
Dunque, puliamo gli asparagi e conserviamo le punte, facciamole sbollentare in acqua salata e, appena pronte, fermiamo la cottura in acqua e ghiaccio ( servirà a mantenere il colore verde acceso).
Tagliamo il resto degli asparagi  a cubetti regolari e dividiamoli in due padelle:
in una predisponiamo un filo d’olio, la cipolla rossa tagliata finemente, sale e facciamo rosolare , sfumando con il vino e aggiungendo un po’ di acqua; faremo cuocere il tutto  per 5 minuti (questa sarà la base per il condimento per la pasta).
Nell’altra padella aggiungiamo un filo d’olio ,gli asparagi , dei ritagli di lonza ,sale e pepe e acqua. Bisogna far stracuocere gli asparagi per 30 minuti ,  frullarli, setacciarli per ottenere  una salsa fina e lucida.
A parte rosoliamo, per pochi secondi, dei cubettini di lonza.
Buttiamo la pasta nella pentola di acqua bollente e salata, e cuociamo per 5 minuti, mentre gli  ultimi minuti di cottura della pasta, avverranno  nel fondo di asparagi fatto in precedenza.
Impiattiamo  gli spaghetti, predisponendo la salsa di asparagi alla base, le punte e la lonza croccante.
Il piatto è pronto, e  mi raccomando, utilizziamo sempre ingredienti di stagione e tanta, tanta fantasia. Buon appetito e… aspetto vostre notizie. Ciaooo!!!

Alessandro Vellucci