Ma prima che cacciasse i suoi arnesi, mi chiese se volevo fare un piccolo sgabello con l’unico pezzo di tronco rimasto intatto.
Non ci pensai due volte e gli dissi di sì.
Quando il lavoro fu terminato e il signor Franco andò via con il suo triciclo pieno dei rami secchi del susino, andai nel frutteto, dove il susino non c’era ormai più.
Ma vidi che vicino al magazzino, c’era un bellissimo sgabello di legno che portai subito dentro casa.
Lo misi vicino al camino e ogni volta che mi prende la nostalgia del mio susino, lo guardo e mi sembra che la sia esistenza non sia passata inutilmente.
Ora al posto di quel vecchio albero, ho fatto piantare un alberello di limoni, sapevo che non sarei riuscita ad amare un altro albero di susino con la stessa intensità con la quale avevo amato lui.
Nei giorni di primavera, quando gli altri alberi mettono i fiori e d’estate, quando vado fuori al frutteto per raccogliere le pesche, le albicocche, le prugne, nell’istante stesso in cui ritorno per il viale lastricato verso casa, sento una voce melodiosa che canticchia un allegro ritornello: è l’albero di susino che esprime tutta la sua gioia nell’essere rimasto da me, anche se sotto forma di sgabello.