Fogli bianchi.

(Foto per gentile concessione di Nicholas Massa)

Sono le ombre delle vostre scelte
quelle stesse anime criticate ed etichettate
dai telegiornali.
Pigri.
Nullafacenti.
Svogliati.
Questi prodotti di un tempo
sbocciano alla luce di un sole che da lontano osserva, dimenticando un passato forgiato
sulle battaglie per i diritti a disegnare l’essere umano
che ormai
si spegne
fra i tratti di quelle stesse matite nuove di zecca che non hanno saputo disegnare nulla.

Fogli bianchi. Questo siamo.

Nicholas Massa

 

 

Maneggiare con cura.


(Foto di Nicholas Massa)
Fragile,
come un bicchiere d’aria sulla finestra,
al mattino,
avvolto nei fumi continui di una grande città,
rivestito di pensieri e parole tiepidi come le piante nella giungla,
umido, eppure fermo,
immobile alle intemperie del mondo che parla.
Parla
parla
parla
parla,
sui fogli di carta stampati dal sudore degli orari in ufficio,
quando tutto tace e le luci sono spente.

Nicholas Massa

 

Mister Neno Cesarini ci parla della sua passione per il calcio

 

“La passione per il calcio? L’ho sempre avuta, sin da bambino, quando, insieme gli amici, con i quali abbiamo condiviso l’infanzia,, giocavamo a pallone fuori casa”, così inizia il suo racconto Mister Neno Cesarini, il cui nome è da sempre legato al gioco del calcio.

Neno Cesarini in una sua foto (per gentile concessione).

“Purtroppo non ho mai avuto la possibilità di scendere in campo con la maglia del Nettuno, la mia città natale, perché io militavo con gli Allievi e a Nettuno non c’era questa categoria”.

Erano tempi, quelli della gioventù di Neno, dove il campanilismo tra le due città limitrofe di Nettuno ed Anzio era particolarmente forte, tant’è che lo stesso Neno, pur se con il sorriso sulle labbra e con un pizzico di ironia, ci racconta come sia approdato nella squadra degli Allievi neroniani: “Mi avevano detto che se volevo continuare a giocare in zona, l’unica possibilità era di andare con l’Anzio, ma io ero un po’ titubante, fino a quando il grande Mister Biti, conosciuto con il soprannome di “Mago del Tirreno” venne a trovarmi nel negozio di mio zio e mi convinse a seguirlo. Sono stato l’ultimo ad andare via dall’Anzio…è stato un bel periodo della mia vita”.

E nella città neroniana Neno torna qualche anno più tardi: “Dopo aver conseguito, nel 1985, il patentino da allenatore”.

Neno, nel suo ruolo da Mediano, è bravo, così bravo da avere l’occasione di andare a giocare in Serie C: “Purtroppo, e questo rimarrà per sempre il mio più grande rimpianto, ho avuto un alterco con un arbitro…ho sbagliato, me ne sono reso conto subito, ma avevo l’irruenza dei vent’ anni e, in un solo istante, ho bruciato una grande possibilità”.

Ma neanche questo incidente riesce a tenere Neno lontano dai campi di calcio: “Non mi sono mai fermato, e come Mister ho ha alle spalle ben 33 campionati, divisi tra le squadre dell’Anzio, dal quale è cominciato la mia esperienza di allenatore, del Lavinio e del Nettuno, dove attualmente alleno il Settore Giovanile del Virtus Nettuno”.

Da quattro anni Neno ha lasciato la prima squadra per dedicarsi alle nuove leve: “E’ un’esperienza bellissima, quella che sto vivendo insieme a questi ragazzi, i quali che si allenano con passione ed impegno tre volte a settimana.  Stare con loro mi fa sentire giovane, è bello vederli crescere, ma devi essere presente e fare anche un po’ da “psicologo” come ripeto sempre”.

Una vita per il calcio, dunque, quella di Neno, il quale conclude dicendo: “Non riesco ad allontanarmi proprio dai campi da gioco: è la mia passione”.

Alessandra Fiorilli

Calamarata con ragù di polipo e crumble di olive

Cari lettori, bentrovati! Dopo tanto tempo sono tornato…purtroppo l’esame di maturità per me è ormai alle porte!
Oggi vi propongo  una ricettina sfiziosa che definirei “goduriosa”.
La star del piatto è il polipo verace delle nostre zone , con delle succose olive di Gaeta e un tipo di pasta molto versatile,  come la calamarata.
Intanto vi elenco gli ingredienti:
-1 polipo verace
-200g di pasta “calamarata”
-10 olive di gaeta
-le croste del pane raffermo (integrale sarebbe perfetto)
-aglio, rosmarino,prezzemolo,olio e.v.o.


(foto di Alessandro Vellucci)
L’unica difficoltà di questo piatto è il tempo,  a causa della lunga cottura del polpo, ma, alla fine dei conti, per avere dei risultati perfetti bisogna rispettare i vari ingredienti ed esaltarli al meglio.
Procediamo?! VIAA…
Facciamo cuocere il polipo dentro una pentola senza aggiungere acqua..ebbene sì..il polipo fresco cuocera’  nella sua stessa acqua che rilascerà appena inizierà a cuocere, per circa un ora.
Intanto preparariamo un fondo con aglio in camicia , rosmarino, un ‘ alicetta e facciamo infondere l’olio, mettendolo da parte.
Tritiamo le olive nere insieme alle croste del pane raffermo e stendiamo il tutto su una placchetta da forno. Facciamo essiccare per un’ ora a 80°C e, una volta ottenuta questa polvere,  la tritiamo di nuovo per ottenere una sorta di pangrattato alle olive nere.
Appena cotto il polipo, lo puliamo e lo tagliamo a piccoli pezzi.
Riaccendiamo la padella con l’aglio,rosmarino e alici e aggiungiamo il polpo , che faremo rosolare,  una buona passata di pomodoro e  facciamo cuocere per altri 40 minuti, fino a che il composto diventi un ragù.
Mettiamo a bollire la pasta e,  a cottura desiderata,  la scoliamo nel ragù… due tre salti in padella per amalgamare il tutto ed impiattiamo senza badare troppo, stavolta, all’impiattamento (molte volte la mangio direttamente dalla padella facendo alla fine un’ enorme scarpetta). Come tocco finale aggiungiamo prezzemolo e il pangrattato alle olive.
Una ricetta molto semplice,  ma come di rito , gli alimenti devono essere di qualità. Noi abbiamo l’ immensa fortuna di avere il mare a pochi metri dalle nostre case e, quindi, perché non approfittarne?
Grazie mille,  cari lettori, commentate e fatemi sapere.

Ciaoooo!!!

Alessandro Vellucci

 

Il bruxismo e i suoi effetti.

Il bruxismo è una parafunzione dinamica del sistema masticatorio, estremamente diffusa nella popolazione adulta e legata allo stress. I clinici del settore odontoiatrico hanno da sempre notato l’usura e l’abrasione dei denti legata alla funzione masticatoria, alla tipologia di alimentazione e tipicamente correlata con l’età del paziente. Negli ultimi decenni sono molto aumentate le perdite di sostanza dentale a livello della superficie masticatoria, non correlate alla tipologia di alimentazione, di grado elevato e non legate all’età anagrafica, non uniformi nella loro localizzazione e soprattutto coincidenti nei denti dell’arcata dentale opposta. Queste lesioni dei denti sono dovute al bruxismo, ovvero al frizionamento dei denti l’uno contro l’altro senza interposizione di alimenti durante movimenti mandibolari selettivi di protrusione e/o lateralità. Questi movimenti sono raramente sotto il controllo della volontà, ed in tal caso il paziente ne è cosciente, molto più frequentemente non sono sotto il controllo della volontà e avvengono durante il sonno profondo.

I denti, pur mantenendo la funzione primaria di barriera epiteliare (hanno la stessa origine embrionale della cute), hanno anche una struttura che gli permette di adempiere alla funzione meccanica masticatoria. Si intende per sistema masticatorio l’insieme di elementi dentali (naturali od artificiali), muscoli, tendini, nervi ed articolazioni che esplica la funzione masticatoria.

Si parla di parafunzione occlusale, quando questo sistema viene attivato non per le finalità strettamente connesse all’alimentazione ed alla triturazione del cibo. Le parafunzioni possono essere sia statiche che dinamiche. Il bruxismo è una parafunzione dinamica; si può presentare transitoriamente nei bambini durante la dentizione mista ma, più tipicamente, si presenta negli adulti con un andamento discontinuo e fortemente correlata alla presenza di condizioni di stress, alla presenza di alcuni tipi di malocclusione dentaria ed alla presenza di una tipologia facciale e muscolare particolare. Studi elettromiografici hanno evidenziato che il bruxismo si verifica soprattutto di notte e nella fase del sonno profondo (REM). Il paziente adulto bruxista, pur in maniere non costante, digrigna per tutta la vita.

Il bruxismo si accompagna sempre ad abrasione patologica degli elementi dentali coinvolti che possono diventare ipersensibili oppure, nei casi più gravi, diventare necrotici dando luogo a complicanze infettive.

La parafunzione del bruxismo, non essendo legata ad esigenze funzionali, altera la normale fisiologia del sistema masticatorio con possibili danni e conseguenti sintomi a carico di uno o più elementi del sistema; denti, articolazioni temporo-mandibolari, muscoli masticatori e loro antagonisti. Il bruxismo può inoltre avere influenza negativa sul decorso di altre malattie odontoiatriche quali la malattia parodontale, la carie e le disfunzioni cranio-cervico-mandibolari.

Cosa fare, dunque? Vi sono sufficienti evidenze cliniche e scientifiche che permettono di affermare che, ad oggi, l’insorgenza di una parfunzione occlusale non può essere prevenuta. Altrettante evidenze mostrano che il decorso della parafunzione e la prevenzione dei danni secondari può essere influenzata positivamente dalla correzione di tutte quelle malocclusioni caratterizzate dalla dislocazione posteriore della mandibola. In pazienti che hanno parafunzione occlusale qualsiasi presidio che impedisca meccanicamente la parafunzione stessa risulta inefficace, mal tollerato e foriero di possibili complicanze che sono peggiori dei danni procurati dalla parafunzione stessa. E’ questo il caso dei dispositivi universali presenti in commercio. Il buon senso indica che in presenza di bruxismo ci si debba rivolgere a persona competente ed esperta, che sappia fare una diagnosi accurata, che valuti con attenzione le caratteristiche individuali della parafunzione e che abbia i mezzi per realizzare un dispositivo totalmente individuale sulle caratteristiche anatomiche del paziente, sulle caratteristiche individuali degli elementi coinvolti dalla parafunzione del sistema masticatorio e sui sintomi del paziente. Questo dispositivo individuale non impedisce la parafunzione ma permette al paziente affetto da bruxismo di digrignare bene, limitando e controllando i danni agli elementi del sistema masticatorio.

Il Dottor Alfredo Rossi

Dottor Alfredo Rossi

 

 

 

Equilibrista…

Equilibrista…

Foto di Nicholas Massa

Guardava sempre il cielo mentre camminava fra le nuvole dei suoi pensieri distanti…
In pochi riuscivano veramente a scorgerlo e quei rari individui che vi riuscivano lo consideravano un pazzo…
A lui poco importava,
neanche ci faceva troppo caso,
totalmente preso da quelle riflessioni così leggere da sollevarlo alto…
Ogni tanto parlavamo, discorrevamo sulla sensibilità reciproca, in un riflesso opaco…

In pochi riuscivano a scorgerlo ma io lo vedevo, lo comprendevo e ci convivevo.
Adesso… Siamo tutt’uno.

Nicholas Massa

Pronti a colorare…?

Vi ricordate quando da bambini non vedevate l’ora di disegnare e come eravate felici quando vi regalavano un album da colorare?

Crescendo, ovviamente, si fanno altre cose, si sposta la propria attenzione su altre attività, più “idonee” agli adulti. Ma chi l’ha detto? Chi ha deciso quali sono le cose da fare da piccoli e quali le cose da fare da grandi? Personalmente questa distinzione non l’ho mai fatta, ho sempre continuato a fare le cose che mi rilassavano e che mi davano, anche per pochi minuti, gioia, e tra queste, colorare.

Si, avete letto bene: colorare.

Album, matite colorate e pennarelli fotografati da Lorenza Fiorilli

Cosa? Anche gli album che vendono in edicola; si, proprio quelle con i personaggi dell’ultimo cartone della Disney. Ho sempre difeso questo mio piccolo “antistress”, anche quando i miei amici mi guardavano in modo strano e non riuscivano a capirmi (veramente anche ora..) ma non gli ho mai dato importanza.

La maggior parte di noi ha un hobby, un’attività che pratica per svagarsi; c’è chi fa giardinaggio, chi gioca a calcetto, chi fa lavori a maglia, e chi si dedica all’arte: dipingere, lavorare la creta, disegnare e… colorare. Che differenza c’è tra colorare una tela o un libro per bambini? Nessuna. Anzi, no.. Una c’è..  E’ che ci sentiamo stupidi, infantili; o, meglio, gli altri ci fanno sentire così.

Eppure è scientificamente provato che colorare fa rilassare e fa divagare e diverse ricerche hanno dimostrato che colorare fa ridurre lo stress e suscita una sensazione di calma. Quando coloriamo siamo concentrati solo sulle figure, su come abbinare i colori, sullo stare attenti a non andare fuori dai bordi, e durante quei pochi minuti lasciamo fuori i nostri problemi e le nostre preoccupazioni.

Quando coloriamo riusciamo anche a capire meglio le nostre emozioni e il nostro umore: dai colori che usiamo, infatti, si può capire molto del nostro vissuto interiore in quel momento. Per accorgersene   basta provare a colorare uno stesso disegno in due momenti diversi: uno quando ci si sente sereni e un altro quando ci si sente arrabbiati o tristi e poi confrontarli tra loro.

Quando coloriamo, inoltre, si attivano varie aree del nostro cervello, sia l’emisfero sinistro che quello destro; lavorano contemporaneamente la logica, la creatività e l’immaginazione.

Ormai in molti Paesi, inclusa l’Italia, sono stati pubblicati degli album da colorare destinati agli adulti, i cosiddetti colouring books (come li chiamano gli inglesi) e se fate un giro in edicola ve ne accorgerete. In alcuni paesi europei alcuni di questi sono diventati dei veri e propri best sellers; in particolare, va di moda colorare i mandala (disegni circolari con vari motivi geometrici) e molti di questi si possono scaricare e stampare anche da internet.

Ovviamente, affinché colorare abbia l’effetto sperato, si deve stare tranquilli in un luogo senza confusione e chi lo desidera, può farlo anche ascoltando la sua musica preferita.

Vi invito a provare, magari iniziando a colorare insieme a vostro figlio o nipote, e poi potete continuare da soli. Forse qualcuno si sentirà sciocco, altri lo troveranno noioso, ma altri potranno scoprire una nuova tecnica antistress!

Ora vi saluto.. Scusate, ma mi è venuta voglia di prendere i colori in mano…

Lorenza Fiorilli

 

 

 

 

Esperienza richiesta…

Esperienza richiesta…

“Buon giorno ”
“Buon giorno.”
“Età?”
“24 anni.”
“Nazionalità?”
“Italiana” (ma non lo legge il curriculum?)
“Qui leggo che ha studiato all’università…”
“Certamente, è stato molto formativo” .
“Ovviamente…”
(Accennai un sorriso).
“Ha mai lavorato prima?”
“No.”
(Scrisse qualcosa su di un foglietto).
“Quante lingue conosce?”
“Inglese, francese e spagnolo.”
“Potrebbe accennarmi qualcosa?”
“Sure, we can talk with a different languange starting from now…”
“Bene…”
(Ero confuso).
“Perché vorrebbe lavorare per noi?”
“Perché si cerca un lavoro?”, gli chiesi io, per poi rispondermi da solo:” Per soldi.”
“Conosce la nostra azienda?”
“Certamente.”
“Ha qualche interesse particolare?”
“Scrivo.”
“Cosa scrive?”
“Di tutto… Non saprei trovare una concreta definizione.”
(Scrisse nuovamente sul foglietto).
“Le interessa lo sport?”
“Marginalmente.”
“In quanto alla politica…?”
“Ogni tanto vado allo zoo e do da mangiare alle scimmie soltanto per vederle scannarsi tra loro.”
Stette per qualche istante a guardarmi.
“Perché mai dovremmo assumerla qui?”
“Perché no?”
“Non ha esperienza.”
“Sono qui anche per questo.”
“Questa non è una scuola.”
“Questo non ha senso.”
“Lo ha eccome…”
“Vuole sapere cosa penso?”
“Veramente…”
Mi alzai dalla sedia pigramente e mi accesi una sigaretta:
“Sembra una dannata ruota! Una dannata ripetizione, un circolo vizioso in cui voi avete il coltello dalla parte del manico e vi aspettate qualsiasi cosa da noi, pur di entrare in tutto questo. Ci trattate come cagnolini al guinzaglio senza principi, ci raccontate fin da bambini che studiare è giusto per poi vederci superati dai figli di papà e dai raccomandati, in un mondo dove non conta quanto tu sia abile ma quanto ti pieghi…”
Mi stette a guardare nuovamente confuso:
“Le faremo sapere…”
“Ci conto.”

Nicholas Massa

Lorenza e Graziana Petriconi: la storia di un sogno avverato e di una passione che continua…

“A due anni già ballavamo, come ci racconta nostra madre, e alle recite natalizie dell’asilo ci sentivamo perfettamente a nostro agio…poi, una sera, davanti ai balletti della Parisi nel programma del sabato sera “Fantastico”, abbiamo chiesto a nostro padre come si facesse ad entrare in quella scatola magica e lui ci rispose che, se lo volevamo davvero,  ce l’avremmo potuta fare”, a raccontarsi è Lorenza Petriconi che, con la gemella Graziana, sono state protagoniste di una storia che tanto somiglia a quella delle favole…

Nella foto, da sinistra, Graziana e Lorenza Petriconi (foto per gentile concessione)

Dunque, iniziamo da quella passione che coltivano sin da piccole: “Siamo state sempre affascinate dall’arte: musica, danza, canto, teatro e tv, dalla quale è decollata la nostra carriera”.

Lorenza, con la sua chioma fulva, che tanto è piaciuta anche al loro pigmalione Gianni Boncompagni, è un fiume in piena di energia e entusiasmo e, grazie alle sue parole, facciamo un salto indietro di tanti anni: “Studiavamo danza e ci eravamo diplomate al Conservatorio di Santa Cecilia in flauto traverso, ma il nostro sogno era la tv. Casualmente, un giorno, nostra zia ci disse che stavano cercando delle ragazze per “Domenica in”. E fu così che, nel giugno del 1989, arrivammo agli studi della Dear e lì vedemmo una marea di ragazze, ma provammo ugualmente”.

Poi arriva l’estate…l’estate dei 16 anni di Graziana e Lorenza, la quale dichiara: “In quei mesi accantonammo nella testa l’idea che ci avrebbero chiamate e ci godemmo quel periodo, fino al mese di settembre, quando, di domenica, il telefono di casa squillò e ci comunicarono che avevamo superato le selezioni, anche se non ci dissero quando ci saremmo dovute presentare”.

Infatti, quando arrivò il giorno dell’incontro con Boncompagni “Noi eravamo a scuola e ci precipitammo in macchina con nostra madre così come eravamo: senza trucco, con i capelli ricci, gli occhiali da vista…ma fu proprio questa semplicità a colpire Boncompagni, con il quale ci mettemmo a parlare come se lo avessimo conosciuto da sempre”.

E così inizia la favola: “Nella trasmissione domenicale della RAI , presentavamo il gioco telefonico per bambini, poi abbiamo anche affiancato anche Pupo e ci siamo cimentate anche  in alcuni sketch comici con lo stesso Boncompagni”.

Lorenza ricorda quel periodo: “Come bellissimo, gratificate e nel quale abbiamo imparato molto, nonostante i tanti sacrifici, perché  frequentavamo la scuola superiore  e studiavamo di notte o durante il tragitto in macchina”.

Conclusasi l’esperienza di Domenica In, ecco arrivare  “Piacere Raiuno”: “Ero lo show di mezzogiorno della RAI, andava in onda dalle 12 alle 14,30 da settembre a giugno. Nessuno studio televisivo: si andava in diretta dai teatri italiani, infatti, grazie a questa esperienza, abbiamo girato la nostra bellissima penisola.”

In molti si ricorderanno di Lorenza e Graziana come le Tate di Toto nel programma  il cui cast vantava un giornalista come Piero Badaloni, l’attrice Simona Marchini e il cantante Toto Cutugno, appunto.

Di quel periodo come dimenticare: “Le 150 lettere al giorno che ricevevamo dai nostri fans”.

Conclusasi la parentesi televisiva, le gemelle Petriconi vengono contattate per alcune spot pubblicitari di marche note, poi: “ In tv torniamo nel 1996 con “La sai l’ultima”, insieme a Pippo Franco e Pamela Prati”.

Quando arriva anche il cinema, a chiamarle più forte ancora è quella scuola di danza che, nel frattempo,  avevano deciso di aprire nella città dove sono nate e cresciute.

Da sinistra, Lorenza e Graziana (foto per gentile concessione)

“Eravamo impazienti di tornare e vedevamo l’orologio quando stavamo sul set. Abbiamo capito che una cosa più bella e più grande ci stava spettando: i nostri ragazzi”.

Oltre alla loro scuola, dove sono attivati corsi di danza classica, moderna ed acrobatica, le gemelle Perticoni sono fiere del  loro Gruppo Folkloristico Citta di Nettuno che ha ottenuto il riconoscimento come Gruppo Storico dall’allora Presidente della Repubblica Napolitano. “Con i ragazzi vestiti con gli abiti nettunesi del 1500 prendiamo parte a tutti gli eventi più importanti della nostra città”.

Le gemelle Petriconi con il loro “Gruppo Folkloristico Città di Nettuno” (foto per gentile concessione)

Intanto, con la loro scuola, vincono tutto quello che c’era da vincere: “Competizioni Provinciali, Regionali, Nazionali ed  Europee e grazie a  questa vittoria arrivata nel 2006 a Barcellona,  voliamo a New York e  portiamo a casa 3 medaglie d’oro, 1 di bronzo e la coccarda come premio della giuria. Nella Grande Mela abbiamo vinto con un balletto mix di danza e tarantelle “.

Dopo i fasti e i lustrini della tv, Lorenza e Graziana sono rimaste le ragazze semplici di sempre: “E’ nelle cose semplici che c’è la vita e la sua purezza, la sua bellezza”, conclude Lorenza.

                                                 Alessandra Fiorilli

 

 

Gli abiti anni ’50 e la loro parola d’ordine: esaltare e valorizzare la figura femminile senza tralasciare il gusto, la sobrietà, l’eleganza

 

Altro capo classico degli anni ’50 è l’abito…vediamone, attraverso i miei bozzetti, alcuni, caratterizzati da uno stile intramontabile:  quello rosso ha la gonna che arriva fin sotto il ginocchio,  ampia,  chiamata, proprio per la sua struttura,  ” a ruota”.  Il corpetto è invece aderente, con uno scollo rotondo chiamato, appunto, “girocollo”. Il taglio mette in evidenza il giro vita. L’accessorio di questo abito è il guanto nero. L’abito viola  ha, invece, una linea ampia, la lunghezza della gonna è  fin sotto il ginocchio e ha due tagli laterali, lo scollo è sovrapposto dall’abbottonatura arricchita da bottoni, mentre quello rosa ha una gonna chiamata “a mezza ruota” e la parte superiore un collo detto ” alla francese.

Evidenziare il vitino di vespa  era molto importante in quegli anni, ecco dunque, altri due abiti corredati, ciascuno, da una cinta: quello in bianco e nero ha una linea aderente, la lunghezza arriva poco più sopra della caviglia e sulla gonna sono presenti delle tasche laterali, gli accessori sono i guanti.

L’abito blu ha una linea aderente con l’abbottonatura sovrapposta. Lo scollo è rotondo detto “girocollo”. Ha una tasca chiamata “a filetto” dove si può notare un foulard sempre di raso che fa pendant con la cintura. Un paio di guanti arricchisce il tutto.

La prossima volta arriveranno gli anni ’60…a presto carissimi lettori!

Giulia Di Giacomantonio