I racconti di Mila e Pila- 28 Dicembre: il ruscello canterino- 2° Parte

Con il freddo che fa, la torta non impiegherà poi tanto tempo a raffreddarsi, ma, intanto, ogni due minuti chiedo alla nonna se posso mangiarla.

“Se sei così impaziente, tra qualche istante te ne taglierò una bella fetta così potrai farci colazione”, mi dice la nonna.

Ah, la colazione!

Quanto mi manca quel momento iniziale della giornata che fa da cornice a un nuovo giorno che è impaziente di iniziare, proprio come lo sono io nel voler mangiare la torta di mele della nonna.

Quando vivevo con lei in questo casolare di collina, la facevamo sempre assieme, anzi, lei per non scontentarmi faceva colazione due volte.

La prima, quando si alzava e beveva il suo caffè appena macinato, la seconda con me, davanti ad una bella tazza di latte caldo accompagnato da una fetta di ciambellone o di crostata.

A Chicago è molto raro che io possa fare colazione con i miei genitori, loro escono sempre prima di me e a me tocca stare in cucina con la donna che la mamma ha assunto nel ruolo della “tuttofare”: si occupa delle pulizie di casa, della spesa, di prepararmi la colazione.

Questa signora ha i capelli corti rossi, il volto pieno, un po’ di pancetta e le gambe troppo magre per la sua stazza.

Mi osserva sempre quando faccio colazione con il latte e i cereali che odio.

Una volta le ho detto che avrei tanto voluto mangiare, di primo mattino, una bella fetta di torta e lei, proprio il giorno successivo alla mia richiesta, si è presentata con un involucro trasparente dal quale ha tirato fuori una specie di ciambella gigante con sopra dello zucchero sciolto e dei pezzettini di una cioccolata insipida.

Ho apprezzato il suo tentativo di soddisfare la mia richiesta ma poi…poi ho deciso di mangiare i cereali…tanto nessuno mi avrebbe più potuto regalare le torte della nonna.

Che poi, a pensarci bene, non erano tanto la torta di mele o la crostata di albicocche a mancarmi, quanto la nonna e l’amore che metteva tra gli ingredienti che impastava con tanta maestria.

I racconti di Mila e Pila- 28 Dicembre: il ruscello canterino- 1° Parte

Mi sveglio con l’inconfondibile profumo della torta di mele che la nonna sta preparando per me, lo sa bene che ne sono ghiotta e sa altrettanto bene che la “apple pie” che vendono in America non la apprezzo come la sua, vero capolavoro di sapienza, di tecnica, d’amore.

Sì, perché ogni ingrediente usato dalla nonna si sposa perfettamente con gli altri e le mele, una volta portata la fetta di torta alla bocca, sono capaci di scatenare una melodia di sapori unici.

Prima di scendere giù in cucina, accendo il cellulare e l’inconfondibile suono che ho scelto per i messaggi, mi avverte che qualcuno mi ha pensato.

E’ la mamma che mi ha scritto:

“Buongiorno Lù, ieri siamo stati sulle rive del Lago Michigan e abbiamo ascoltato, il papà ed io, il suono delle lame dei pattini e abbiamo pensato a te, alla prima volta che hai pattinato sull’acqua ghiacciata. Ti vogliamo bene”.

Lù, mia madre mi chiama così ma a me non piace molto quest’abbreviazione ma io non gliel’ho mai detto, so che lei ci tiene tanto a sapere che sono la sua Lù.

Mi tolgo da dosso il pigiama di flanella, indosso la tuta grigia, quella con il cappuccio, e mi precipito giù dalla nonna.

La torta di mele è sul tavolo, il suo calore sta producendo quel soffio trasparente che mi fa capire che è ancora troppo calda perché io possa assaporarla in tutta la sua bontà.

Dopo aver scoccato un sonoro bacio sulla guancia della nonna, mi siedo e osservo quel capolavoro che sa di zucchero, di cannella, di scorza di limone grattugiata, che sa di amore.

I racconti di Mila e Pila- 27 dicembre: l’albero malato-5° Parte

Ma prima che cacciasse i suoi arnesi, mi chiese se volevo fare un piccolo sgabello con l’unico pezzo di tronco rimasto intatto.

Non ci pensai due volte e gli dissi di sì.

Quando il lavoro fu terminato e il signor Franco andò via con il suo triciclo pieno dei rami secchi del susino, andai nel frutteto, dove il susino non c’era ormai più.

Ma vidi che vicino al magazzino, c’era un bellissimo sgabello di legno che portai subito dentro casa.

Lo misi vicino al camino e ogni volta che mi prende la nostalgia del mio susino, lo guardo e mi sembra che la sia esistenza non sia passata inutilmente.

Ora al posto di quel vecchio albero, ho fatto piantare un alberello di limoni, sapevo che non sarei riuscita ad amare un altro albero di susino con la stessa intensità con la quale avevo amato lui.

Nei giorni di primavera, quando gli altri alberi mettono i fiori e d’estate, quando vado fuori al frutteto per raccogliere le pesche, le albicocche, le prugne, nell’istante stesso in cui ritorno per il viale lastricato verso casa, sento una voce melodiosa che canticchia un allegro ritornello: è l’albero di susino che esprime tutta la sua gioia nell’essere rimasto da me, anche se sotto forma di sgabello.

I racconti di Mila e Pila- 27 dicembre: l’albero malato-4° Parte

“Lasciami andare e se vuoi ricordarmi, pianta al mio posto un alberello, in modo che la vita possa continuare”.

Era il susino che mi stava parlando.

“Non voglio separarmi da te, tu sei stato il primo albero che ho piantato in questo frutteto, sei stato il simbolo di questo casolare, se te ne vai, andrà via anche una parte di me”, risposi.

“Non dire così. Pensa a tutto quello che di bello abbiamo vissuto e condiviso, quello nessuno lo potrà portare via. Ma adesso sono malato e stare qui, in mezzo agli altri alberi e vederli mettere le gemme, i fiori, i frutti non può farmi altro che male. Soffro nel vedere ciò che non sarò più: un albero forte in grado di regalare tante belle susine”.

Io cominciai a piangere ma lui, attento a non farmi male con i suoi rami scheletriti, mi abbracciò e per consolarmi del prossimo distacco, si mise a raccontarmi di quell’estate quando lui, giovane e forte susino, regalò decine e decine di chili di frutta.

“Non sapevate proprio più che farvene, allora tu decidesti, per non buttarla via, di prepararci la marmellata!”, disse l’albero.

“La marmellata, è vero, quasi me ne ero dimenticata. Non abbiamo più mangiato una confettura così buona. Ha accompagnato tante mattine felici, tanti pomeriggi. Quante fette di pane con il burro si sono sposate con quella dolce marmellata!” risposi, mentre un sorriso stava comparendo sul mio viso.

“Lo vedi, la mia vita non è stata inutile, l’ho trascorsa con voi, con i miei amici alberi. Ringrazio il cielo per avermi fatto vivere in questo frutteto, dove sono stato così bene, Ma ora te ne prego, chiama il signor Franco e dì che faccia il suo dovere”.

Quando il signor Franco arrivò, io andai via, non potevo sopportare l’idea di vedere abbattere il mio susino.

I racconti di Mila e Pila- 27 dicembre: l’albero malato-3° Parte

“Signora Pila, non crederà a quello che le sto per raccontare, è una storia bellissima”, dice la nonna.

“Sono proprio curiosa signora Mila di ascoltare le sue parole”, le rispondo.

E inizia così la sua storia.

“Era un giorno di primavera, e tutti gli alberi del frutteto avevano già messo le gemme, pronte a dischiudersi in fiori.

La natura era in festa, tranne il susino che ancora aveva i rami scheletriti.

Ogni giorno venivo a trovarlo e ogni giorno speravo di vedere le piccole increscenze verdi.

Decisi di chiamare il signor Franco, un vecchio contadino che sapeva tutto di alberi.

Arrivò di buon mattino con il suo triciclo e avvicinandosi al tronco cominciò a esplorarlo con le mani, sino a quando non scoprì un piccolo solco nella corteccia, al quale io non avevo fatto caso in precedenza.

“Signora, questo susino è gravemente malato, non c’è più nulla da fare, è inutile che lei aspetti ogni giorno che faccia uscire le gemme, per lui non ci sarà più nessuna primavera”.

“Possiamo aspettare qualche altro giorno?”gli chiesi.

“Lei è libera di aspettare anche mesi e anni ma non assaggerà più le sue susine”.

Io non ce la feci a farlo abbattere quel giorno stesso, né il giorno successivo, né quello dopo ancora.

Aspettai l’estate ma neanche il calore del sole di agosto riuscì a far guarire il mio susino.

Quando arrivò ottobre fu un sollievo per me, perché il susino si trovava in mezzo agli altri alberi, anch’essi ormai tutti spogli delle foglie, così da non sembrare più non malato.

Ma quando arrivò di nuovo primavera, il dolore si rinnovò.

Mi misi a sedere sotto i suoi rami spogli, quando sentii una voce.

I racconti di Mila e Pila- 27 dicembre: l’albero malato-2° Parte

Vedo la nonna arrivare, si fa strada tra la coltre di neve.

“Dovremmo provvedere a spalarne un po’, ha nevicato molto nei giorni scorsi!” dice  mentre cerca con una pala di levare la neve  lungo il piccolo viale lastricato che dal frutteto conduce al casolare.

“Ci penso io, nonna, non ti preoccupare!”, le rispondo.

“Tu? Ma sei troppo piccola, è un lavoro pesante, non voglio che ti affatichi” dice la nonna mentre si sta chiedendo cosa stia facendo da sola, in mezzo a quegli alberi dai rami piegati dalla neve.

Poi capisce, capisce che sto pensando al nonno perché ho deciso di indossare i suoi vecchi stivali di gomma che si trovano ancora nel magazzino degli attrezzi.

E’ un gesto, questo, che ho sempre fatto, dal momento in cui il nonno se n’è andato.

E ogni volta che lo compio è un modo per chiedere che qualcuno venga in mio aiuto, per dirmi che il nonno c’è ancora, nonostante la sua assenza su questa terra.

La nonna ripone la pala che aveva preso per sgombrare il vialetto dalla neve e, stringendosi, nel suo scialle di lana, si dirige verso me.

Cammina a fatica nella neve troppo alta, poi tira fuori dal magazzino due sedie pieghevoli in legno, le stesse sulla quali ci mettevano seduti il nonno ed io d’estate, quando chiedevamo alle fronde e alle foglie degli alberi di darci refrigerio.

Sono anni che non le usiamo più, infatti, la nonna fa un po’di fatica nell’aprirle.

M’invita a mettermi vicino a lei e carezzandomi i capelli, capisce che sono triste e allora ecco che in mio aiuto arriva la signora Mila nella quale lei si trasforma.

I racconti di Mila e Pila- 27 dicembre: l’albero malato- 1° Parte

Nonostante oggi sia il 27 dicembre, è una giornata tiepida, il sole esprime tutta la sua felicità ma è ancora troppo debole per sciogliere la neve che piega i rami degli alberi.

Esco dal casolare e mi metto a camminare lungo il viale che conduce, a destra verso il castagneto e a sinistra verso il frutteto che è ancora muto, senza fiori, senza frutti, senza gli uccellini che allegramente, in primavera e in estate, trillano da un albero a un altro.

Ripenso al nonno, è ancora troppo viva l’emozione che provo nell’immaginare quest’uomo, dalle spalle forti e dalla grandi mani, così tenacemente attaccato alla sua terra.

Quante cose sono cambiate e quante non potranno più tornare, ma i ricordi servono a questo, non a rattristarci per una persona che non rivedremo più, quanto piuttosto a darci la forza necessaria per continuare, per credere che quella felicità non è stata persa per sempre, ma può ritornare.

Ricordo ancora quando, in primavera, uscivo fuori al frutteto con il nonno e rimanevo sempre affascinata dal miracolo della natura che si risvegliava ogni anno, senza che nessuno le dicesse di farlo.

E quando sui rami vedevo i fiori, chiedevo sempre dove andassero a finire, una volta che poi comparivano su quegli stessi rami, i frutti.

“In natura nulla va perso e tutto si trasforma in qualcos’altro. La gemma diventa fiore e il fiore frutto”.

Ecco, anche noi siamo parte di questo grande mondo, quindi, di fronte all’assenza del nonno, penso che si sia solo trasformato, che è ancora vicino a noi, che non abbia mai lasciato questo casolare.

I racconti di Mila e Pila- 26 dicembre: la castagna e il marron glacè- 4° Parte

“Amata, hai capito bene, amata da mio padre albero che ci ha dato la vita, dalle mie sorelle con le quali siamo cresciute insieme e dal mio padrone che mi ha raccolto, e amata da tutte le persone che mi acquistano in strada e alle quali regalo bei momenti!”, rispose la castagna.

“Ti ricordo che anch’io sono nato su un albero e poi….” balbettò il marron glacé che era però rimasto senza parole.

“E poi…eh, finisci un po’ il discorso…te lo dico io come è andata a finire la storia… che tu sei stato separato  dalle tue sorelle castagne, che forse non erano belle e grandi come te e sei stato messo insieme ad altre tue simili che però non conoscevi per niente e che provenivano da chissà quali parti del mondo. Poi sei stato visionato, scrutato, e hanno deciso così di glassarti e sei andato a finire chiuso in una scatola, insieme ad altri marron glacé che parlavano lingue diverse dalla tua. E così la tua vita è finita su un anonimo scaffale di un grande supermercato in attesa, o meglio, nella speranza che qualcuno ti acquistasse!!”.

Io, nel sentire queste parole, rimproverai la piccola castagna per la sua crudezza dei modi ma lei, senza nemmeno farmi finire di parlare, mi disse che a iniziare era stato il marron glacé, fiero della sua mole e borioso per il suo aspetto invitante.

“Mi sono solo difesa dagli ingiusti attacchi di questo sconosciuto, nulla di più!”, disse la castagna, mentre il marron glacé si rimise al suo posto nella scatola.

Era molto triste per le parole della castagna ma era vero, tutto vero, lui era stato separato dai suoi parenti e non li aveva rivisti più.

Anche la castagna era diventata all’improvviso triste nel vedere quanto male avevano fatto le sue parole, allora gli si avvicinò e si mise a parlare con lui.

“Ascolta ma ti ricordi da dove vieni?” chiese al marron glacé il quale rispose

“E come potrei dimenticarlo! Vengo dalla Toscana, da un paesino adagiato sui colli”.

Allorché la castagna esultò e abbracciandolo disse:

“Ma allora sei tu il mio cugino marron glacé di cui si parlava spesso in famiglia! Eravamo tutti orgogliosi di te che eri stato scelto per la tua bellezza e grandezza!”.

“Cugini?!” esclamò il marron glacé stupito “Ma allora non sono solo! Vieni qua cara cuginetta e fatti abbracciare, fammi sentire il calore del tuo affetto!”.

E da qual giorno furono inseparabili.

I racconti di Mila e Pila- 26 Dicembre: la castagna e il maron glacè- 3° Parte

“Signora Mila, ora a vedere queste belle caldarroste mi è venuto in mente quello che mi è successo qualche mese fa, quando, un borioso marron glacé si è messo a battibeccare con una piccola ma deliziosa castagna. Vuole che le racconti questa storia?” chiedo alla nonna, nella speranza che lei mi dica sì.

“Ma certamente, signora Pila, sono proprio curiosa di ascoltare questa storia!” mi risponde la mia compagna di storie fantastiche.

“Era un pomeriggio molto freddo, nonostante non fosse ancora arrivato l’inverno. Per scaldarmi un po’, decisi di acquistare un bel cartoccio di caldarroste da quegli uomini che si mettono lungo le strade a venderle. Il venditore mi disse che non erano molto grandi ma che avevano una polpa candida e deliziosa.

 Aveva perfettamente ragione, erano buonissima!

 Finii di mangiare avidamente il cartoccio di castagne, anche perché dovevo entrare nel supermercato per fare spesa ma nel cartoccio ne rimasero un paio.

Sugli scaffali del reparto dei dolciumi, faceva bella mostra di sé un’elegantissima scatola di finissimi marron glacé, di cui ne ero stata sempre ghiotta. Non seppi proprio resistere e la acquistai. Tornata a casa, cacciai la scatola dalle buste e la sistemai sul tavolo, dove misi anche il cartoccio nel quale erano rimaste le due castagne.

Ero di là in camera per cambiarmi d’abito, quando ecco che sentii provenire, proprio dalla cucina, due vocine che sembravano rincorrersi l’una all’altra.

Andai di là e vidi che una caldarrosta stava battibeccando con un grande marron glacé che nel frattempo avevo liberato dalla preziosa scatola, perché avevo deciso di mangiarlo dopo aver sistemato la spesa.

“Non credere che la tua bellezza possa permetterti di trattarmi in questo modo, eh! Sono piccola ma saporita e soprattutto, sono stata molto amata nella mia vita!” disse stizzosa la caldarrosta al marron glacé, che nel frattempo si stava reggendo la pancia dalle risate.

“Amata, ma da chi, dimmi un po’? Tu, così piccola e insignificante!”, rispose il marron glacé con aria di sfida.

I racconti di Mila e Pila- 26 Dicembre: la castagna e il marron glacè- 2° Parte

Ma ora, silenzio: il vecchio orologio a cucù ci ha detto che sono arrivate le cinque, ecco che la nonna scompare e quando torna in cucina, ha con sé quell’inconfondibile retina rossa nella quale è solita conservare le castagne che gli alberi dietro il casolare regalano ogni anno.

Non sono molto grandi, ma hanno un sapore inconfondibile, non ne ho mai mangiate di così buone.

Un’altra tradizione della nostra famiglia è di cuocere le castagne nel camino per mangiarle calde, mentre si gioca a carte, il pomeriggio del 26 dicembre.

Quest’anno niente carte ma tante castagne!

Sino a quando sono vissuta qui, con la nonna, era una festa raccoglierle e privarle del riccio, alcuni dei quali li conservavo per portarli a scuola.

Nell’istante stesso in cui la nonna mette le castagne sul fuoco, una grande malinconia mi assale e penso ai nostri autunni, all’autunno in collina, che si fa annunciare dalle foglie rosse dell’albero del cachi trascinate dal vento e dal castagneto che regala, felice, i suoi frutti.

E penso all’incomparabile bellezza della natura che lì a Chicago non c’è.

Allora allungo il braccio destro sul tavolo e vi poggio sopra la testa mentre osservo la nonna.

“Credo che mi mancherà sempre questo casolare. Non riuscirò ad accettare il fatto di essere dovuta andar via da qua, nonna” le dico mentre lei fa finta di non sentire.

“Nonna, perché non mi dici niente?” insisto io.

“Che cosa vuoi che ti risponda, Ludovica? Che è terribilmente triste stare lontana da te, che quando entro nella tua stanza sento un nodo in gola, che quando è l’orario del tuo ritorno da scuola, non posso fare a meno di mettermi davanti alla finestra e di aspettare qualcuno che non verrà più?”, risponde la nonna, con la voce rotta dal pianto.

Certo che sono proprio una bella guastafeste, sino a qualche minuto prima era così felice e adesso l’ho rattristata con le mie domande.

Ma per nostra fortuna, in aiuto arriva la signora Pila, nella quale mi trasformo.