Sul finire del 1600 faccio la mia comparsa sulle tavole toscane: custodisco, nel mio impasto, di farina, zucchero e chiara di uovo, come scrive di me la prestigiosa Accademia della Crusca.
Qualche anno dopo aggiungono anche le mandorle, ma bisognerà attendere il 1800 affinché io possa assumere le fattezze che oggi tutti conoscono ed apprezzano.
Ho l’onore di essere portato persino a Parigi, in occasione dell’Esposizione Universale del 1867.
Nasco da un impasto a forma di filoncino a base di farina, zucchero, uova, burro, miele e mandorle che viene poi tagliato a fette, e non è un caso che il mio nome cantuccino, derivi proprio “cantellus” che, in latino, significa pezzo o fetta di pane.
Ho molti fratelli sparsi in tutta Italia: nel Lazio ed in Umbria si chiamano tozzetti, in Basilicata stozze e in Sicilia tagliancozzi. Siamo tutti buoni ma, mentre alcuni di loro sono preparati anche con nocciole o gocce di cioccolata, io seguo l’antica ricetta perché mi fregio del marchio IGP, Indicazione Geografica Protetta.
Il mio compagno di avventure è il Vin Santo, ottenuto da uva trebbiano o malvasia e lasciata appassire dopo la raccolta.
L’aggettivo “Santo” sembra derivi dal fatto che un frate francescano, mentre la peste si era impossessata di Siena, nel XIV secolo, avesse curato dei malati proprio con il vino usato durate la celebrazione eucaristica.
Altri raccontano che qualcuno, giunto a Firenze dalla Grecia, assaggiando il vino, avesse detto che tanto somigliava al loro “Xatos”, il passito greco e da qui, per assonanza, il nome italiano di “Santo”.
Qualunque sia la sua origine, il Vin Santo è il mio compagno preferito perché mi ammorbidisce, rendendomi irresistibile e non c’è mai nessun turista che vada via dalla Toscana senza avermi gustato e io, ogni volta, mi lascio andare languidamente…
Alessandra Fiorilli