Iperomocisteinemia : cause, effetti sulla salute, correlazione con altre patologie. Ne parliamo con il Professor Paolo Calabro’,  Cardiologo tra le eccellenze della Medicina.

Le analisi del sangue che solitamente si fanno di routine, non sempre contemplano anche la voce omocisteina, come ci conferma   il Professor Paolo Calabrò, direttore della UOC di Cardiologia Clinica a Direzione Universitaria e direttore del Dipartimento Cardio-vascolare dell’A.O.R.N Sant’Anna e San Sebastiano a Caserta, Professore Ordinario della Cattedra di Cardiologia, presso il Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” :” Il dosaggio dell’omocisteina plasmatica non è un esame che va eseguito di routine, né “a tappeto” come test di screening, ma va effettuato su precisa indicazione medica”.

Il Professor Paolo Calabrò (Foto per gentile concessione del Professor Paolo Calabrò)

A conferma di ciò, dobbiamo aggiungere come:  “ Non tutti coloro che presentano valori superiori alla norma ne sono a conoscenza:  alcuni lo scoprono per caso, facendo esami ematochimici eseguiti in pieno benessere, altri nell’ambito di approfondimenti diagnostici a seguito di patologie cardio- e cerebro-vascolari”.

Vediamo di conoscere più da vicino l’omocisteina: “E’ un aminoacido essenziale che si forma a partire dalla metionina, e viene introdotto nell’organismo con l’alimentazione, principalmente attraverso il consumo di carne, uova, latte e legumi. L’omocisteina è un prodotto di scarto che di norma viene trasformato in sostanze utili per l’organismo, grazie all’azione di specifici enzimi e di alcune vitamine presenti nel sangue, in particolare le vitamine B6 e B12 e l’acido folico”.

Anche laddove si dovessero riscontrare alti livelli di omocisteina:  “  L’Organizzazione Mondiale della Sanità considera normali valori ematici di omocisteina, ottenuti dal semplice prelievo venoso, fino a 13 µmol/L”, c’è un atteggiamento che va evitato:  “ Avere elevati livelli di omocisteina, infatti,  non vuol dire essere “malati” tout court. L’iperomocisteinemia può essere causata da numerose condizioni, patologiche e non, per cui è cruciale affidarsi al parere del cardiologo per una valutazione più approfondita”

Nel caso in cui le concentrazioni plasmatiche superino i valori di  normalità, si parla di iperomocisteinemia :” Una condizione, questa, molto comune, tanto che si stima come il il 5-7% della popolazione generale presenti valori superiori alla norma”.

L’aumento dei valori di omocisteina possono essere legati sia:” Alla componente genetica che  può giocare un ruolo importante, sia lo stile di vita, oltre ad eventuali ed eventuali comorbilità

Le cause dell’iperomocisteinemia sono legate:”  Più spesso dalla sinergia di molteplici fattori, alcuni di questi non modificabili come la predisposizione genetica, il sesso e l’età, altri difficilmente modificabili o non modificabili, come gli stati patologici cronici e le terapie farmacologiche. I principali determinanti sono: carenza, principalmente alimentare, di vitamine del gruppo B quali B6, B12 e acido folico, stili di vita non salutari come inattività fisica, fumo, stress, abuso di caffè o alcol, deficit enzimatici ovvero difetti genici degli enzimi MTHF reduttasi ed MS),  età avanzata, condizioni patologiche (insufficienza renale), farmaci  quali ciclosporina A o metotressato.”

Come per tutti i valori elevati, anche un eccesso di omocisteina piò causare danni:L’eccesso di omocisteina comporta l’accumulo di sottoprodotti di scarto che alimentano processi infiammatori e stress ossidativo dell’intero organismo, causando squilibri nel sistema cardiovascolare e non solo (anche neurologico ed endocrino). Alcuni studi hanno dimostrato l’associazione tra l’iperomocisteinemia ed un aumentato rischio di aterosclerosi e di malattie cardio-vascolari. Tale associazione è sostanzialmente legata alla compromissione della funzione endoteliale, dell’aumento della proliferazione delle cellule muscolari lisce della parete vascolare, e dell’interferenza con la funzione piastrinica. Inoltre, l’iperomocisteinemia sembra essere un fattore di rischio per patologie neurodegenerative come la malattia di Alzheimer, oltre che una spia di fragilità ossea ed osteoporosi.


L’iperomocisteinemia è spesso correlata ad altre patologie:
Quelle che più frequentemente determinano un aumento dei valori plasmatici di omocisteina comprendono l’insufficienza renale, l’obesità, l’ipotiroidismo, il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa, l’ipercolesterolemia. Anche l’utilizzo di alcuni farmaci ne può aumentare i livelli, tra cui la ciclosporina A, il metotrexate, la carbamazepina e la fenitoina.
I maggiori rischi, legati ad alti livelli di omocisteina nel sangue,:” Possono essere correlati ad una maggiore probabilità di incorrere nello sviluppo di malattie cardiache e vascolari, come l’aterosclerosi, l’ictus e l’infarto del miocardio. Anche se il contributo dell’omocisteina nell’ambito di queste patologie acute sia ancora da chiarire, l’iperomocisteinemia rimane comunque una condizione da attenzionare ed approfondire soprattutto nell’ambito di una visita cardiologica”.

Chiediamo al Professor Calabrò se, anche nel caso di iperomocisteinemia, ci sia  una dieta da seguire per tenerla sotto controllo:
” È raccomandata una dieta varia che preveda abbondanti quantità di frutta, verdura, legumi, cereali integrali, e che garantisca l’adeguato fabbisogno di vitamine del gruppo B e di folati. Bisognerebbe inoltre prediligere cibi crudi, quando possibile, oppure cotti a vapore o a basse temperature, per evitare che i tempi di cottura prolungati o l’abbondante quantità di acqua causino la dispersione di questi micronutrienti. È bene inoltre limitare il consumo di caffè e di alcol.

Vediamo quando è raccomandabile assumere farmaci:”In presenza di concentrazioni molto elevate di omocisteina, oppure nei casi in cui una dieta varia ed uno stile di vita sano non siano sufficienti a riportare i livelli di omocisteina alla normalità, si può ricorrere ad una supplementazione di acido folico, vitamina B6 o B12. Questi sono disponibili sia in forma di integratori alimentari che di vere e proprie formulazioni farmacologiche (ne sono esempi il calcio mefolinato, la folina, la cianocobalamina, la piridossina, e la betaina) che possono essere assunte, in alcuni casi specifici, anche per via endovenosa o intramuscolare. La loro efficacia nel ridurre i livelli plasmatici di omocisteina è stata dimostrata, anche se le evidenze scientifiche sul loro possibile effetto sul rischio cardiovascolare rimangono controverse”.

La durata della somministrazione dell’acido folico, o della vitamina B6, B12,  dipende dalla causa determinante l’iperomocisteinemia  : “ La correzione dei livelli di omocisteina può essere efficacemente ottenuta con le strategie citate in precedenza (acido folico, vitamina B6 o B12). Tuttavia, la durata del trattamento dipende strettamente dalla causa determinante. In altre parole, se la causa sottostante non è modificabile (come nel caso di uno stato patologico cronico, non guaribile), i livelli di omocisteina possono aumentare nuovamente con la sospensione della supplementazione vitaminica. Pertanto non esiste una regola generale, ed una valutazione medica iniziale, seguita da controlli periodici, sono assolutamente fondamentali”.

Ringrazio il Professor Paolo Calabrò per la sua sempre squisita disponibilità e per il suo linguaggio chiaro che permette, anche a chi non ha conoscenze scientifiche,  di poter accedere con facilità alla complessa realtà del campo della medicina.

                                  Alessandra Fiorilli

Infarto: come riconoscerlo e quanto è determinante il fattore “tempo”. Ne parliamo con uno dei maggiori esperti internazionali, il Professor Paolo Calabrò

“Per infarto del miocardio s’intende la morte cellulare causata da un restringimento delle coronarie che portano il sangue al cuore. Tale restringimento è legato a problematiche dell’aterosclerosi, una patologia cronica, che dà manifestazione acuta proprio durante l’evento infartuale. Nell’aterosclerosi il trombo è un aggregato di piastrine che forma una sorta di “tappo“, il quale, appunto, va ad occludere completamente, o in parte, le coronarie”.

A parlare è uno dei massimi esperti in campo internazionale, il Professor Paolo Calabrò, direttore della UOC di Cardiologia Clinica a Direzione Universitaria e direttore del Dipartimento Cardio-vascolare dell’A.O.R.N Sant’Anna e San Sebastiano a Caserta, Professore Ordinario della Cattedra di Cardiologia, presso il Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”.

Causa principale dell’insorgere del infarto, sono gli elevati livelli di colesterolo nel sangue: “Oltre il 60% dei pazienti con infarto del miocardio, presentano livelli elevati di colesterolo, ecco perché è quanto mai importante tenerlo sotto controllo” come il Professor Calabrò ha esaurientemente illustrato in una precedente intervista pubblicata sulla rivista online EmozionAmici., il 12 Febbraio scorso e che potete leggere al seguente link : https://www.emozionamici.it/2020/02/12/ipercolesterolemia-familiare-dislipidemie-e-sindrome-metabolica-ne-parliamo-con-uno-dei-maggiori-esperti-internazionali-il-professor-paolo-calabro/

“La restante parte dei soggetti che annualmente va incontro ad un infarto, non presenta elevati livelli di colesterolo anche se, l’evento legato all’infarto del miocardio, è indicativo che qualcosa, ovviamente, non va”

I sintomi più frequenti dell’infarto sono: Dolore al torace, dispnea e astenia. Questa è la sintomatologia classica legata all’insorgenza improvvisa dell’infarto, anche se il soggetto diabetico e l’anziano, ad esempio, possono presentare un quadro atipico della manifestazione: si parla, infatti, di infarto silente che si verifica abbastanza di frequente. Ma anche in questo caso, il danno al cuore si riscontra comunque”

Dopo l’insorgenza dell’episodio infartuale: “Il paziente può riportare un danno minimo o un danno esteso al muscolo cardiaco, e nei casi più gravi, ne può conseguire un’insufficienza (o scompenso) cardiaco.”.

Coloro che dopo un infarto riscontrano danni più pesanti, di solito sono pazienti: Con uno stile di vita errato, che fanno scarsa attività fisica, fumano, abusano di sostanze alcoliche, e non assumono correttamente la terapia che viene prescritta loro ”.

Oltre a tenere sotto controllo i livelli di colesterolo nel sangue, dopo i 40 anni d’età, è consigliabile anche sottoporsi annualmente ad un elettrocardiogramma, nell’ambito di una prevenzione che può aiutare particolarmente coloro che presentano un rischio elevato di andare incontro ad un infarto del miocardio: “L’elettrocardiogramma non salva la vita, certo, ma è comunque necessario effettuarlo”.

E dopo un infarto cosa deve fare il paziente? “Da un punto di vista alimentare, potrà assumere tutti gli alimenti, ma in quantità moderata e poi dovrà seguire, nel periodo che segue alla dimissione ospedaliera, una riabilitazione, necessaria sia per i giovani che per i meno giovani. Tali sedute di riabilitazione cardiovascolare possono essere messe a punto già nella stessa struttura, dove è avvenuto il ricovero, come avviene presso il Dipartimento Cardio-Vascolare che ho l’onore di dirigere all’interno dell’AORN Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta”.

Il paziente già colpito da un infarto ha spesso il timore di dover affrontare un secondo episodio: “Questa eventualità dipende dal soggetto, dalla sua aderenza a terapie e controlli che gli verranno prescritti e dalla sua attenzione ai fattori di rischio di cui abbiamo già parlato”.

E’ importante conoscere il proprio fisico e prestare attenzione ai segnali che esso ci manda, perché una presentazione tardiva al Pronto Soccorso può comportare conseguenze gravissime, come: “Il crepacuore, ovvero la rottura del cuore, che rientra tra le complicanze meccaniche più gravi dell’infarto, ma che oggi, per fortuna, risulta essere relativamente rara“.

Purtroppo di presentazioni tardive al Pronto Soccorso se ne sono registrate moltissime durante il periodo del lockdown, causato dall’emergenza sanitaria COVID-19: “I pazienti si sono tenuti l’”infarto addosso”, come si dice in gergo, e lo stesso infarto ha avuto, dunque, tutto il tempo di danneggiare il cuore. Nelle prime settimane del lockdown non solo i pazienti che avrebbero dovuto eseguire i controlli di ruotine non si sono presentati, ma, cosa ancora più grave, come abbiamo detto, le persone con sintomi legati all’infarto, hanno scelto di rimanere a casa, dove, purtroppo, sono morti di crepacuore per la mancata presentazione al Pronto Soccorso. Attualmente, dunque, nelle strutture ospedaliere si sta registrando un super lavoro, ma anche un aumento dei casi di aritmie dovute al fatto che in moltissimi si sono tenuti lontani dagli ospedali durante l’emergenza sanitaria”.

                                           Alessandra Fiorilli

Ipercolesterolemia familiare, Dislipidemie e Sindrome Metabolica: ne parliamo con uno dei maggiori esperti internazionali, il Professor Paolo Calabrò

Di ipercolesterolemia si parla quando il colesterolo, grasso fondamentale per l’uomo, prodotto principalmente dal corpo ed introdotto per un 20/30% con l’alimentazione, supera i 200 mg/dl.

Se l’ipercolesterolemia si associa al diabete e all’ipertensione, può causare, più facilmente, la formazione di placche aterosclerotiche e c’è una probabilità maggiore che si registrino eventi cardiovascolari come l’infarto del miocardio, l’ictus cerebrale e l’ischemia degli arti inferiori.

Ne parliamo con uno dei massimi esperti in campo internazionale, il Professor Paolo Calabrò,  direttore della UOC di Cardiologia Clinica a Direzione Universitaria dell’A.O.R.N Sant’Anna e San Sebastiano a Caserta, direttore del Dipartimento Cardio-vascolare e Professore Ordinario della  Cattedra di Cardiologia, presso il Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”.

Il Professor Paolo Calabrò (Foto per gentile concessione di Paolo Calabrò)

All’interno del quadro generale dell’ipercolesterolemia, esiste quella di tipo familiare, che si ha, più spesso: “A causa  dell’alterazione genetica del recettore LDL”, ossia il recettore del colesterolo cosiddetto “cattivo”.  Chi ha queste mutazioni e, quindi, alti livelli di colesterolo sin dalla nascita, va incontro ad una rapida formazione di placche aterosclerotiche. Attraverso dei prelievi ematici in alcuni Centri specializzati, come il Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta, è possibile eseguire dei test genetici che possono confermare o meno la diagnosi di ipercolesterolemia familiare.  Eseguiti gli esami ematologici di routine, come colesterolo totale, HDL, LDL, emocromo, glicemia, funzionalità epatica, tiroidea e renale, il paziente sarà seguito nel percorso di follow-up e, scelta la terapia migliore, tornerà presso il centro, per monitorare il tutto.  Uno screening familiare consente, quindi, di poter intervenire in maniera tempestiva all’interno di un quadro dove, purtroppo, l’assunzione di integratori alimentari, quali il riso rosso fermentato, hanno un ruolo marginale. In questi casi, il ricorso alle statine, che agiscono soprattutto sull’inibizione della produzione del colesterolo endogeno da parte del fegato, è necessario. Demonizzate da più parti, hanno subito un attacco indiscriminato. Non possiamo dire che non abbiano effetti collaterali, ma il più delle volte sono proprio necessarie, inoltre, quelle messe a punto più recentemente, risultano maggiormente tollerate.”

Talvolta alla statina, che va ad agire sul processo di sintesi, si associa anche all’ezetimibe, che ha la funzione di limitare l’assorbimento dello stesso colesterolo. “Ultimamente ci sono anche farmaci di ultima generazione, come gli inibitori di PCSK9 che sono mostrati sicuri ed estremamente efficaci nel ridurre il colesterolo LDL”.

Il paziente che è affetto da ipercolesterolemia familiare, però, non deve schermarsi dietro questa alterazione genetica e pensare che nulla possa fare, oltre ad assumere i farmaci: “Anche per questi soggetti è importante seguire uno stile di vita adeguato, ovvero un’alimentazione varia ma corretta, e praticare un’attività fisica regolare, che aiuta, specie nei pazienti in sovrappeso, a diminuire il gito vita, ad abbassare la pressione arteriosa e a e far rientrare a valori accettabili anche la glicemia, che può trovarsi in concomitanza ad alti valori di colesterolo.”

Per quanto attiene all’alimentazione, il Professor Calabrò sottolinea come: “Per alcuni cibi non è il caso di parlare di abolizione totale, come per i formaggi, quanto di riduzione e moderazione nell’assunzione. Il junk-food, invece, è da eliminare, ma questo vale per tutti e non solo per chi è affetto da ipercolesterolemia familiare”. 

Accanto ai soggetti che sono affetti da tale patologia,  c’è un’altra tipologia di pazienti, ovvero coloro i quali si trovano a dover fronteggiare elevati tassi di colesterolo e trigliceridi nel sangue a causa di un’alimentazione e di uno stile di vita scorretto:” Siamo di fronte da un quadro clinico misto, che in gergo medico chiamiamo dislipidemia, caratterizzato da colesterolo, trigliceridi, basso colesterolo HDL, il cosiddetto colesterolo buono; quadro, anche questo, che conduce allo sviluppo di placche aterosclerotiche. C’è comunque da fare un distinguo necessario: in presenza del solo colesterolo è più facile agire prima che si formino le placche, le quali, senza un trattamento specifico, per loro naturale storia, tendono ad aumentare. Nonostante tutto, chi dovesse riscontrare la presenza di placche aterosclerotiche, ad esempio attraverso un ecocolordoppler dei tronchi sovraortici, non deve sentirsi “bollato”. La placca, grazie alla somministrazione di farmaci, può persino  diminuire”.

Si sente parlare sempre più spesso anche di Sindrome Metabolica: “Anche questa è causata spesso da uno stile di vita scorretto ed è caratterizzata da un aumento della circonferenza della vita, ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, diabete e dislipidemie”

Un cambio di alimentazione unito a un’attività fisica regolare, possono essere d’aiuto per combattere tale sindrome: “Sono sufficienti 30, 40 minuti di camminata a passo sostenuto ogni giorno per 4-5 volte la settimana. La camminata veloce, inoltre, è in grado di far aumentare il colesterolo buono. Bene anche l’assunzione, moderata, di vino rosso che contiene polifenoli”.

                                               Alessandra Fiorilli