C’è una caratteristica comune che lega tutte le malattie gravi, quelle che nell’immaginario collettivo difficilmente lasciano scampo, perché quasi incurabili, o perché rappresentano un tunnel nel quale, una volta entrati, non è possibile più uscirne.
E’ stato così per il cancro, di cui si aveva timore persino a pronunciarne il nome, bollandolo semplicemente come “Il brutto male”, è stato, ed è ancora così, per l’Alzheimer, malattia, questa, che fa ancora più paura perché, gettando un’angosciosa ipoteca sul futuro, è in grado di cancellare ciò che maggiormente ci distingue gli uni dagli altri: la memoria, la personalità, le abitudini, il nostro vissuto fatto di ricordi, atti, azioni, emozioni.
Fortunatamente, grazie alla ricerca, oggi possiamo parlare di Diagnosi Precoce e di Prevenzione anche per la malattia di Alzheimer: a delinearci questi aspetti è il Professor Giovanni Battista Frisoni, Direttore del Centro della Memoria all’Ospedale Universitario di Ginevra, Professore Ordinario di Neuroscienze cliniche presso la locale Università e già Direttore Scientifico dell’IRCCS Centro di San Giovanni di Dio “Fatebenefratelli” di Brescia.
“Iniziamo con l’illustrare la patofisiologia della malattia di Alzheimer, ovvero le tappe che portano una persona completamente sana a sviluppare disturbi cognitivi prima, e perdita di autonomia, poi. Quello che abbiamo imparato negli ultimi anni è che ciò che accomuna l’Alzheimer a tutte le altre malattie degenerative, è la lunghissima fase preparatoria, di 15-20 anni, durante la quale il cervello comincia a sviluppare delle alterazioni patologiche, inizialmente molto leggere, poi sempre più gravi, che portano, pian piano e lentamente, il cervello a non riuscire più ad effettuare tutte le attività cognitive con la stessa efficacia di un tempo. Tali cambiamenti sono il risultato di una deposizione di proteine neurotossiche, un fattore, questo, che è comune a molte malattie neurodegenerative, quali, ad esempio, la malattia di Parkinson o la sclerosi laterale amiotrofica. Ciò che caratterizza e differenzia le suddette malattie, è il tipo di proteina neurotossica e la zona del cervello nella quale va a depositarsi.
Quelle che si riscontrano nell’Alzheimer sono la proteina beta-amiloide e la proteina Tau, che vanno a depositarsi nelle zone del cervello deputate ai processi della registrazione e consolidazione delle tracce mnesiche, ovvero della memoria.
La deposizione di tali proteine inizia 15-20 anni prima che compaiano i sintomi e, iniziando nelle zone della memoria, si allarga progressivamente, fino a coinvolgere il cervello quasi completamente”
Grazie alla Ricerca, oggi è possibile parlare anche per questa malattia di Diagnosi Precoce: “ E’ possibile quando c’è già il riconoscimento della malattia in persone che hanno, appunto, superato la soglia dei disturbi di memoria, in altre parole dopo quei 15-20 anni nei quali le proteine si sono accumulate nel cervello. C’è da dire, però, che non tutti i disturbi di memoria sono legati alla malattia d’Alzheimer, si possono infatti avere delle dimenticanze più del normale, legate a situazioni di stress, depressione, disturbi del sonno, solitudine, neoplasie, disturbi di circolazione celebrale, scompensi glicemici, e molte altre cause ancora. La diagnosi precoce permette di capire se i disturbi di memoria di una persona sono dovuti a una di queste condizioni o a una malattia di Alzheimer. Per far questo, si effettua una puntura lombare e un prelievo del liquido cerebrospinale, lo stesso liquido acquoso nel quale il cervello è immerso. Oltre alla puntura lombare si può effettuare anche la scintigrafia cerebrale che ci permette di vedere quali parti del cervello tali proteine hanno colpito”.
Alzheimer e Prevenzione, sia primaria che secondaria: un binomio che, almeno sino a un po’ di tempo fa, sembrava impossibile, ma oggi non più.
“La Prevenzione primaria riguarda tutti quegli interventi che possono essere posti in essere in qualsiasi momento prima dell’insorgenza dei sintomi, dall’infanzia all’età adulta. La si fa per così dire “a pioggia”, con attenzione agli stili di vita, quali un’attività fisica regolare, un’alimentazione basata sulla dieta mediterranea, un’adeguata attività mentale, il controllo di malattie croniche quali ipertensione e ipercolesterolemia. Sono da evitare assolutamente le sostanze tossiche per il cervello quali droghe e da limitare altre sostanze neurotossiche, quali fumo e alcool”.
In un futuro non molto lontano, inoltre :” La prevenzione ci permetterà di identificare le persone a rischio e trattare solo quelle realizzando, così una prevenzione molto più mirata, che chiamiamo prevenzione secondaria. Sono in corso, infatti, trial clinici di somministrazione di medicinali su persone sane ma con amiloidosi cerebrale, nelle quali vengono testati farmaci anti-amiloide. In questi trial speriamo si potrà dimostrare che le persone che ricevono il farmaco, pur essendo ad alto rischio, svilupperanno una demenza meno frequentemente delle persone non trattate farmacologicamente. Quello che stiamo cercando di fare è di seguire una procedura simile a quella che si ha per le malattie cardiovascolari. Si tratta il paziente con ipertensione o ipercolesterolemia, ad esempio, prima che lo stesso incorra in un infarto o un ictus. Solo che tenere sotto controllo la pressione, il colesterolo o il diabete è molto più semplice rispetto alla misurazione delle proteine neurotossiche attraverso puntura lombare o PET, che sono molto più complicate e costose. Quello che sarà, invece, possibile fare prossimamente è misurare nel sangue le proteine neurotossiche amiloide e tau grazie a macchine sofisticatissime di ultimissima generazione che permetteranno di individuare persone ad alto rischio di sviluppare la malattia”.
La speranza che si possa parlare di Alzheimer in modo differente rispetto al passato arriva da una grande notizia: “Proprio quest’anno, a giugno, la FDA ha approvato il primo farmaco che in persone con malattia di Alzheimer ne rallenta di circa il 23% la progressione. La notizia ha fatto rumore perché c’è una rassegnazione sociale nei confronti della malattia di Alzheimer, in quanto percepita come incurabile, di fronte alla quale non c’è nulla che si possa fare. Ebbene, questi farmaci, cambieranno anche la percezione della malattia”.
Un altro grande traguardo sarà raggiunto tra breve: “Attualmente test ematici per rilevare eventuali marcatori non si hanno ancora nella fase di pratica clinica, ma solo nei progetti di ricerca, anche se potremmo sperare di averli tra circa 2 anni, mentre programmi di prevenzione potranno essere in atto fra 5-10 anni. E’ una sfida enorme ma non impossibile, se pensiamo ai grandi passi in avanti che sono stati fatti in questo campo. Basti pensare che quando io, quasi 30 anni fa, giovane medico, iniziai in questo campo, un mio collega del centro Fatebenefratelli pubblicò un articolo, dal significativo titolo: “Alzheimer: malattia o nebulosa”. Alcuni non ne parlavano neanche in termini di malattia e oggi stiamo lavorando a programmi di prevenzione”
E se tanto è stato fatto per questa malattia che fa ancora tanta paura, e se oggi c’è una speranza, sorretta da Ricerca sul campo, lo dobbiamo anche medici come il Professor Giovanni Battista Frisoni, appassionato, e che a tanta scienza affianca un’umanità palpabile e una grande vicinanza alle famiglie e ai pazienti di questa malattia che viene ancora chiamata quella “ del lungo addio”.
Alessandra Fiorilli