74° ed ultima Puntata del Romanzo “Arri Arri Cavalluccio” di Alessandra Fiorilli

Delle volte, nonno, quando sono seduta nel tuo studio, mi manca affrontare con te le discussioni sui temi del giorno, i grandi avvenimenti internazionali, quando sono in giardino e osservo gli alberi, i bulbi, l’ortensia, il petto d’angelo così forti e vigorosi mi fa male l’idea che tu non possa vederli, e adesso, nonno, quando sto per terminare questo mio scritto che parla di te, mi si lacera l’animo al pensiero che tu non possa leggerlo.

Eppure qualcuno mi ha rassicurato che tu lo stai leggendo e che sei fiero di me.

È proprio così, nonno?

È proprio questo che volevi?

Desideravi che io scrivessi di noi, del nostro amore, del nostro rapporto così speciale ma è questo lo stile con il quale desideravi che io lo facessi? Sono queste gli interrogativi che rimarranno senza risposta.

Anche la mamma ha pensato ciò, non me l’ha detto ma l’ho letto nei suoi occhi verdi, mentre stava scorrendo le pagine di questo libro. Noi ci siamo guardate ed io mi sono limitata a dire che sì, anche io ho pensato: “E se avesse potuto leggerlo?”.

Tu, proprio tu, tu che adoravi ascoltarmi recitare le poesie la vigilia di Natale, tu che leggevi avidamente i miei articoli, tu che hai conservato avvolte in una carta da regalo rossa e dorata, le mie cartoline, i miei biglietti d’auguri, che tu che hai sempre creduto in me e che mi hai chiesto di fare e di mantenere la promessa che un giorno avrei scritto di noi.

Vedi, nonno, il nodo si è sciolto ed io ho potuto finalmente raccontare la nostra storia. Ancora oggi, nonostante gli anni trascorsi, io mi chiedo cosa ne è stato di noi, dov’è il nostro amore e dove sei, da quale angolazione mi guardi mentre faccio colazione al mattino, quando spolvero i tuoi mobili e lucido l’argenteria, quando mi godo la vista dei pini dalla cucina, quando guardo le tue foto e sfoglio i tuoi libri.

Nonno, dimenticavo di dirti che il nostro limone è stato potato: era diventato troppo grande, pesante, i limoni che ci regalava non ricordavano quei bei frutti gialli dalla scorza doppia e rugosa. Quando andavo a raccoglierli erano raggrinziti, il succo all’interno non aveva quel sapore deciso di quelli che mi regalavi tu. Allora, dietro consiglio di un esperto, abbiamo deciso di potarlo. Io non volevo che fosse privato di quei rami ma ho capito che, per continuare a godere dei suoi frutti, sarebbe stato necessario farlo. Un mattino, poi, come di consuetudine e prima di consumare la colazione, mi sono affacciata dal balcone della cucina e con grande sorpresa e gioia ho potuto vedere che dai rami rimasti stavano spuntando delle piccole escrescenze verdi: erano le foglie nuove. Il nostro limone sta bene, nonno, ci tenevo che lo sapessi, oggi è irradiato dai raggi del sole e mostra tutta la sua felicità per questa nuova vita che quel taglio gli ha regalato: è infatti carico di piccoli frutti ancora verdissimi. Oggi anch’io sto bene, nonno: ho terminato di scrivere la nostra storia.
Te la regalo con lo stesso amore con il quale ti facevo recapitare dalla nonna quei bigliettini che spesso ci scambiavamo e che ancora conservo gelosamente tra le cose più importanti. E chissà se sia ancora una volta la nonna a dirti: “Pasqualino, questo te lo manda Alessandra, è per te”

3° Puntata del Romanzo “Arri Arri Cavalluccio” di Alessandra Fiorilli

Ci trovammo così, quel 24 dicembre del 2000, riuniti all’una a mezza intorno alla tavola apparecchiata, tutto sembrava essere uguale all’anno prima e a quello prima ancora: la nonna aveva preparato gli spaghetti con le vongole, scelte da te come sempre, la frittura era stata acquistata nella pescheria di fiducia, il capitone era quello fresco, di quelli che si vedono arrotolarsi dentro le grandi vasche di plastica, in attesa di esser presi con il retino, ma non poteva certo mancare il baccalà in umido con un sugo leggero di capperi ed olive.

Lo dicevi ogni Natale, sempre, non lo scordavi mai, che il baccalà era preparato per la mamma, ghiotta di questo piatto. E poi, ancora, nel ricco menù, cavolfiori, insalata mista, vino della casa e, immancabile, lo spumante che versavi nei bicchieri di tutti… ricordi nonno, poi ne lasciavi un po’ per noi, lo facevi scivolare giù nel mio e poi nel tuo bicchiere, e guardandoci negli occhi dicevi: “Quello che rimane, lo conserviamo per domani a pranzo”. Dunque, tornando a quel Natale del 2000, tutto sembrava essere uguale a quelli passati, ma sentii qualcosa dentro di me quando mi sedetti, come facevo da anni ormai, vicino a te: un freddo dentro, un brivido lungo la schiena e mentre ti vedevo intento nell’eseguire il rituale dell’assegnazione dei posti, nel presentare le portate ad una ad una, mi sembravi già più lontano, come se la morte cominciasse a prendere un po’ di te.

Mangiai per tutto il tempo con la mano appoggiata sulla tua… percepii quasi che quello sarebbe stato l’ultimo Natale e quella, l’ultima volta che mi avresti detto: “Alessandra, la mia bella bambina, seduta qui, vicino a me, vicino al nonno”.

I posti li assegnavi tu, degli anni rimanevano invariati, degli anni cambiavano, io, te lo dico solo adesso, ogni festa comandata che Dio ci ha fatto trascorrere assieme, speravo sempre che tu mi dicessi che il mio posto era alla tua destra, nell’angolo della cucina, vicino alla finestra, era quello più scomodo, certo, ma vicino a me c’eri tu ed il resto non contava niente, non importava se dovevo stare seduta per l’intero pranzo con una gamba attorno ad un tavolo e con l’altra attorno a quello di riserva, più alto di quello lungo che da anni troneggiava in cucina. Se ricordi bene, nonno, mentre tutti entravano nella stanza e chiedevano dove potersi mettere a sedere, io aspettavo che tu decidessi dove volevi che mi mettessi seduta io e rimanevo fuori dalla porta, con le braccia incrociate, la testa reclinata in attesa che tu, come un principe azzurro, allargassi le braccia, mi sorridessi, e mi dicessi che, anche quella volta, mi volevi vicino a te.