Alla riscoperta della pasta fresca fatta in casa: oggi parliamo di orecchiette pugliesi e “pettole” casertane

I Social, in queste settimane, si stanno riempiendo di foto e video che ritraggono gli italiani alle prese con pane, pizza, pasta, dolci.

I nostri connazionali ci stanno regalando, così, l’immagine di un’Italia che sembrava scomparsa da tempo, e, in un istante, siamo tornati tutti bambini, quando le nonne o le bisnonne impastavano, con grande maestria e passione, acqua e farina per portare in tavola la pasta fresca fatta in casa.

Ciascun prodotto appartenente alla tradizione italiana ha una storia da raccontare: oggi, in questo articolo, parliamo delle orecchiette pugliesi e delle “pettole” casertane.

Tipiche della Puglia ma diffuse anche in Basilicata, varie sono le ipotesi sulla loro comparsa: c’è chi le ritrova persino in un testo del grande poeta latino Varrone, vissuto tra il 116 e il 117 a. C., il quale, in un suo testo, parlava di una pasta, le “lixulae”, di forma tondeggiante con un incavo nella parte centrale e che ricordano proprio le odierne orecchiette. 

Un’altra ipotesi sembra essere legata, invece, al Medioevo, quando, tracce di una pasta prodotta con il grano duro delle Tavoliere, si hanno nella città di  Bari e nel suo entroterra. Sembra, però, che fosse una tradizione importata dalla Provenza, località, questa, dalla quale la pasta a forma di orecchiette, partì alla volta della Puglia, insieme agli Angioini, i quali intorno al XIII secolo, ebbero il controllo di gran parte del suddetto territorio.

 La forma data a tale tipo di pasta in terra francese, aveva una sua motivazione molto profonda, legata alle carestie che si dovevano, spesso, fronteggiare in epoca medievale: l’incavo che si faceva al centro del piccolo disco di pasta spessa, serviva, infatti, a rendere più facile l’essiccazione e, di conseguenza, anche la conservazione.

Un’altra corrente di pensiero, invece, vuole che le orecchiette abbiano avuto i loro natali nel territorio di Sannicandro di Bari, tra il XII e il XIII secolo, periodo, questo, della dominazione normanno-sveva nell’attuale Puglia.

I Normanni, infatti, proteggevano la comunità ebraica che risiedeva in terra pugliese e gli ebrei erano soliti preparare dei dolci, con un incavo al centro, note come le “Orecchie di Haman”, da cui scaturì la classica forma del formato di pasta delle orecchiette, appunto.

Una data è certa: quella del 1500, quando, negli archivi della chiesa di San Nicola di Bari,  in un atto notarile di cessione di un  panificio dal padre alla propria figlia, fosse indicata, alla voce “dote matrimoniale” anche la famosa ricetta delle “reccjetedde”, nome, questo, con il quale le orecchiette sono ancora oggi chiamate a Taranto e provincia

A Bari, invece, sono note con il nomignolo affettuoso di “L strascnat”, termine, questo che indica la modalità con la quale la pasta viene lavorata, strusciandola, appunto, sulla spianatoia.

Con la superficie esterna ruvida e spessa, e il cuore più liscio, le orecchiette si sposano alla perfezione con le famose cime di rapa, ma non disdegnano neanche cavolfiori, broccoli o altri tipi di verdura mentre, in altre zone della Puglia, come il Salento, si usa condirle con un sugo corposo e cosparse di ricotta di pecora.

Altra tipica pasta fatta in casa sono le pettole casertane, le cui origini sono legate alle tradizioni contadine dell’agro aversano. Si narra, infatti, che un piatto di pettole e fagioli non mancasse mai sulle tavole dei contadini i quali, dopo una lunghissima e faticosa giornata trascorsa sui campi, potevano trovare sollievo in questo piatto tipico che vedeva il connubio perfetto tra le pettole, pasta fresca a base di farina e  acqua e i fagioli, la cosiddetta “carne dei poveri”.

Noto come “Pettl’e fasul”, ancora oggi è un tipico piatto della zona di Caserta, riscoperto in particolar modo, in questo periodo di reclusione forzata, quando il tempo a disposizione permette di rispolverare piatti dei nostri avi, la cui preparazione poco si addice alla fretta nella quale eravamo soliti vivere prima dello “stop” impostoci dall’emergenza sanitaria in corso.

In attesa che tutto torni alla normalità, intanto, le mamme impastano acqua e farina, proprio come facevano le massaie di una volta, mentre i ragazzi di oggi possono, così, assaporare dei piatti di pasta fresca che custodiscono in sé una storia antica, fatta di consolidate usanze e di preziose tradizioni.

                                           Alessandra Fiorilli