26° Puntata del Romanzo “Arri Arri Cavalluccio” di Alessandra Fiorilli

Nei giorni precedenti l’ultima Pasqua andammo la nonna ed io a fare la spesa, in ogni negozio nel quale entravamo c’era sempre qualcuno che chiedeva di te, del Cavaliere e così, tra una lode ed un’altra, ti mandavano a salutare. La nonna diventò molto triste e cacciò frettolosamente dalla sua borsa un fazzoletto a quadri bianchi ed arancione. Soffiò energicamente il naso, mentre con l’altra mano si asciugò le lacrime. Mi chiese di riaccompagnarla a casa: la spesa avrei dovuta terminarla io.
Ma cosa ci facevo mai in strada con quel mezzo foglio protocollo a righe sul quale, nonno, eri solito segnare le indicazioni della spesa, cosa avremmo mai dovuto festeggiare? Fui assalita dallo sconforto più profondo, nulla sembrava avere più un significato, poi però, pensai a te, al tuo desiderio di trascorrere una Pasqua in famiglia, tra le persone che più amavi, secondo antichi rituali e allora mi venne il coraggio necessario per entrare nell’alimentari per acquistare il grano e gli ingredienti per la pastiera, oltre alla mozzarella che, strato su strato, avrebbe arricchito la prelibata lasagna.

Rincasai con le buste della spesa che rischiavano di rompersi a causa del peso eccessivo, suonai al citofono e la nonna mi venne incontro.

Era più serena e pensai che fossi stato tu, con le tue solite parole d’incoraggiamento, ad infonderle la necessaria forza per andare avanti.

Tu eri seduto già attorno al tavolo della cucina, respiravi in un modo strano ma tentasti di parlare d’altro, esaltando oltremisura le mie doti improvvisate della “brava massaia” di ritorno dalla spesa. Tirai accuratamente fuori dalle buste di plastica uno ad uno tutto quello che c’era scritto sulla lista. Seguivi con amore ogni mio gesto ed esigevi annusare, toccare, tastare tutto quello che mi avevi chiesto di acquistare per accertarti della qualità, sino a quando mi dicesti che sì, anche quella prova l’avevo egregiamente superata. Fu la volta del grano, delle uova, della farina, della mozzarella per le lasagne.

Al termine di questa carrellata gastronomica tu mi regalasti il tuo battito ritmato delle mani mentre accompagnavi il suono con un: “Brava, brava!”. Aiutai la nonna a sistemare il tutto nel frigorifero mentre seguivi ogni mio gesto con sguardo amorevole. La Pasqua ci attendeva.

25° Puntata del Romanzo “Arri Arri Cavalluccio” di Alessandra Fiorilli

Dunque, stava per arrivare la Pasqua e mi dicesti che volevi regalarmi un uovo, come quando ero bambina. Mi chiedesti di conservare per sempre il regalo che avrei trovato all’interno, così come conservavo ancora quello del primo uovo che mi avevi regalato. Ero restia ad accontentarti, mi sembrava sciocco ed inutile ricordarmi di te attraverso una banale sorpresa di Pasqua, poi capii tutto all’improvviso: mi ricordai di quell’anno, quando tu, invece del solito uovo, mi desti del denaro che avrei potuto spendere come meglio credevo.

Ci rimasi molto male quella volta, ma avevo 15 anni ormai e pensasti di farmi cosa gradita. Ti rimproverai allora il fatto di essere passata in secondo ordine rispetto a mia sorella più piccola di me, alla quale avevi già comprato l’uovo, tu quella volta non rispondesti e facesti bene, perché era l’accusa di una ragazza sciocca, accecata dalla gelosia.

Ti limitasti a dire che quello era stato l’unico nostro “litigio” e che non sarebbe mancata occasione di farti perdonare. Ecco quello che mi stavi chiedendo di fare, quell’ultima Pasqua della tua vita: stavi cercando il mio perdono per quell’uovo mancato, dirottato in altre mani.

Non c’era bisogno di quel gesto, nonno, ti avevo già perdonato ma tu rispondesti che dovevo assolutamente scegliere per me un uovo che mi piacesse. Girai un po’ tutti i supermercati ma non era mia intenzione farti spendere molti soldi così scelsi uno di medie dimensioni. Lo portai a casa, mancavano cinque giorni alla Pasqua ma ti chiesi se potevo aprirlo subito, tu annuisti ed io, in preda ad una gioia quasi infantile, cominciai a slegare quei laccetti micidiali che non volevano saperne di staccarsi dall’incarto. Andai allora in cucina a prendere delle forbici, riuscii a togliere tutti quei fiocchi e fiocchetti e, finalmente, prelevai l’uovo di cioccolata dal coloratissimo incarto.

Era grande, lucidissimo, emanava un buon odore che anche tu volesti annusare. Con un colpo netto della mano lo aprii, mentre dei pezzettini di cioccolato volarono sul tavolo della cucina: all’interno c’era un pacchettino di plastica che un minuscolo ciondolo d’argento.

Poi mangiammo un po’ di quella cioccolata, a te piaceva molto, nella credenza della cucina non ne mancava mai un pezzo fondente. Adoravi farla scioglierla sotto al palato, dopo il sonnellino pomeridiano che seguiva il pranzo, ma soprattutto amavi offrirla alle persone che più amavi. Era un modo per dire: “ Seguiamo insieme questo rituale…”. Inoltre avevi brevettato anche un sistema per placare paure o per fermare le lacrime delle donne della tua famiglia: se ci vedevi in difficoltà, era sufficiente che ci porgessi un bicchiere d’acqua fresca accompagnata da un pezzetto di cioccolato ed ecco che il momento di difficoltà sembrava dileguarsi magicamente e scivolare via, dietro quelle mani, dietro quel sorriso che ci spronava a riappropriarci della giusta dose di serenità. Il segreto non stava in quello che ci offrivi, ma nel modo in cui ti avvicinavi a noi, ci accarezzavi la testa e dividevi con noi la cioccolata. È sempre stato il tuo amore a sorreggerci e ad incoraggiarci. Ancora oggi facciamo con la mamma un gioco: quando non sappiamo cosa fare, pensiamo a cosa diresti tu in quel momento e torna il sorriso.

24°Puntata del Romanzo “Arri Arri Cavalluccio” di Alessandra Fiorilli

Pasqua ci stava già attendendo, quando ti dissi che avremmo potuto risparmiare alla nonna tutta la fatica che la preparazione del tradizionale pranzo richiedeva, esonerandola, così, dalla lasagna con la mozzarella e le polpettine fritte, dalla pastiera di grano preparata ancora secondo l’antica ricetta della bisnonna, dal tradizionale casatiello ma tu fosti irremovibile: quella Pasqua, la tua ultima Pasqua, si sarebbe dovuta celebrare ugualmente secondo gli antichi rituali, secondo la tradizione della nostra famiglia.

Mentre stavamo scrivendo su un foglio tutti gli ingredienti da comprare per la preparazione del ricco pranzo di Pasqua, tu mi raccontasti delle prime festività trascorse nella nuova casa, quando eravate solo tu, la nonna e la mamma a sedere attorno ad un tavolo imbandito.

Le vostre famiglie erano lontane e tu avevi il tuo lavoro, un lavoro che onoravi e rispettavi così tanto da meritarti il titolo di Cavaliere, quello al quale eri più legato e che ti rendeva pieno d’orgoglio.

I primi anni trascorsi nel tuo paese d’adozione, nella casa che avevi costruito mattone su mattone, eravate in tre a festeggiare Pasqua e Natale, solo in tre, tanto che la nonna, delle volte, si lasciava prendere dallo sconforto perché sentiva il peso della solitudine e la lontananza dai propri genitori ma tu riuscivi sempre a tranquillizzarla, prospettandole un futuro nuovo, ricco d’affetti e di persone che si sarebbero sedute, assieme a voi, attorno al tavolo della cucina.

È quello che sarebbe avvenuto non molti anni dopo, quando la tua famiglia s’allargò ma soprattutto quando la mamma, appena ventenne, decise di sposarsi e di mettere al mondo subito un figlio.

Nacqui io e tutta la solitudine di quegli anni, quando il giorno di Natale e di Pasqua eravate solo in tre, passò subito, perché c’era una neonata con voi, e non ti stancavi mai di dirmi di come fosse stato facile, per te e per la nonna, amarmi. Ero la luce delle vostre giornate, il sole nel grigiore invernale, la risata nei momenti tristi, la festa nei giorni mesti. Non eravate più soli, e la tavola cominciò ad arricchirsi di più piatti, di più bicchieri, di più posate: la famiglia, era finalmente cresciuta e nei giorni di festa saremmo stati in tanti. La tua determinazione ha reso possibile molte cose, il tuo coraggio lo hai dato un po’ a tutti, e ciascuno oggi, porta con sé una parte di te, nonno.

23° Puntata del Romanzo “Arri Arri Cavalluccio” di Alessandra Fiorilli

Quanta felicità condivisa con te, nonno!

Poi delle volte mi soffermo a pensare dove sia finita, se la serbo ancora gelosamente dentro la mia anima, tra le pieghe dei miei ricordi o se sia stata lavata via dalla tempesta del dolore.

Ci rifletto un po’ su’ e poi dico a me stessa che quella gioia è ancora dentro me, anzi sono io, sono io quando sorrido ad un anziano, quando aiuto gli altri, quando curo le nostre piante, quando scrivo una pagina dei miei libri. È tutta quella felicità immagazzinata nel corso degli anni che mi ha permesso di superare le barriere della disperazione e le incognite del futuro.

È come aver fatto un pieno di serenità e gioia che mi permette di andare avanti anche nel deserto. Così è, sicuramente. Non potrebbe essere altrimenti. Perché se non potessimo trattenere i ricordi più belli, le emozioni più intense, il sorriso più dolce, le immagini più care, non potremmo andare avanti nei momenti difficili che si incontrano lungo la strada. Ecco, dunque, dov’è finita tutta quella felicità vissuta con te, nonno: è rimasta impressa a fuoco in maniera indelebile nell’anima, mi sostiene, mi offre una speranza, mi impone di continuare a lottare e a cercare, tra le pieghe di un dolore, altra felicità.