Sindrome dell’ovaio policistico: ne parliamo con la Dottoressa Francesca Sagnella, Ginecologa

La sindrome dell’ovaio policistico, con un’incidenza tra il 10 e il 15%, è di tipo:  Endocrino- metabolica e presenta i seguenti elementi: caratteristiche ecografiche di ovaio micropolicistico, irregolarità mestruali ed eccesso di ormoni androgeni, ovvero maschili,  (proprio per questo motivo le donne che soffrono di tale sindrome possono soffrire di alopecia, quindi perdita di capelli nella parte centrale del capo),  acne,  irsutismo (ossia presenza di peluria in zone tipicamente maschili quali il volto, il collo, l’addome, la schiena). Tra questi, il sintomo che maggiormente preoccupa le donne, in quanto influisce sulla sfera della fertilità, è rappresentato dalle irregolarità mestruali causate da un difetto ovulatorio che può comportare cicli mestruali sporadici (oligoamenorrea) o assenti (amenorrea)”.

 A parlare è la Dottoressa Francesca Sagnella, Specialista in Ginecologia e Ostetricia, Dottore di Ricerca in Fisiopatologia della Riproduzione Umana, la quale ci tiene a sottolineare una differenza di fondamentale importanza: ”Si parla spesso di ovaio policistico, termine questo con il quale si indica un ovaio che, all’esame ecografico, appare con un numero aumentato di follicoli rispetto alla norma (oltre 12 per ovaio). Tali follicoli, con un diametro che va dai 2 agli 8 millimetri, sono tipicamente disposti a corona di rosario, quindi verso la superficie esterna delle ovaie, mentre la superficie interna dell’ovaio (stroma) rimane compatta. L’ovaio con tali caratteristiche non sempre si associa alla vera e propria “sindrome dell’ovaio policistico” (PCOS), condizione ben più complessa dal punto di vista clinico”.

La Dottoressa Francesca Sagnella, Ginecologa (Foto per gentile concessione della Dottoressa Sagnella)

La definizione di “sindrome dell’ovaio policistico”: “ Fu introdotta nel 1935 dai dottori Stein e Leventhal ed è stata oggetto di studi per decenni; trattandosi, infatti, di una sindrome con caratteristiche eterogenee e non sempre coesistenti, è stato difficile trovare un accordo in ambito scientifico  per delinearne i criteri diagnostici. Oggi la definizione viene posta in base ai criteri proposti nel 2003 a Rotterdam, in base ai quali si parla di PCOS se coesistono almeno due dei tre elementi che la caratterizzano, ovvero: ovaie con aspetto policistico, iperandrogenismo clinico o biochimico, irregolarità mestruali). Proprio perché si tende a parlare di sindrome anche quando la donna presenta soltanto le caratteristiche ecografiche dell’ovaio policistico, la percentuale di chi ne è veramente affetta è sovrastimata. Un aspetto non meno importante della sindrome è rappresentato dall’ obesità centrale, anche se quest’ultimo non rientra, a rigor scientifico, negli elementi diagnostici. L’obesità centrale si associa ad un’alterazione del metabolismo glucidico ( insulinoresistenza/ iperinsulinemia) presente nel 70% circa delle pazienti con PCOS”.

Tale sindrome, come abbiamo già detto, si accompagna spesso a segni quali acne, alopecia, irsutismo e sovrappeso pertanto: “Può creare un disagio psicologico particolarmente forte nelle adolescenti”.

L’inquadramento corretto della donna affetta da tale sindrome: “Richiede l’esecuzione di esami sia metabolici che ormonali. Tra quelli metabolici è fondamentale la curva glicemica e insulinemica dopo carico glucidico, ovvero il test che va a misurare la concentrazione della glicemia e dell’insulina nel sangue, a seguito di un carico standard (75g) di glucosio. Il pancreas, infatti, in presenza di insulinoresistenza,  produce quantità eccessive di insulina che favorisce l’accumulo di grasso, responsabile di sovrappeso e obesità centrale, tipica degli uomini. La presenza di grasso viscerale, inoltre, rappresenta un fattore di rischio cardiovascolare e si associa a livelli elevati di colesterolo e trigliceridi e, talvolta ad alterazioni del fegato (steatoepatite)”.

Alla luce di ciò: “La perdita di peso dell’8/10%,  coadiuvata da una regolare attività fisica unita alla dieta, può alleviare la sintomatologia, inducendo un miglioramento non soltanto metabolico, ma anche della funzionalità ovarica e pertanto della fertilità”.

Per tale sindrome: Non esiste una terapia unica e definitiva ma molteplici strategie terapeutiche per gestire i sintomi e le esigenze della paziente.  Mi spiego meglio. La ragazza che ha il ciclo irregolare e problemi di acne e/o irsutismo, ad esempio, può beneficiare di una terapia estroprogestinica specifica (pillola) per qualche anno; va però sottolineato che, una volta sospesa l’assunzione della pillola, nel giro di qualche mese i sintomi tendono a ripresentarsi. Talvolta, invece, invece, va gestito farmacologicamente il disordine metabolico, anche attraverso la prescrizione di farmaci per controllare l’insulinoresistenza. Nella donna desiderosa di prole, invece, possono essere di aiuto farmaci che inducano l’ovulazione, per superare il problema dell’infertilità. Ribadisco però che lo stile di vita sano, quindi una corretta alimentazione e un’adeguata attività fisica, rappresentano la terapia di prima linea per queste donne”.

Per chi soffre di tale sindrome la menopausa non significa la cessazione delle problematiche ad esse connesse:  Le donne con PCOS hanno un aumentato rischio di sviluppare un diabete di tipo 2, patologie cardiovascolari ed endometriali (ispessimento della mucosa che riveste la cavità uterina  e rischio di tumori più elevato a causa proprio dell’iperplasia)”.

La sindrome dell’ovaio policistico è:  “Una malattia multifattoriale, esiste quindi una predisposizione a svilupparla ma intervengono, su questa, molteplici fattori ambientali”.

Ringrazio la Dottoressa Francesca Sagnella per la grande chiarezza che mostra nel parlare di temi comunque complessi.

E sempre la Dottoressa ci tiene a sottolineare come: Oltre all’ovaio policistico, esiste un quadro ecografico simile, ma clinicamente differente e meno complesso, che è  l’ovaio multifollicolare. Dal punto di vista funzionale rappresenta un ovaio per certi aspetti “immaturo”, che spesso si associa a irregolarità mestruali ma, a differenza del policistico, si caratterizza per un numero inferiore di follicoli che non hanno la tipica disposizione “a coroncina”. L’ovaio con aspetto multifollicolare è molto comune nelle adolescenti, ma lo si può  riscontrare anche in  donne adulte che praticano un’eccessiva attività fisica, che soffrono di anoressia nervosa o in periodi di forte stress”.

                                                 Alessandra Fiorilli

Miomi e polipi uterini: ne parliamo con la Dottoressa Francesca Sagnella.

I miomi uterini o fibromi e i polipi endometriali sono due entità diverse per loro natura: i miomi presentano una struttura solida, che origina dalle fibre muscolari, e sono solitamente tumori benigni; i polipi sono invece neoformazioni della mucosa endometriale (quel tessuto ghiandolare che si sfalda durante le mestruazioni)” afferma la Dottoressa Francesca Sagnella, Specialista in Ginecologia e Ostetricia, Dottore di Ricerca in Fisiopatologia della Riproduzione Umana.

I miomi hanno un’incidenza elevata nella popolazione femminile: Circa il 70% delle donne tra i 40 e i 50 anni ne ha almeno uno. Si tratta quindi di una problematica molto comune. Fortunatamente la trasformazione maligna di un mioma è un evento rarissimo: circa 2 su 1000. In tal caso il tumore prende il nome di lemiosarcoma, che è molto aggressivo e presenta caratteristiche tali da crescere in poco tempo, grazie ad una ricca vascolarizzazione. Ecco perché, quando si riscontra per la prima volta un mioma durante una visita ginecologica, è bene effettuare un controllo successivo a breve, dopo 6-8 mesi.

I miomi possono essere asintomatici oppure dare segno della loro presenza attraverso diverse manifestazioni che dipendono dalla posizione e dalle dimensioni. :”I miomi sottosierosi, ad esempio,  accrescono verso l’esterno del viscere uterino, quindi verso l’addome e la pelvi e possono non dare sintomi; qualora le dimensioni fossero importanti, possono provocare alla donna un senso di compressione o la necessità di urinare frequentemente. I sottomucosi, invece, si localizzano in prossimità della cavità uterina e, anche se di piccole dimensioni, possono manifestarsi con perdite ematiche irregolari e mestruazioni abbondanti e purtroppo, possono avere ripercussioni sulla fertilità”.

E sulla necessità che un mioma debba essere asportato, così si esprime la Dottoressa Sagnella: “E’ importante personalizzare la terapia. Nel caso in cui il sottomucoso produca sintomi, l’intervento da effettuare è quello della resettoscopia, senza necessità di un taglio addominale. Nel caso in cui il mioma sia intramurale o sottosieroso, si deve ricorrere alla miomectomia, quindi con incisione dell’utero”.

Qualora la paziente debba sottoporsi a tale intervento e desidera avere un figlio: Dovrà attendere del tempo prima di cercare una gravidanza perché l’utero deve cicatrizzare bene”.

Ancora più importante, dunque, sottoporsi a controlli periodici in modo da scoprire la presenza di un eventuale mioma che possa compromettere la fertilità:” Scoprire un fibroma , ad esempio all’età di 38 anni, potrebbe incidere negativamente sul progetto di una gravidanza”.

 In che modo i miomi possono interferire con la fertilità? :”La presenza di miomi nella cavità uterina, in prossimità degli osti tubarici, ad esempio, può ostruire la via di accesso alla tuba, impedendo l’incontro tra spermatozoo e ovulo; inoltre può interferire con l’impianto dell’embrione e con la formazione della placenta”.

Quali sono i fattori di rischio dei miomi?” La familiarità. In questo caso è buona norma cominciare ad effettuare ecografie transvaginali già all’età di 20-25 anni. Esiste una correlazione anche con il colore della pelle: le donne di colore hanno, infatti, il triplo delle probabilità di sviluppare miomi rispetto alla razza caucasica. Sovrappeso e obesità rappresentano un ulteriore importante fattore di rischio”.

I problemi più comuni che possono scaturire dai miomi: “ Sono rappresentati soprattutto all’anemia indotta dalle emorragie e dai dolori durante le mestruazioni (dismenorrea) o durante i rapporti sessuali (dispareunia)”.

La menopausa segna il momento in cui I miomi regrediscono da un punto di vista volumetrico, questo perché crollano gli estrogeni. Durante la pre-menopausa, invece, quando i miomi tendono a crescere, è possibile ricorrere a farmaci quale la pillola anticoncezionale per contrastare dolori e emorragie”.

Terapie tradizionali si affiancano a quelle più innovative: “L’ embolizzazione dei miomi è una procedura che viene essere eseguita un radiologo, il quale inserisce dei cateteri che vanno a chiudere l’arteria dalla quale il mioma riceve il sangue che lo nutre. Chiusa l’arteria il mioma, senza più possibilità di crescere, va in necrosi e si rimpicciolisce. Recentemente si stanno perfezionando anche altre tecniche meno invasive, anche se ancora poco diffuse, come gli ultrasuoni focalizzati che colpiscono il “cuore” del mioma”.

Togliere un mioma è sempre necessario quando la paziente intende avere una gravidanza? “In presenza di miomi, la gravidanza è comunque da considerarsi “a rischio” perchè possono essere causa di abortività precoce, anomalie della placentazione ed altre complicanze ostetriche come il parto prematuro. A volte possono crescere molto rapidamente e raggiungere dimensioni notevoli nei primi mesi della gestazione, anche se questo non sempre accade e, purtroppo non è prevedibile a priori. E’ importantissimo, pertanto, che la donna portatrice di miomi, si affidi ad uno specialista esperto che possa informarla e consigliarla al meglio, sulla base di un’attenta valutazione di tutti gli aspetti: numero, posizione e dimensioni dei miomi ed età della donna”.

Altra patologia tumorale benigna sono i polipi: “Neoformazioni della mucosa endometriale (tessuto ghiandolare che si sfalda durante le mestruazioni). Possono variare da pochi millimetri a qualche centimetro. I sintomi tipici sono lo spotting, il sanguinamento durante i rapporti sessuali, cicli abbondanti e dolorosi. Anche i polipi, come i miomi, sono benigni ma possono talvolta degenerare in adenocarcinoma dell’endometrio. I polipi non vengono scoperti durante una visita, a meno che non fuoriescono dal collo dell’utero (polipi cervicali); per diagnosticarli quindi è necessario eseguire un’ecografia transvaginale, seguita da una isteroscopia diagnostica (esame endoscopico). L’asportazione chirurgica dei polipi avviene mediante isteroscopia operativa, che è una procedura semplice in quanto avviene per via vaginale, attraverso l’utilizzo di uno strumento che, sotto visione endoscopica (fibra ottica), va a recidere il polipo il quale viene poi sottoposto ad esame istologico”.

Le cause dei polipi: “Sono genetiche e ormonali; l’età maggiormente a rischio è quella tra i 40 e i 50 anni ed è difficile che si formino durante la menopausa. Altro fattore di rischio è l’obesità, specie per i polipi che degenerano in carcinomi, in quanto il grasso produce estrogeni, e quindi è buona norma contrastare obesità e sovrappeso”.

In merito ad una gravidanza: Rendono difficile l’annidamento dell’embrione e possono, come anche i miomi, ostruire l’ostio tubarico. Diversamente dai miomi, prima di progettare una gravidanza è sempre indicato asportare eventuali polipi endometriali.

                                                          Alessandra Fiorilli

HPV: screening, test, vaccino, contagio e rischi, ne parliamo con la Ginecologa Francesca Sagnella.

“E’ in corso uno screening gratuito organizzato dalla Regione Lazio rivolto alle donne di età compresa tra i 30 e i 64 anni, finalizzato alla ricerca del Papilloma Virus (HPV).

Questo test sta sostituendo il pap-test in quanto molto più efficace e sensibile, per la diagnosi precoce delle lesioni del collo dell’utero provocate dall’HPV, le quali possono evolvere in tumori della cervice uterina”.

Inizia così l’intervista con la Dottoressa Francesca Sagnella, Specialista in Ginecologia e Ostetricia, Dottore di Ricerca in Fisiopatologia della Riproduzione Umana, la quale, in merito a questa novità nel campo dello screening per l’individuazione del tumore al collo dell’utero, così si esprime :” Molte pazienti mi hanno chiesto delucidazioni riguardo all’invito, ricevuto dalle ASL di appartenenza, a sottoporsi al programma di prevenzione del tumore del collo dell’utero. Questa intervista è un’ottima occasione per fare chiarezza sull’argomento. L’HPV è considerato ilprincipale responsabile dei tumori della cervice uterina; ne sono stati individuati circa 200 ceppi,ma soltanto  alcuni di loro sono a rischio oncogeno (ceppi ad alto rischio).

Il test HPV HR offerto dalla Regione Lazio individua i ceppi ad alto rischio (HR), e pertanto le donne maggiormente predisposte a sviluppare lesioni precancerose indotte dal virus. In caso di esito negativo, il test verrà ripetuto dopo 5 anni.Nel caso in cui il test rilevi la presenza dell’HPV, verrà analizzato anche il vetrino del PAP test, prelevato contestualmente”.

La Dottoressa Francesca Sagnella, Ginecologa

E le donne che contraggono l’HPV cosa debbono fare? Non esistono ancora medicine per curare l’HPV. Quel che possiamo fare è trattare le eventuali lesioni provocate dal virus. L’esame da fare, in caso di positività del test, è la colposcopia, ovvero un ingrandimento del collo dell’utero; se poi la situazione richiede un approfondimento, si esegue una biopsia e, in caso di necessità, si asporta la porzione del collo dell’utero sede della lesione (conizzazione) “.

Le donne che contraggono il virus dell’HPV hanno timore che ciò possa avere ripercussioni sulla fertilità: Nella maggior parte dei casi non ci sono conseguenze sulla fertilità e l’infezione da HPV non costituisce una controindicazione al parto vaginale, salvo particolari eccezioni. Tuttavia, inalcuni casi, è possibile che aumenti il rischio di alcune problematiche ostetriche come, ad esempio,il parto pretermine. Questa complicanza è più probabile qualora la paziente abbia subito una conizzazione molto estesa.”

Si tratta di un esame invasivo? ”Assolutamente no: la modalità di esecuzione del prelievo di celluleper l’HPV test è semplice e sovrapponibile a quella che si utilizza per il Pap-test.

L’analisi di laboratorio è invece molto più complessa, trattandosi di un test genetico che va a ricercare il DNA del virus. Per questo motivo ha un costo più elevato”.

Non a tutte le donne è consigliato sostituire il pap-test con l’HPV test: Nelle più giovani si preferisce effettuare il pap-test, in quanto si stima che circa l’80% delle donne, di età compresa tra i 20 e i 35 anni, contragga il virus dell’HPV almeno una volta nella vita, con conseguente risoluzione spontanea dell’infezione. Si stima che il virus venga eliminato spontaneamente nel 50% dei casi entro un anno e nell’80% dei casi entro due anni”.

La principale via di trasmissione: “E’ quella sessuale, anche in assenza di rapporti completi, inquanto può avvenire anche attraverso il contatto tra mani e mucose o tra le mucose stesse. Anche il profilattico è meno efficace nel proteggere dall’HPV, rispetto ad altre infezioni , proprio perché copre solo una parte delle zone potenzialmente “abitate” dal virus”.

In caso di esito positivo dell’HPV test: “Il Partner deve essere informato, ovviamente, ma c’è da dire anche che tale virus non sempre si manifesta e spesso l’uomo può essere un portatore sano, avendo potuto contrarlo molto tempo prima, magari da un’altra donna”.

Cosa si può fare, quindi, per prevenire questa infezione? : L’unico metodo per prevenire l’infezioneè la vaccinazione. Dal 2008 è partita la campagna di vaccinazione gratuita, per le ragazze nel 12° anno di vita; dal 2017 la stessa vaccinazione è rivolta anche ai maschi”.

Che tipo di protezione offre il vaccino HPV?: “Esistono diversi vaccini che si distinguono per il numero di ceppi contro i quali è attivo. Il vaccino che viene utilizzato attualmente (Gardasil 9) è rivolto contro 9 ceppi, tra i quali i 7 più pericolosi (responsabili del 90% circa dei tumori della cervice) e due ceppi a basso rischio, responsabili dei condilomi genitali”.

Molte mamme temono che il vaccino possa essere pericoloso. Come possiamo rassicurarle?

Il vaccino è sicuro in quanto si va ad inoculare soltanto l’”involucro vuoto” del virus, non il suo DNA. Pertanto NON può infettare. In tal modo induce il sistema immunitario a produrre anticorpi specifici”

Le possibili reazioni al vaccino: “ Sono quelle comuni, come una lieve alterazione della temperatura,dolori muscolari, fastidio nel sito dell’inoculazione; tutti effetti che, però, scompaiono in poco tempo”.

E’ possibile vaccinarsi anche oltre i 12 anni: “L’efficacia del vaccino è massima in chi non ha mai contratto il virus; la maggior parte degli studi che la documentano, ha preso in considerazione donne tra i 16 e i 25 anni, ma studi recenti ne evidenziano una certa utilità anche tra i 26 e i 45anni; in questa fascia è più probabile che la donna abbia già contratto alcuni ceppi, ma lavaccinazione potrebbe coprirne altri”.

                                                                 Alessandra Fiorilli

L’endometriosi: la Dottoressa Francesca Sagnella ci parla di questa patologia, della diagnosi, delle cure e degli effetti sulla fertilità della donna

La percentuale delle donne italiane in età fertile che soffre di endometriosi è compresa tra il 5 e il 10%. Purtroppo spesso vengono sottovalutati i sintomi tipici di questa patologia, che possono orientare verso una diagnosi precoce: dolore mestruale intenso (dismenorrea), spesso associato ad episodi di vomito e svenimento, rapporti sessuali dolorosi (dispareunia), dolore al retto e durante l’evacuazione.

Il dolore è invalidante: “Molte donne affette da endometriosi sono costrette a pianificare la propria vita in base al ciclo mestruale” , afferma la Dottoressa Francesca Sagnella, Specialista in Ginecologia e Ostetricia, Dottore di Ricerca in Fisiopatologia della Riproduzione Umana la quale, dopo averci parlato, sulle pagine di “EmozionAmici”, di infertilità e di menopausa, ci illustra cosa sia l’endometriosi.

La Dottoressa Francesca Sagnella

 “Innanzitutto partiamo dalla definizione di endometrio : è la mucosa che riveste la superficie interna della cavità uterina e che si rinnova ogni mese con il ciclo mestruale, nel caso non avvenga la fecondazione dell’ovulo. Parliamo di endometriosi quando il tessuto endometriale, che normalmente viene espulso con il mestruo, va a localizzarsi fuori dall’utero. Si formano quindi delle isole di endometrio ectopiche (ossia fuori dal sito fisiologico), prevalentemente nella pelvi e nell’addome, che vanno ad attaccarsi, in maniera piuttosto aggressiva, agli organi e alle sierose (intestino, ovaie, peritoneo); in casi molto rari, è stata descritta addirittura endometriosi sulle pleure e nei polmoni”. Il tessuto endometriale può risalire le tube per via retrograda durante il ciclo mestruale ma, mentre viene naturalmente eliminato dal sistema immunitario nelle donne sane, in quelle affette da endometriosi persiste, attacca la superficie di organi e sierose formando cisti o placche e continua a sanguinare: “Si instaurano, quindi, piccole emorragie nell’addome o laddove si siano formate isole di tessuto endometriale ectopiche, con conseguente infiammazione. Possiamo dire che questo tessuto endometriale ha degli aspetti in comune con le metastasi tumorali, anche se di natura benigna” , dichiara la Dottoressa Sagnella alla quale chiedo quali siano i fattori legati all’insorgere di tale patologia:

“Si tratta di una patologia ad eziologia ancora ignota. Sappiamo che esiste una predisposizione ereditaria sulla quale vanno ad incidere fattori ambientali , come ad esempio alcune sostanze chimiche contenute in alcune plastiche, definite interferenti endocrini, che svolgono azioni simili a quelle degli ormoni.

L’endometriosi è una patologia che negli ultimi decenni si sta riscontrando più frequentemente: “Oggi le donne hanno più eventi mestruali rispetto al passato  perché si fanno meno figli. Inoltre, grazie alla maggior conoscenza di questa patologia, viene anche diagnosticata con maggior frequenza”.

Cosa può fare la donna quando avverte sintomi quali quelli sopra descritti? “Purtroppo sono in molte a sottovalutarli, non a caso tra l’insorgenza dei sintomi e la diagnosi, si stima che possano trascorrere anche diversi anni. Nel nostro paese, probabilmente grazie alla maggior diffusione della diagnostica ecografica, la diagnosi è spesso tempestiva. L’ecografia rappresenta, infatti, uno strumento indispensabile nella diagnosi di endometriosi” dichiara la Dottoressa Sagnella, alla quale chiedo quali siano le cure da intraprendere.

“Dato che i sintomi dell’endometriosi sono, come abbiamo già visto, strettamente correlati alla mestruazione, uno dei rimedi è quello di prescrivere alla paziente la pillola contraccettiva in continuo , ovvero senza la settimana di sospensione, in modo da non farla mestruare. Tra le terapie più recenti anche quella della pillola progestinica e, nei casi più gravi, può essere necessario indurre una menopausa farmacologica. Molto spesso, però, diventa indispensabile la terapia chirurgica, specialmente quando le lesioni endometriosiche coinvolgono strutture anatomiche importanti come gli ureteri (con conseguente rischio di danno renale) e l’intestino. Per quanto riguarda le cisti endometriosiche ovariche (endometriomi), l’indicazione alla chirurgia va molto ben ponderata, soprattutto se la paziente desidera avere una gravidanza. L’intervento stesso, infatti, può danneggiare la riserva ovarica della donna attraverso il danno termico che viene esercitato sull’ovaio per rimuovere la cisti. Quando possibile, infatti, si rimanda l’intervento dopo che la donna abbia concepito e partorito”.

E qui si apre un altro capitolo molto delicato: l’endometriosi , infatti, oltre a causare i sintomi invalidanti di cui abbiamo già parlato all’inizio dell’articolo, è anche una delle principali cause di infertilità, specie quando si riscontra un quadro aderenziale che coinvolga le tube e le ovaie:

“ Non è escluso che donne affette da endometriosi possano avere delle gravidanze naturalmente; qualora però ciò non avvenga, può essere di aiuto la medicina della riproduzione , in particolare la fecondazione in vitro. Nel caso in cui le ovaie risultino impoverite e la riserva ovarica insufficiente a causa delle cisti endometriosiche o di ripetuti interventi chirurgici (si tratta infatti di una patologia che tende a recidivare), una possibile soluzione all’infertilità è rappresentata dalla fecondazione in vitro eterologa, ovvero il ricorso a ovuli donati da un’altra donna. La gravidanza, per le donne affette da endometriosi, ha un forte potere terapeutico ”- conferma la Dottoressa Sagnella –”Spesso, infatti, favorisce la riduzione delle lesioni prodotte dall’endometriosi grazie al quadro ormonale gravidico e all’assenza di ciclo mestruale per 9 mesi ed anche oltre (in caso di allattamento prolungato). Attenzione quindi a non sottovalutare i sintomi-  raccomanda la Dottoressa Sagnella-  e a parlarne subito con il proprio ginecologo di fiducia”

Alessandra Fiorilli

La Menopausa: fattori genetici, fattori ambientali, sintomi menopausali e terapia ormonale sostitutiva. Ne parliamo con la Ginecologa Francesca Sagnella.

 

Una tappa fisiologica di ogni donna, un passaggio dalla vita fertile a quella nonfertile, un momento che, superata la quarantina, sembra attenderci dietro l’angolo, con tutto il suo carico, non solo di cambiamenti del corpo e dell’umore, ma anche di profonda valenza psicologica. Per menopausa -dichiara la Dottoressa Francesca Sagnella, Specialista in Ginecologia e Ostetricia, Dottore di Ricerca in Fisiopatologia della Riproduzione Umana- s’intende la fine del ciclo mestruale e dell’attività ormonale ovarica. L’età media in cui le donne italiane entrano in questa fase è intorno ai 50 anni, infatti la menopausa fisiologica copre un arco che va dai 45 ai 55 anni. Quando una donna entra in questa fase prima dei 40 anni, parliamo di menopausa precoce; se accade tra i 40 e i 45 anni parliamo di menopausa prematura”.

La Dottoressa Francesca Sagnella, Specialista in Ginecologia ed Ostetricia, Dottore di Ricerca in Fisiopatologia della Riproduzione Umana.

 

Pertanto, in considerazione dell’aumento progressivo dell’età media alla quale arriva il primo figlio, sarebbe opportuno per le donne conoscere, anche se in maniera approssimativa, l’età in cui potrebbe terminare il periodo di fertilità:L’instaurarsi della menopausa è legato a fattori genetici: ogni donna dovrebbe chiedere alla mamma e alla nonna l’età alla quale sono entrate in menopausa, essendoci una forte familiarità. L’entrata in menopausa può inoltre essere influenzata da fattori ambientali, terapie chirurgiche (interventi sulle ovaie), farmacologiche (chemioterapie) o fisiche (radioterapia), ma anche dallo stile di vita e dalle cattive abitudini. Sappiamo infatti che le donne fumatrici possono entrare in menopausa due anni prima delle non fumatrici”.

Si può anche avere un’indicazione massima sulla propria riserva ovarica e quindi, indirettamente, sull’età in cui arriverà la menopausa, sottoponendosi a dei semplici esami clinici: Per conoscere la propria riserva ovarica, esistono dei parametri ormonali quali il dosaggio dell’FSH, da fare al terzo giorno del ciclo e l’ormone antimullierano, da associare alla conta dei follicoli antrali che si esegue mediante un’ecografia transvaginale la quale consente di contare i piccoli follicoli ancora presenti nelle ovaie”.  Ogni giovane donna potrebbe, quindi, con degli esami non invasivi, individuare il periodo della vita nel quale è possibile pensare ad una gravidanza, salvo ovviamente altre problematiche non inerenti alla riserva ovarica: “Purtroppo in questo campo c’è poca informazione -dichiara la Dottoressa Sagnella- dovremmo consigliare alle giovani donne di informarsi circa la propria predisposizione genetica alla menopausa precoce, anche perché è importante sapere che la qualità e il numero degli ovociti cominciano a ridursi sensibilmente già 10 anni prima della menopausa; chi andrà in menopausa a 40-45 anni, pertanto, sarà già molto meno fertile a 30-35 anni, rispetto a donne coetanee che andranno in menopausa a 50 anni”.

La menopausa generalmente non arriva senza segnali, i più rilevanti sono: Irregolarità del ciclo, che può essere più ravvicinato ed abbondante, comparsa di tachicardia, aumento di peso (tra i 4 e i 5 chili), perdita dei capelli, secchezza della pelle e delle mucose, disturbi del sonno e dolori articolari, che interessano 1 donna su 4”.

Tra le conseguenze di cui si parla molto e che è un vero spauracchio, c’èl’osteoporosi, ossia la perdita di massa ossea causata dal crollo degli ormoni (estrogeni). Di fronte a questo quadro, abbiamo delle armi vincenti: Svolgere regolarmente attività fisica , seguire una corretta alimentazione e integrarla con calcio e vitamina D, non fumare e, quando possibile, instaurare una terapia ormonale sostitutiva. Ovviamente, in casi di osteoporosi severa, sono disponibili molti farmaci che possono ridurre molto il rischio di fratture ossee. E’ importante sapere, infatti, che il 40% delle donne dopo la menopausa subisce una frattura.

Tra i sintomi ben noti della menopausa ricordiamo anche la secchezza vaginale e il calo del desiderio e le “famose” vampate: “In molti dei sintomi menopausali è coinvolto l’ipotalamo, una regione del cervello molto sensibile ai livelli di estrogeni che, tra le varie funzioni, regola la fame, il caldo-freddo e l’umore. Non a caso molte donne, in questa fase della vita, possono soffrire di alterazioni del tono dell’umore, fino alla depressione”.

L’età media delle donne è aumentata quindi, anche una volta andate in menopausa, gli anni davanti sono ancora molti, “La medicina ha pensato bene di migliorare la qualità della vita attraverso terapie molto personalizzate. C’è da considerare, infatti, che la menopausa non è solo la fine del periodo fertile, ma anche di una diminuzione drastica degli estrogeni che proteggono dalle malattie cardiovascolari. Non è un caso che in menopausa il colesterolo, i trigliceridi e la glicemia tendono ad aumentare. E qui la terapia ormonale offre un grande aiuto, proprio quella che da anni è stata demonizzata, specie a seguito di studi scientifici condotti negli Stati Uniti d’America, su donne sottoposte a terapia ormonale sostitutiva ma non ben selezionate. Questi studi avevano infatti coinvolto donne obese, in menopausa da 10 anni, e comunque non donne sane. I risultati a cui sono pervenuti sono stati, quindi, fuorvianti. E’ di fondamentale importanza, infatti, la selezione delle pazienti candidate alla terapia ormonale: un attento esame clinico, con la precisa valutazione dei sintomi, dei fattori di rischio che possono emergere dalla storia della paziente e dagli esami di laboratorio, consentono allo specialista di valutare il rapporto rischio/beneficio”.  Chiedo alla Dottoressa Sagnella se tutte le donne possono sottoporsi a tale terapia :” E’ da escludere, ad esempio, in donne che hanno avuto un tumore all’ovaio, al seno, o che sono state colpite da ictus, tromboflebiti o soffrono di malattie autoimmuni come il lupus. Donne sintomatiche che non presentano fattori di rischio possono, invece, trarre enorme beneficio dalla terapia ormonale, purché  iniziata entro i 5 anni dall’entrata in menopausa. Purtroppo, a causa di una propaganda negativa ed allarmistica, sono ancora pochissime le donne in Italia che godono dei benefici di questo trattamento farmacologico (circa il 4%, contro il 51% in altri Paesi europei). Concludendo, possiamo dire che oggi non è più necessario sopportare i disturbi menopausali. Con l’aiuto del medico è infatti quasi sempre possibile trovare la giusta strategia per alleviare i sintomi e vivere meglio una nuova fase della vita.”

Alessandra Fiorilli

Tutte le tecniche per contrastare l’infertilità: ne parliamo con la Dottoressa Francesca Sagnella

 

 

Nella precedente intervista, la Dottoressa Francesca Sagnella, Specialista in Ginecologia e Ostetricia, Dottore di Ricerca in Fisiopatologia della Riproduzione Umana, ci ha parlato dell’infertilità e di quanto possa essere devastante, per una coppia, una tale diagnosi. Fortunatamente, la medicina può molto in questa campo. Oggi vediamo, infatti, quali sono i metodi per consentire ad una coppia la realizzazione del sogno di diventare genitori.

La Dottoressa Francesca Sagnella

Lo studio approfondito della coppia e la comprensione delle possibili cause di infertilità rappresentano la fase più delicata. Il successo del trattamento, infatti, dipende moltissimo dalla personalizzazione delle cure ” dichiara la Dottoressa Sagnella, la quale continua: Ad esempio, qualora il problema fosse di tipo ormonale con ripercussioni sulla presenza e/o sulla qualità dell’ovulazione, il primo approccio sarebbe quello farmacologico : ovvero si prescrivono farmaci (in compresse o iniezioni sottocutanee) per indurre l’ovulazione. Qualora l’aiuto farmacologico dovesse rivelarsi infruttuoso , oppure in caso di problematiche maschili lievi, o in caso di infertilità inspiegata (ovvero senza cause tangibili), il passo successivo sarebbe quello della inseminazione intrauterina. Questa tecnica consiste nell’introdurre nella cavità uterina, nel giorno di massima fertilità della donna, il seme del partner opportunamente trattato in laboratorio, al fine di selezionare, dal campione raccolto, gli spermatozoi dotati di maggiore motilità. La tecnica avviene in ambulatorio utilizzando un sottile catetere che viene introdotto nella cavità uterina. Non è invasiva e, una volta preparato il seme, richiede pochi minuti per l’esecuzione.  Il tasso di successo di questa tecnica si aggira intorno al 18-20% di gravidanza per singolo tentativo”.

Una tecnica più complessa è quella della fecondazione in vitro (FIVET/ICSI), tecnica che ci viene illustrata dalla Dottoressa Sagnella: Si ricorre a queste tecniche in diversi casi: ad esempio, quando le tube della donna risultino chiuse, perché è proprio nelle tube che avviene il concepimento; quando il fattore maschile risulti particolarmente alterato, oppure in caso di fallimento delle tecniche più semplici. La prima fase di un trattamento di fecondazione assistita prevede una terapia ormonale che ha lo scopo di indurre una ovulazione multipla nella donna (ossia di stimolare le ovaie a produrre più follicoli contemporaneamente). Gli attuali protocolli farmacologici sono molto più sostenibili di una volta: durano circa 10 giorni e sono generalmente ben tollerati dalle donne. Durante questa terapia è fondamentale eseguire diverse ecografie e prelievi del sangue, al fine di fornire al medico le informazioni necessarie a modulare le dosi dei farmaci. Quando si raggiungono dimensioni follicolari adeguate, si procede al prelievo degli ovuli e alla fecondazione in vitro (ossia in ogni ovulo che si vuole fecondare viene introdotto, al microscopio elettronico, uno spermatozoo). Se questa fase va a buon fine, l’ovulo fecondato si dividerà e formerà l’embrione, che verrà poi trasferito nell’utero della donna attraverso un sottile catetere”.

Chiedo alla Dottoressa Sagnella quali siano le tecniche attraverso le quali si prelevano gli ovuli:

“Gli ovuli vengono aspirati dalle ovaie sotto guida ecografica, mediante un ago che viene montato sulla sonda ecografica transvaginale. Si tratta di una tecnica che può essere praticata sia in anestesia locale che generale. Io, personalmente, eseguo molti interventi in anestesia locale. In questa fase il rilassamento è molto importante, per cui cerchiamo di mettere a proprio agio la paziente anche facendole ascoltare della musica. La fecondazione in vitro può raggiungere tassi più elevati di successo, intorno al 35-40% per singolo tentativo.

Un’altra tecnica, sempre più diffusa, è la fecondazione eterologa : “Si usano gameti femminili o maschili prelevati da donatori sani e fertili. Tale tipo di fecondazione è indicata in caso di azoospermia (assenza di spermatozoi nel testicolo), oppure in assenza di riserva ovarica (quando le ovaie hanno esaurito il loro patrimonio ovocitario). Questa condizione è sempre più frequente, per ragioni sociali (età avanzata della donna), farmacologiche (ad es. alcuni chemioterapici) oppure genetiche e ambientali (menopausa precoce). La fecondazione eterologa può raggiungere tassi molto elevati di successo, intorno al 60-65%. Tutte le tecniche, più o meno complesse, andrebbero eseguite sempre tenendo conto della fragilità emotiva di ogni donna in un contesto così delicato. Si tratta infatti di percorsi molto più difficili sul piano emotivo e psicologico di quanto non lo sia l’impatto con i farmaci e con le procedure stesse. Per questa ragione – conclude la Dottoressa Francesca Sagnellapotrebbe essere consigliabile un sostegno psicologico da parte di operatori esperti del settore che, nel centro presso il quale opero, sono sempre a disposizione dei nostri pazienti”.

Alessandra Fiorilli

L’ infertilità: ne parliamo con la Dottoressa Francesca Sagnella

 

Per secoli si sono addensate, attorno al delicato ambito della fertilità e del suo aspetto opposto, l’infertilità, credenze popolari, superstizioni e pregiudizi specie verso la donna, la quale: “Non era riuscita a dare un figlio al marito”.

Fortunatamente, i progressi della medicina hanno interessato anche questo delicatissimo ambito che è legato a doppio filo con quello psicologico: è ben noto quanto una diagnosi di infertilità possa essere pesante da accettare e da gestire all’interno della coppia.

Di infertilità ne parliamo con un’esperta del settore: la Dottoressa Francesca Sagnella, una laurea in Medicina e Chirurgia conseguita presso lUniversità Cattolica del Sacro Cuore di Roma, dove si specializza in Ginecologia e Ostetricia con una tesi sperimentale sulla sindrome dell’ovaio policistico.

Dal 2009 al 2011 presta servizio, come Dirigente Medico di Primo Livello, presso lUnità Operativa di Ginecologia Disfunzionale e presso la sala parto del Dipartimento per la tutela della salute della donna e della vita nascente del policlinico Gemelli. In quegli anni coltiva il suo crescente interesse per la ricerca scientifica, conseguendo nel 2012 il titolo di Dottore di Ricerca in Fisiopatologia della Riproduzione Umana . Dal 2012 collabora con il Prof Claudio Manna, sia in ambito clinico che scientifico, presso il centro di riproduzione assisitita Biofertility e presso il centro studi Genesis in Roma.

La Dottoressa Francesca Sagnella

Ha partecipato a numerosi corsi e congressi nazionali e internazionali, anche in qualità di docente e relatore, e alla stesura di alcuni capitoli di libri inerenti la diagnosi e la cura dell’infertilità.

Linfertilità è lincapacità di concepire dopo un anno di rapporti sessuali liberi, ovvero senza nessun metodo contraccettivo. Trascorsi i 12 mesi, senza che abbia avuto inizio una gravidanza, si inizia una ricerca di coppia per scoprire le eventuali cause dellinfertilità”.

In un momento storico come l’attuale, dove la prima gravidanza si è spostata in avanti di molto, rispetto a quelle delle mamme di una volta, è necessario valutare anche l’età della donna perché potrebbe essere necessario ricorrere allo specialista anche prima che sia trascorso l’anno di rapporti liberi.

In effetti, attualmente, letà media della prima gravidanza si aggira intorno ai 31-32 anni, proprio quando comincia a calare il tasso di fertilità naturale. Una consistente percentuale di donne, tuttavia, per i motivi più disparati, comincia la ricerca della gravidanza intorno ai quaranta; in questi casi attendere un anno prima di intraprendere un percorso diagnostico potrebbe essere rischioso per un motivo molto semplice: la fisiologica e progressiva riduzione della riserva ovarica, ovvero dei follicoli contenenti gli ovociti. I follicoli si formano nellembrione e non si rigenerano nel corso della vita femminile, a differenza delluomo, nel quale il ciclo di spermiogenesi, ovvero il rinnovo dello sperma, avviene ogni 72 giorni. E molto importante, quindi, sottoporsi ad una visita accurata senza perdere tempo prezioso dichiara la Dottoressa Sagnella.

Cosa fare, dunque, se la tanto desiderata gravidanza non arriva? Si parte con gli accertamenti medici, se per il maschio è lo spermiogramma , che consiste nella consegna di un campione del proprio sperma ad un laboratorio competente , per la donna gli esami fondamentali cui deve sottoporsi sono: lecografia transvaginale con la conta dei follicoli antrali, gli esami ormonali, lesame delle tube . La percentuale dellinfertilità di coppia è aumentato negli ultimi anni, come conferma la Dottoressa Sagnella : “Lincremento di questa problematica sembra fortemente correlato allaumento delletà media della prima gravidanza e agli inquinanti ambientali che in medicina chiamiamo interferenti endocrini perché, appunto, causano effetti sul sistema ormonale. Siamo purtroppo circondati da pseudo-ormoni, quali il bisfenolo A (presente in molte plastiche) che sembra essere una delle possibili cause di insorgenza dell endometriosi , una patologia invalidante che costringe a letto, durante il ciclo, le donne che ne sono affette e che rappresenta una vera minaccia per la fertilità”.

Interferenze ormonali sono provocate , oltre che dagli inquinanti ambientali, anche da un altro fattore sconosciuto nel secolo scorso, quale lobesità : Che ha un forte impatto sia sulla donna che sulluomo, perché ladipe produce ormoni.

Avviati, dunque, gli esami pertinenti e giunta la diagnosi di infertilità, la coppia è destabilizzata sotto il profilo psicologico, tanto che: LOMS, lOrganizzazione Mondiale della Sanità, lha classificata come malattia . Un figlio è importante per entrambi, ma nella donna il desiderio di maternità è un qualcosa di istintivo. Spesso nella donna infertile può scatenarsi anche un vero e proprio senso di rabbia – dichiara la Dottoressa Sagnella, la quale continua- La diagnosi di infertilità va ad interferire con il benessere psico-fisico e, proprio per superare questo impatto, la coppia deve essere quanto mai unita. Coppia che spesso cambia le proprie abitudini, si isola, ad esempio scegliendo di non frequentare più gli amici che hanno figli.

Cambia la visuale attraverso la quale si guarda il mondo perché quel ventre ancora vuoto fa male:

Le donne notano i pancioni delle altre e nei supermercati evitano di passare per i corridoi con pannolini, pappine. Si apre una ferita profonda nellanimo, conclude la Dottoressa Sagnella, la quale, ci parlerà, nei prossimi giorni, di cosa possa fare la medicina nel campo dell’infertilità.

Alessandra Fiorilli